Intervista al Professore Cardillo: spunti di comparazione e prospettive sul paese più rilevante d’Oriente

Intervista a Ivan Cardillo, professore presso la facoltà di Giurisprudenza di UniTrento e docente di Comparative Law e Chinese-Western Comparative Legal Studies presso la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan.

  1. Qual è stata l’evoluzione del ruolo del Partito Comunista Cinese all’interno della società cinese, da Mao a Xi Jinping?

Tutta la storia della Repubblica Popolare Cinese verte sulla storia del partito, da Mao in poi. Per introdurla, bisogna fare un passo indietro e tornare alla fine della Prima Guerra Mondiale, al Trattato di Versailles. La Cina non era soddisfatta di questa “pace”, perché una parte dei territori occupati dai tedeschi, soprattutto lo Shandong, furono dati ai giapponesi: si trattava di una grande umiliazione per i cinesi. Di conseguenza, i giovani scesero in piazza a protestare, al fine di farsi rispettare dall’Occidente e sfruttare gli strumenti di quest’ultimo. Era il periodo delle cosiddette Mr. Democracy e Mr. Science per le piazze. Tra i giovani in piazza si trovavano i comunisti e Mao. Stava per nascere il Partito Comunista Cinese: era il 1921. 

Il Partito Comunista Cinese era un partito rivoluzionario: i giovani che lo appoggiavano criticavano la cultura tradizionale confuciana, considerandola la causa dell’arretratezza della Cina. 

Nel 1949 nacque la Repubblica Popolare Cinese: era il periodo della guerra interna tra il partito nazionalista e il partito comunista. Mao prese una decisione drastica, scegliendo di cancellare la cultura tradizionale. Iniziò così la rivoluzione culturale e in concomitanza una campagna politica contro Confucio, come se fosse un oppositore politico ancora in vita.

Dopo il fallimento della rivoluzione culturale e la fine dell’era di Mao, il partito comunista decise di cambiare leadership: iniziò l’era di Deng Xiaoping. Egli, a differenza del suo predecessore, cercò di essere più pragmatico e orientato al benessere. 

A quel tempo “benessere” significava poter dare da mangiare a tutti e garantire un luogo dove vivere. Era la stessa cosa che accadde in Russia negli anni Ottanta con la Perestroika. Tuttavia, in Russia questo tentativo fallì e a metà del decennio Gorbaciov iniziò ad avere problemi.

È importante parlare di Russia perché tutta la Cina della metà degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta guardava al marxismo leninista, a Lenin, alla “sorella maggiore del mondo comunista”: tutto il sistema giuridico di quell’epoca, la prima Costituzione cinese, si basava totalmente sul modello sovietico. La Russia era un modello da cui imparare.

Tuttavia, la Cina non emulò il modello sovietico in toto: a causa degli eventi di piazza Tienanmen e memore del recente fallimento di Gorbaciov nell'”occidentalizzare” la Russia, la Cina decise di bloccare le proteste, convincendosi sempre più del bisogno del ruolo di guida, di una leadership forte da parte del Partito Comunista Cinese. Deng Xiaoping, nelle interviste che rilasciò ai giornalisti americani, affermò: “Noi non possiamo permetterci una democrazia come la vostra in Occidente, dobbiamo limitare le proteste pubbliche; siamo talmente numerosi che ogni giorno ci sarebbe qualcuno in piazza a protestare e nessuno lavorerebbe più alla ricostruzione del paese”. Con la riforma costituzionale del 2018, lo Stato-partito è diventato un principio fondamentale della Costituzione (articolo 1, 2).

2. Prendendo in considerazione i primi decenni della prima Repubblica italiana e il ruolo che in questa ha ricoperto la Democrazia Cristiana, secondo lei è possibile approntare un parallelismo, con le dovute cautele storiche, tra quell’assetto di potere e di diritto in Italia e una delle ere del Partito Comunista Cinese nella Repubblica Popolare?

Quello della prima Repubblica in Italia è un modo di fare politica diverso da quello di adesso: si dava molta più importanza alla formazione e all’esperienza sul campo della classe dirigente, che poteva guidare il partito solo dopo un percorso di formazione (non come accade oggi). La politica non era una professione, ma esisteva comunque una forte vocazione. Questo in Cina non potrà mai accadere.

In Cina l’idea della formazione e dell’esperienza politica è un’idea centrale: non è sufficiente una richiesta di adesione per iscriversi al Partito Comunista, ma è necessario superare un esame. Solo i migliori diventano membri del Partito. Ancora oggi, l’importanza della dottrina politica è riscontrabile nelle dichiarazioni pubbliche di Xi Jinping e nelle sue teorizzazioni politiche.

In questo senso, l’esperienza cinese ricorda molto l’esperienza della sinistra e della Democrazia Cristiana della prima Repubblica, caratterizzata da figure intellettuali che erano impegnate nella riflessione politica. Sia a livello nazionale che internazionale c’era la possibilità di comunicare tramite i Grandi Congressi. Era un momento di riflessione politica, non solo legato alla diplomazia e all’economia: ciò che oggi manca.

Oggi in Occidente non assistiamo più a dibattiti ideologici e politici, ma si paventa una situazione più conflittuale, carente di progetti a lungo termine. Nella prima Repubblica questa idea di progettualità c’era, e in Cina questa è tutt’ora il segreto di tutto il suo successo. La crescita cinese prevede obiettivi a lungo termine e una visione del proprio paese lungimirante, cosa che a noi manca

3. In riferimento al mercato globale e più in generale ai rapporti con l’Occidente, com’è cambiata la posizione economica e diplomatica della Cina dopo la pandemia da Covid-19 e la recente crisi militare in Ucraina?

Il Covid-19 inizia a diffondersi alla fine del 2019 partendo da Wuhan e arriva in un momento di pura instabilità cinese a causa della guerra commerciale con gli Stati Uniti. La pandemia viene strumentalizzata come un’arma cinese contro l’Occidente. Fin dall’inizio, la pandemia non suscita solidarietà tra i paesi, ma viene utilizzata come attacco a un popolo: quello cinese. Inoltre, nasce una “gara” per determinare chi sia stato il migliore ad affrontarla. La questione della pandemia diventa un indicatore della capacità di governo: ci si chiede quale sia la forma di governo migliore per garantire la salute dei cittadini. In un contesto democratico non si possono prendere misure draconiane, perché vige la libertà di circolazione, mentre nelle forme più autoritarie – come il modello cinese – c’è un leader forte che prende una decisione senza proteste. È diventato uno scontro tra civiltà e valori fondamentali.

La pandemia non ha cambiato la posizione economica cinese, ma ha semplicemente accelerato dei processi che erano già partiti con la precedente guerra commerciale, dove la Cina aveva forti problemi interni a livello economico e demografico. A un certo punto, la circolazione economica si sdoppia in due dimensioni: una esterna e una interna. La prima riguarda il resto del mondo, mentre l’interna dovrebbe rinforzare il mercato interno cinese. Dunque, la Cina si sta volgendo verso un distaccamento con l’Occidente. Giorni fa, la Repubblica parlava di biforcazione globale: ecco, la Cina vuole spingere verso un multipolarismo e non vuole una globalizzazione. Per muoversi in questa direzione bisogna definire regole chiare. Infatti, i sistemi autoritari godono di privilegi dei sistemi liberali, ma non consentono a quest’ultimi di partecipare alla propria economia interna: il rapporto rimane sempre impari. Ad esempio, le aziende cinesi vengono in Europa e godono del sistema liberale, come la stessa iniziativa economica privata. Invece, un’azienda occidentale che va in Cina non gode di questo tessuto liberale economico e subisce una serie di limitazioni.

4. La Cina ha tratto vantaggio da questo periodo di chiusura ai flussi di persone dall’estero? Quando crede che riaprirà?

Molti vogliono un ritorno alla normalità con la riapertura della Cina. Ci vuole reciprocità: gli studenti cinesi possono venire in Occidente, ma gli occidentali non possono andare in Cina. Dunque, la Cina deve essere chiamata a un atto di responsabilità: se vuole essere un grande paese non può comportarsi in questo modo, non può chiudere le frontiere. La Cina ha bisogno del confronto con l’Occidente, ma verosimilmente questo confronto avverrà solo nei settori di suo interesse.

È molto difficile prevedere cosa farà la Cina in futuro. Sicuramente si dovrà aspettare ottobre per il 20° Congresso del Partito, momento in cui Xi Jinping sarà riconfermato per la terza volta alla guida del governo. Sarà il primo leader cinese ad andare oltre i 2 mandati, prima era un limite costituzionale. Con l’assunzione del mandato per la terza volta, Xi Jinping si candida leader a vita del paese; per cui sicuramente sarà una fase molto delicata e, proprio per questo, le frontiere rimarranno chiuse finché non si riconfermerà il suo potere. È un peccato che un paese così grande e importante, con una straordinaria civiltà e una storia millenaria debba essere chiuso al resto del mondo.

Spero si possa tornare a viaggiare normalmente, anche perché il 2022 è l’Anno della Cultura e del Turismo Italia-Cina, i due paesi con più siti UNESCO al mondo. Sicuramente dopo ottobre ci saranno delle novità.

5. Quali sono le più grandi differenze tra la libertà di iniziativa economica privata in Cina e quella in Italia?

L’iniziativa economica cinese è riconosciuta come un valore importante nella Costituzione: sostenuta, incoraggiata e rispettata. Se prima c’era un’idea forte di un’economia socialista, adesso è ammessa l’iniziativa libera; il governo attua anche una serie di incentivi per incoraggiarla. È libera, ma c’è un limite: non si deve attaccare l’interesse nazionale o minare la stabilità sociale del paese. Perseguire questa strada rimane un rischio.

Aprire un’impresa è facile a livello burocratico, in quanto la legge sugli investimenti equipara la procedura dei cinesi a quella degli stranieri. Il pericolo è di natura politica e riguarda il controllo per il rilascio delle autorizzazioni. Non c’è certezza e ci si deve assume il rischio senza alcuna garanzia di successo.

6. Facendo riferimento al conflitto attuale in Ucraina, secondo lei la Cina resterà neutrale o prenderà le parti di uno dei due schieramenti?

La Cina resterà neutrale. Da un lato, necessita dell’appoggio russo (amica di lunga data) nei suoi progetti con l’Afghanistan e nel raggiungimento della “globalizzazione multipolare”. Inoltre, l’ostilità cinese nei confronti dell’Occidente – che risale alla guerra commerciale con gli Stati Uniti – spinge il Paese a voler ampliare i suoi rapporti con la Russia.

Tuttavia, la Cina non interromperà mai i rapporti con l’Occidente perché sarebbe economicamente svantaggioso. La Cina resterà sempre un po’ neutrale, e la linea principale sarà sempre quella degli interessi economici e del popolo cinese.

La cultura cinese non ragiona per opposti (e la guerra è l’esempio di un conflitto di opposti): la Cina lavora per zone grigie, per zone di espansione, e non di conflitto diretto. Ad esempio, parlando di giochi da tavolo, noi in Occidente abbiamo gli scacchi, dove le pedine “mangiano” le altre: vince chi ne “mangia” di più. Invece, nella dama cinese – detta anche “gioco del Go” – lo scopo non è quello di “mangiare” l’altro, ma di dominare più spazio possibile sul tabellone: è esattamente la strategia cinese in politica estera

Infatti, guardando al mappamondo come ad una scacchiera, la Cina si posiziona senza entrare in una logica di conflitto; per questo si parla di politiche win-win, in cui vincono tutti. 

I cinesi sono bravi a coordinare e avere una visione di insieme: ne è un esempio la capacità di coordinamento del ministero degli esteri cinese.  

Per concludere, la Cina si sta muovendo su diversi fronti, ha questa capacità di dialogo. Ne è un esempio la pandemia, che in Cina non ha bloccato tutto il Paese, a differenza di quanto è accaduto in Occidente. Questa capacità di resilienza, di controllo della complessità, di visione d’insieme, sono doti che sicuramente dobbiamo imparare e sviluppare guardando a un partner come la Cina.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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