Cos’hanno in comune il Covid-19 e Shakespeare? Un ricettario.

In questo periodo in cui argomenti più pressanti ci riempiono la mente e ci danno da discutere, di Covid-19 si sente parlare decisamente meno. Come sostiene Matteo Bassetti, infettivologo: “Si parla troppo poco di Covid e la gente non si vaccina. Il virus non è finito.”

Questo articolo non vuole essere un manifesto per la campagna vaccinale, ma un semplice tentativo di distrarci per un po’ dalle spinose questioni di guerra (non per sminuirne la gravità, ma credo ci siano persone ben più competenti di me per discuterne). Per un po’, dunque, parleremo del non ancora sconfitto “male minore” che continua a influenzarci e cambiarci.

È il cambiamento della comunicazione, nello specifico, ad interessarci. E qui, tu, lettore, probabilmente penserai: “D’accordo, capisco dove stai andando a parare. Mi tirerai fuori un bel discorsetto su Meet, Zoom, sulle relazioni a distanza, il bisogno di vicinanza, quanto non sappiamo più relazionarci di persona e via dicendo”. Un po’ di pazienza, per favore, credo invece di avere un discorso un po’ più insolito da imbandire e, con permesso, vado a cominciare.

D Burg^es water for the plag^ue

Take iij pints of Malmesie and boyle therein of sage

of rue of each an handfull vntill a pint be consumed

then straigne it and sett it ouer the fier againe, then

putt to it a penny worth of longe pepper and halfe

an ounce of ginger and a quarter of an ounce of

nutmegs all beaten together and lett it boyle a

litele and then putt to itt 4d of Metredate 2d of treacle

Angelica water a quarter of a pinte. Keepe this as

youre life a boue all wordly treasures take it allwaise

allwaies warme both morninge and evening a

spoonefull or 2 If you be allreadie infected one

sponfull a day is sufficient halfe a spoonefull in

the morninge and halfe a spoonefull at night

In all the plague time vnder God there is was

neuer man woman or Childe deceaued1

Quella che leggi (o forse non tanto, in fondo è pur sempre un inglese secentesco, ma lo riportiamo così come si conserva) è una ricetta che prevedeva di: far bollire Malmsey (un tipo di vino) con salvia e ruta finché non si fossero ridotte, quindi di aggiungere pepe lungo, zenzero, noce moscata, melassa di Londra (un complicato composto di sostanze preconfezionato) e mitridate (una miscela simile). Il risultato sarebbe stato un medicamentoso infuso, di un certo Dottor Burges, contro la peste. Perché sì, la nostra sarà pure una pandemia che mai ci si sarebbe aspettati nel XXI secolo, ma c’è da dire che non è la prima (e forse non sarà l’ultima) peste con cui l’umanità si sia trovata a combattere. I rimedi attuali hanno senz’altro basi scientifiche ben più valide, non di meno non sono i primi tentativi di combattere un’infezione di così ampia portata.

È una realtà storicamente accertata che la Morte Nera del 1346, poi la peste del 1353 e ancora quella di Londra del 1665, abbiano portato un’ampia diffusione di questi rimedi, tanto che prescrizioni simili potevano essere trovate nei ricettari di qualsiasi casa di buona famiglia. Ciò che è particolarmente interessante però è che, proprio come per la maggior parte delle notizie stampate e manoscritte, queste ricette circolavano in frammenti numerosi e spesso contenevano informazioni non direttamente correlate al loro contenuto, ma utili a stabilirne la credibilità. Il fatto che in questo testo venga menzionato l’ideatore, il Dottor Burges, ne è la dimostrazione. E non solo: anche l’ultima linea vuole testimoniare l’efficacia della cura. In all the plague time vnder God there [is] was neuer man woman or Childe deceaued. Provo a darne un’approssimativa traduzione: In tutta l’era della peste, davanti a Dio, nessun uomo o donna, o bambino è morto [grazie/a causa di questa ricetta]. Non di rado questi rimedi casalinghi non solo non guarivano dalla peste, ma erano in primis la causa della morte dei poveri contagiati perché preparati con ingredienti nocivi. Ovviamente tutto ciò ha implicato lo sviluppo di una “buona abitudine” che col passare del tempo l’umanità non sembra voler perdere: sfruttare un momento di debolezza e bisogno per approfittarsi quanto più possibile degli ingenui. Spesso, con il progredire dell’epidemia, farmacisti senza scrupoli si occuparono di riproporre le ricette esistenti, sostenendo che erano state testate e che ne era stata confermata l’efficacia. Ovviamente erano ricette dagli ingredienti particolarmente costosi e il cui lavoro significativo del farmacista andava pagato lautamente. In ogni caso, è evidente che questi scritti sono molto utili a contestualizzare, a livello popolare, i sentimenti comuni, le necessità di quei tempi bui e il tipo di informazioni che circolavano.

Soprattutto ci ricordano di un contesto molto specifico di lockdown, restrizione di movimenti, passaggi di lettere fatte arieggiare prima nell’aceto. Un contesto che, guarda caso, conosceva bene un certo scrittore il cui nome probabilmente ti ha attirato, caro lettore, su questo articolo.

Shakespeare è vissuto tra Stratford e Londra, proprio negli anni in cui la peste secentesca inglese mieteva le sue vittime, e non stupirebbe scoprire che fosse anche lui consumatore di qualcuna di queste acque miracolose. Certo è che di pozioni ha scritto sia nei suoi sonetti…

Sonetto 111 (vv. 9,10)

Whilst, like a willing patient, I will drink / Potions of eisel ’gainst my strong infection;
Intanto io berrò, qual docile paziente, / dosi di aceto contro la mia sventura;

…che in una delle più amate ed odiate delle sue opere teatrali: Romeo e Giulietta. È proprio in questo testo che la peste, quasi si fosse personificata e messa a zoppicare per il palco, gioca un ruolo centralissimo nel capitombolare degli eventi verso la tragedia finale. Il buon frate John infatti non riesce a consegnare a Romeo il messaggio che rivela l’inganno della pozione (un’altra!) del sonno perché la casa è sigillata in quanto sospetta di essere già stata violata dall’infezione. Ma il povero frate non può nemmeno rimandarla indietro con un altro messaggero perché la lettera è considerata potenziale trasmittente del morbo. Non è qualcosa di insolito durante la Grande Peste di Londra: il signor James Hickes, per esempio, apriva il proprio centro postale solo di notte e usava l’aceto come disinfettante per ogni missiva giunta. Sta di fatto che la mancanza di quella minima comunicazione e il terribile tempismo dello sventurato Romeo determinano la morte dei giovani innamorati.

Nonostante i tanti, tanti morti per Covid che dobbiamo ancora piangere, c’è da dire che, per fortuna, la comunicazione a noi non ha portato esiti così evidentemente tragici. Forse perché in fondo non è mancata del tutto… però i suoi scherzetti ce li ha fatti. E qualche parallelismo tra i fenomeni che hanno interessato la peste di allora e quelli che abbiamo vissuto noi c’è.

Equivoci e fraintendimenti, notizie sbagliate e decreti legge che cambiavano fin troppo rapidamente. Sono tutte cose che conosciamo bene. Non ci siamo messi (tutti) a creare ricette per pozioni contro il Covid, ma qualcuno ha ritenuto interessante provare a iniettarsi del gel sanificante nelle vene, giusto perché in televisione si era fatto accenno alla sua efficacia contro il virus. Quante mani di studenti di DAD si alzerebbero se chiedessi chi ha fatto almeno una figuraccia nelle classi online perché aveva dimenticato il microfono acceso? Oppure ha dovuto rifare una verifica/interrogazione perché la connessione si è improvvisamente interrotta?

Quello che voglio dire è che, da buon elaborato umano, la comunicazione è, per atavica necessità, un prodotto difettoso. Già di persona, spesso, i dialoghi non sono facili e anzi talvolta si discute proprio perché non ci si riesce a capire; durante il Covid tutto si è fatto, se non più complicato, quanto meno più ambiguo. E se è vero che social e videochiamate a distanza non sono necessariamente nocivi di per sé, è anche vero che la nostra capacità comunicativa nel tempo sembra peggiorare. Forse sarebbe solo necessario prendersi il tempo per ascoltarsi di più, o forse ci stiamo un po’ disabituando a dire davvero quello che pensiamo.

Risposta ultima non c’è, ma a scanso di equivoci, il mio consiglio è: non affidate missive importanti a un povero frate a piedi.

1 (altri testi presso https://folgerpedia.folger.edu/Recipe_books_at_the_Folger_Shakespeare_Library)

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