Il buio oltre la siepe

Immagini di Mauro Biani

I classici sono una finestra sul passato. Ci ricordano che qualcuno ha già vissuto quello che viviamo noi. Un po’ come ciò che diceva Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”. Fatti destinati a ripetersi nella storia, come un labirinto senza uscita: per me i classici sono questo.

Siamo negli anni ’30 del secolo scorso, Scout è una bambina del profondo sud degli Stati Uniti che  vive appieno la sua infanzia fatta di giochi, scuola e curiosità per un vicino, Boo, che non esce mai di casa. Suo padre Atticus Finch (un mito a mio parere) è un avvocato incaricato nella difesa di un uomo di colore condannato a morte per uno stupro che non ha commesso. Scout, dal suo punto di vista di bambina molto matura, ci racconta la tipica vita del sud di quei anni, sobborghi tranquilli fatti di pettegolezzi tra casalinghe e uomini al comando di tutto. Apparentemente un’esistenza tranquilla, ma che nutre un odio profondo per la gente di colore. Atticus però è un uomo senza pregiudizi, valore che cercherà di trasmettere ai suoi figli. Scout si troverà ben presto a porre fine alla sua infanzia spensierata e fare i conti con il male che c’è al mondo. La paura per il diverso.  Una paura e un odio che gli è difficile da comprendere.

Era il 1964 quando uscì “il buio oltre la siepe” di Harper Lee. Molto attuale al tempo, ebbe subito un grande successo. Questo perchè, oltre ad essere una lettura piacevole, denunciava anche un fatto che quei anni era all’ordine del giorno: il razzismo. Da Martin Luther King a Malcom X a Rosa Parks quegli anni furono decisivi per i diritti della gente di colore.

Il razzismo è uno di quei fatti sociali che purtroppo non sembra voler cessare di esistere. Basti pensare solo a quello che sta succedendo qui a Trento, con il caso accaduto su Flixbus e il ragazzo indiano aggredito per strada. Atti di violenza carnale e verbale che in teoria in una civiltà “evoluta” non dovrebbero verificarsi. È partita una “caccia alle streghe” senza colpevoli. O meglio, possiamo dire che ci sono, ma che in questo caso non sono le vittime. Viviamo in un periodo non facile per il mondo, dove la lotta al potere supera di gran lunga il benessere dell’uomo. Questo porta da una parte a conflitti, immigrazione e tanta disperazione e dall’altra a sentimenti contrastanti dovuti a tanta informazione errata. Odio o accoglienza. Ma il problema non si ferma qui. Siamo infatti abituati ad associare colori della pelle e religioni a ciò che è giusto e sbagliato, senza pensare minimamente di poter ferire qualcuno. Ci viene detto di aver paura, di respingere chi ha bisogno. Lee nel libro non soltanto parla della segregazione razziale, ma anche della diversità in generale. Come una bambina di quei anni era degenerata se si vestiva da maschiaccio, oppure come un vicino di casa era considerato pericoloso perché non usciva mai di casa. È un inno alla diversità. Ne emerge che niente è come appare. Davanti al diverso bisogna fermarsi e ragionare, senza sputare sentenze che portano solo a conflitti inutili. Dobbiamo smetterla di basarci su fatti leggendari e concentrarci su ciò che è reale. Solo così potremo vivere in un mondo più giusto. E chi lo sa, magari succederà che il diverso ti salverà la vita come a Scout.

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