Prevenire la violenza nelle scuole – Intervista alla professoressa Alessia Donà

  • Buongiorno professoressa, innanzitutto la ringrazio per averci concesso questa intervista. Le notizie di cronaca degli ultimi mesi hanno riaperto il dibattito sull’introduzione dell’educazione sessuale e dell’educazione affettiva nelle scuole. Considerando anche la sua esperienza di ricerca nel campo delle politiche per la parità di genere, quale pensa sia il ruolo e l’utilità di questi strumenti? 

Innanzitutto questi corsi – chiamiamoli all’affettività, alla sessualità, alle differenze – sono degli strumenti efficaci per contrastare  in età adulta modi di pensare e abitudini di stampo sessista. In questi corsi si insegna a gestire le emozioni, la cultura del consenso e del rispetto; e anche l’educazione alla sessualità, che non può essere lasciata al passa parola o ai siti internet. Tali i corsi fanno parte di quella che viene chiamata la “prevenzione primaria”, indicando una serie di interventi che agiscono sulle radici strutturali della violenza contro le donne e della violenza di genere. 

Ci sono anche altri strumenti che possono essere adottati. Ad esempio, la  Convenzione di Istanbul indica la  formazione rivolta ai media poiché è importante come si rappresenta la violenza e attraverso quale linguaggio; la formazione delle forze dell’ordine, il personale medico-sanitario e le altre e professionalità che operano  nel sistema giudiziario, tra cui avvocatǝ e magistratǝ)  Tutto questo per dire che per  sradicare le radici culturali della violenza serve lavorare in modo sistematico e su più ambiti, di cui uno è quello educativo. 

  • L’introduzione nelle scuole di questi strumenti educativi ancora fatica a trovare appoggio unanime della politica italiana. Perché crede che questo si verifichi?

Le difficoltà nell’introdurre negli ultimi anni questi  progetti educativi risiede in  in primo luogo nella opposizione portata avanti da  alcuni partiti politici, in particolare Lega e Fratelli d’Italia, che hanno politicizzato la questione  sulla base di posizioni fortemente identitarie, alimentando una politica della paura attraverso una retorica di disinformazione. Proprio recentemente, a novembre durante il dibattito parlamentare che ha portato all’approvazione del  disegno di legge Roccella (che ha introdotto misure più stringenti per la tutela delle vittime di violenza) , quando si è trattato di discutere la proposta a favore dell’introduzione di programmi educativi nelle scuole presentata da  PD e Movimento 5 Stelle , i partiti di governo si sono opposti agitando lo spauracchio della diffusione della cosiddetta i “ideologia (del) gender”. Ricordo con il termine ‘ideologia gender’ fa riferimento a un’invenzione retorica vaticana (come ci ha dimostrato la ricerca della studiosa  Sara Garbagnoli), che è stata  fatta propria da attori reazionari e conservatori per indicare una supposta minaccia all’ordine ‘naturale’, che sarebbe secondo loro fondato sulla relazione di complementarietà tra uomo e donna. Pertanto questi progetti educativi vengono interpretati come una minaccia alla famiglia e all’ordine naturale, di qui la posizione contraria di Lega e Fratelli d’Italia nel nome della difesa della famiglia e dei figli. 

D’altro canto il progetto   proposto dal governo è stata la cosiddetta direttiva Valditara che prevede l’avvio di una sperimentazione nelle sole scuole secondarie, facoltativa (non curricolare),  previo consenso dei genitori. Incaricati della realizzazione del progetto sono gli stessi docenti, che dovrebbero essere appositamente formati ma da  quali figure (e come)  la direttiva non lo specifica. . Al  momento appare dunque  un progetto pieno di lacune, sarà da capire come verrà attuato e chi ne definirà i contenuti.

  • Siamo abituati a pensare che l’Italia sia la “pecora nera” rispetto alla tematica, soprattutto nel contesto europeo. Qual è la sua opinione in merito?

Il ritardo italiano nell’adottare questi programmi è di lungo periodo, per ragioni culturali e politiche. Mentre altri Paesi europei hanno introdotto da decenni programmi di educazione sessuale obbligatoria in classe. L’Italia è uno dei pochi  paesi dove il dibattito parlamentare è stato senza risultati, fin dalla prima proposta presentata nel 1975. Quello che si nota è che le misure in vigore  a contrasto della  violenza di genere sono riconducibili al paradigma  “paternalistico-securitario”,che punta sulla  punizione del maltrattante,  veicolando l’ immagine della donna come vittima da proteggere  (e non come  un soggetto dotato di agency). Attenzione, non sto dicendo che le pene non siano necessarie. Il fatto è che, dinanzi al problema della violenza, le sole pene non sono un deterrente e poi si applicano quando la violenza è già stata agita. La prevenzione implica altri tipi di interventi, come ho già detto, ma questi mancano nel nostro paese perché di fatto  nessun partito che negli ultimi anni è stato al governo  è andato oltre l’interpretazione dominante della violenza contro le donne intesa come un’emergenza da affrontare con strumenti di tipo repressivo e securitario. Quando invece questo fenomeno è evidente non è un emergenza di fronte al dato che i numeri di femminicidi (donne uccise in quanto donne)  non calano nel tempo, per questo lo si definisce un fenomeno strutturale (e non emergenziale)…

  • Il Trentino è stata la prima provincia a introdurre un progetto di questo tipo (“educare alla relazione di genere”) nelle scuole, eliminato poi dalla giunta Fugatti. Che risultati ha prodotto questo progetto?

Per rispondere occorre fare una premessa: in Trentino si è partiti con un progetto sperimentale realizzato in undici istituzioni scolastiche nel periodo 2011-2014. Il progetto si chiamava ‘‘Educare alla relazione di genere’ ed era coordinato dall’l’Iprase (istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa), con la supervisione scientifica del  Centro studi interdisciplinari di genere (che attualmente coordino) dell’Università di Trento, con il supporto dell’assessorato all’istruzione e alle pari opportunità della  Provincia Autonoma di Trento. Si trattava di i una serie di attività formative per lo sviluppo di un senso critico rispetto alla dimensione di genere e al contrasto di stereotipi sessisti rivolte  al corpo docente,  allǝ studentǝ (di primo e secondo grado (11-19 anni) e ai genitori. 

Sulla base dei buoni risultati di questo progetto sperimentale e delle crescenti richieste da parte delle scuole, l’allora Giunta in carica ne decise l’avvio in maniera sistematica tramite specifici bandi a partire dall’a.s. 2014-15 con la dotazione di risorse necessarie. 

Tutto questo progetto non avveniva certo all’oscuro delle famiglie: queste venivano coinvolte, informate e rese consapevoli (tramite uno specifico percorso formativo)i  della necessità e dell’importanza di educare alla cultura del rispetto reciproco e della parità di genere tra ragazze e ragazzi.  Ogni anno poi sono stati pubblicati i rapporti sul sito PAT e Iprase per rendicontare i risultati del progetto educativo, con il relativo materiale utilizzato in classe.  Da segnalare che nell’anno scolastico 2017-18 avevano aderito al progetto 23 istituti con l’attivazione di 82 percorsi per studentǝ, insegnanti e genitori. 

Nel dicembre 2018, a seguito dalla formazione della nuova giunta a guida Lega l’assessora alle pari opportunità  Segnana insieme al collega assessore all’istruzione  Bisesti decidono di sospendere questo progetto e di fatto cancellarlo. La motivazione fu che secondo loro quel progetto diffondeva la ‘pericolosa ideologia gender’, minacciando i valori tradizionali della famiglia e l’esclusivo ruolo educativo di quest’ultima.  È stato di fatto cancellato un progetto formativo che aveva raccolto ottimi risultati, non per nulla alcune scuole si sono attivate in maniera autonoma per portarlo  comunque avanti. 

Dal l 2019 è attivo   il gruppo “insegnanti e genitori per la cittadinanza attiva” che insieme all’associazione Glow e la supervisione del CSG sopperiscono al vuoto lasciato dalla Provincia, cercando comunque di portare avanti con le forze che si hanno e con le risorse che si hanno il lavoro educativo con le scuole del territorio.

  • dopo la “sospensione”, qual è la situazione attuale a livello provinciale?

Purtroppo non si è fatto nulla in maniera sistematica. In base ai dati riguardanti  i bandi annuali per le pari opportunità (2018-2023) si sa che raramente i progetti finanziati riguardavano le scuole: . 

nel 2020 è stato finanziato un solo progetto, nel 2021 tre progetti, nel 2022 quattro e nel 2023 sempre tre o quattro. Ad oggi dunque la provincia sta facendo poco o nulla.

Ricordo che prima della sospensione ai corsi, nel 2018, avevano aderito 23 istituti ed erano stati attivati 83 percorsi. Una differenza abissale.

Le ricerche scientifiche  confermano che questi progetti portano effettivamente risultati. Chi non conosce queste ricerche, o non le vuole conoscere, porta avanti invece la retorica della diffusione di una cosa chiamata “il gender” e dà delle informazioni errate se non addirittura false rispetto a quello che si fain questi percorsi. 

Per concludere il quadro, l’ultima iniziativa di fine legislatura provinciale  è stata una proposta di legge  presentata nell’estate 2023 con la quale si voleva codificare il ruolo esclusivo e prioritario della famiglia  (rispetto alla scuola) nell’educazione dei figli, stabilendo che qualsiasi tipo di attività formativa anche facoltativa  sarebbe dovuta passare al vaglio della genitori e ottenerne il consenso. Si stabiliva che tale meccanismo speciale di controllo si applicasse per quei  progetti educativi riguardanti tematiche come  genere, identità di genere, stereotipi. Tale proposta era stata fatta dal  dal consigliere Cia, il quale era accompagnato durante la  conferenza stampa di presentazione  dall’assessore Bisesti e dal coordinatore di i Pro Vita e Famiglia Prandi. Non si è arrivati ad approvarlo solo perché la legislatura era in scadenza. In ogni caso, pare evidente che sulla questione dell’educazione nelle scuole delle giovani generazioni si stia facendo una partita puramente politica, perdendo di vista il problema di come contrastare il fenomeno della violenza di genere. 

Quella che avete letto è la prima parte di una doppia intervista, nella seconda parte parleremo della carriera nel settore dei Gender Studies. Se siete interessati, vi invito a rimanere aggiornati sulla nostra pagina.

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