I beni culturali tra tutela, politica e valorizzazione: il caso “leonardesco”

L’Uomo vitruviano, Leonardo da Vinci, 1490 circa, Gallerie dell’Accademia di Venezia

Il 24 ottobre 2019 è stata inaugurata al Louvre di Parigi la mostra dedicata a Leonardo da Vinci in occasione del cinquecentesimo anniversario dalla sua morte. L’allestimento è stato possibile grazie ad un discutibile memorandum di partenariato Italia-Francia firmato dal ministro per i beni e le attività culturali e il turismo Dario Franceschini e dal suo omologo transalpino Franck Riester, che ha consentito il prestito di alcune celebri ma fragilissime opere del vinciano tra le quali l’Uomo Vitruviano delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. L’approvazione del prestito ha immediatamente messo in allerta i membri di Italia Nostra che hanno fatto ricorso al Tar del Veneto per impedire che l’opera venisse esportata; il Tar ha però respinto il ricorso, consentendo all’Uomo vitruviano di partire per la Francia.

Il dibattito potrebbe dirsi concluso se non fosse che le modalità con cui il prestito è avvenuto sono del tutto incompatibili con quanto sancito dalle norme di tutela e conservazione nel “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio” (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). Italia Nostra ha infatti richiesto di poter accedere alla documentazione relativa al prestito in modo da poterne verificare l’adeguatezza in relazione alle norme di tutela sancite dal Codice. Dopo aver consultato la documentazione, Tomaso Montanari ha avvertito la necessità di fare chiarezza su una questione che risulta propriamente giuridica ancor prima che etico-ideologica. Nella conferenza “A cosa serve Leonardo. Il patrimonio culturale tra tutela e politica” tenutasi a Trento il 23 ottobre 2019 e curata dalla professoressa Laura Cavazzini, Montanari ha cercato di ricostruire il contorto iter giuridico che ha consentito il prestito dell’opera vinciana al museo del Louvre di Parigi.

Montanari è partito dal principio analizzando il testo del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004; l’art. 66, titolato Uscita temporanea per manifestazioni, al comma 2, lettera a sancisce che: non possono comunque uscire dal territorio della Repubblica i beni suscettibili di subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli. Bene, consideriamo per prima cosa le necessità conservative dell’Uomo vitruviano; dai primi rilievi operati dal Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie dell’Accademia e dal Funzionario restauratore conservatore su richiesta della precedente direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Paola Marini, emerge che la fragilità del disegno non ne consente l’espatrio sia in funzione delle sue condizioni propriamente fisiche, sia per le conseguenze che l’esposizione parigina avrebbe avuto su di essa: l’esposizione prolungata dell’opera alla luce per un arco temporale di 3 mesi presso il Louvre avrebbe determinato, in funzione del mantenimento dell’integrità dell’opera, una sua reclusione, in condizioni di buio, di 5 anni nei depositi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Ma non basta. Sempre l’art.66, al comma 2 lettera b sancisce che: non possono comunque uscire dal territorio della Repubblica i beni che costituiscono il fondo principale di una determinata e organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica. L’esportazione dell’Uomo vitruviano non è consentita, quindi, anche in funzione della sua appartenenza al “fondo principale” ovvero al gruppo di opere definite “inamovibili” e che ricoprono un ruolo determinante all’interno della raccolta del museo. In virtù di quanto sancito dall’art.66 e delle generali norme di conservazione e tutela dei beni culturali, il divieto di espatrio appare più che giustificato. Eppure l’Uomo vitruviano si trova a Parigi in questo momento e ci si chiede come questo sia potuto accadere. Montanari ha provato a spiegarcelo.

Nel 2018 la formazione del nuovo governo Lega-M5S muta in maniera significativa i rapporti con il governo francese e di lì a poco, con il pensionamento di Paola Marini, Giovanni Panebianco, già Segretario Generale del Ministero dei Beni Culturali assume la direzione pro tempore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il riferimento a questi due episodi, solo apparentemente scollegati tra loro, è importante per comprendere in che modo le tensioni diplomatiche con la Francia e la nomina di Panebianco abbiano avuto delle ripercussioni sul “Caso Leonardo”. Poco dopo, infatti, quando Giulio Manieri Elia viene nominato nuovo direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Giovanni Panebianco ha l’accortezza di informarlo di aver richiesto, su consiglio dell’allora Ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli, all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma di compiere ulteriori rilievi sulle condizioni conservative dell’Uomo vitruviano in virtù di una rivalutazione della richiesta di prestito. I nuovi rilievi, eseguiti, tra l’altro, non a diretto contatto con l’opera ma attraverso la valutazione delle fonti fotografiche e l’analisi delle schede conservative precedentemente redatte, ribadiscono la fragilità dell’opera ma non la assumono come vincolo per l’esportazione.

Il “cambio di rotta” adottato da Panebianco è la conferma di come la componente politica italiana si stia appropriando, in maniera sempre più invadente, della gestione della tutela del patrimonio culturale che dovrebbe essere affidata al Consiglio Generale del Ministero dei Beni Culturali, l’organo tecnico e competente in materia. Con il recente cambio di governo e con la conseguente nomina di Dario Franceschini a Ministro dei Beni Culturali le cose non sono cambiate, anzi. Il DPCR 76/2019 assegna il compito di stabilire gli accordi internazionali finalizzati alla realizzazione di mostre e manifestazioni al direttore generale dei musei. L’attuale direttore generale dei musei Antonio Lampis non ha tardato ad inviare una lettera a Giulio Manieri Elia nella quale scrive, per avvertirlo della possibilità di rivalutazione della richiesta di prestito: nella tradizionale ottica dello scambio tra musei il prestito sarebbe da negare perché il seppur ridotto rischio descritto nell’ultimo e più recente parere rilasciate dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro [quello non effettuato a diretto contatto con l’opera, n.d.r.] non pare corrisposto da un sufficiente vantaggio per le Gallerie dell’Accademia [si ricorda che l’esposizione prolungata del disegno leonardesco alla luce determina la reclusione di almeno cinque anni, n.d.r.]. Tuttavia vanno considerate le predette ragioni di diplomazia culturale e qualora venisse sottoscritto dai ministri un memorandum la signoria vostra potrà giustificare l’eventuale consenso al prestito. Qualche giorno dopo l’invio della lettera i rispettivi ministri del governo francese e italiano hanno stipulato il memorandum d’intesa stilando l’elenco delle opere coinvolte nel reciproco scambio, tra cui l’Uomo vitruviano. Si spiega così la dichiarazione addotta dal Tar per giustificare il rifiuto del ricorso operato da Italia Nostra: il TAR considera più rilevanti le perizie dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma rispetto ai rilievi maggiormente cautelativi precedentemente formulati dal responsabile del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie dell’Accademia e dal Funzionario restauratore conservatore. Per risolvere, invece, il “problema” dell’appartenenza dell’opera al fondo principale del museo, il Tar ha apportato l’assenza di un’esplicita dichiarazione di rifiuto da parte della precedente direttrice e le successive giustificazioni addotte dal direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Dichiarazioni, come abbiamo visto, più che fragili dal punto di vista argomentativo ma che, tuttavia, sono state assunte come prova per la trasportabilità dell’opera. A questo proposito Mariarita Signorini, presidente del Consiglio Regionale della Toscana di Italia Nostra, ha dichiarato che: Se l’essere inseriti nella lista dei beni che appartengono al fondo principale di una galleria o di un museo non riesce ad impedire l’espatrio di un’opera identitaria e se le indicazioni dei restauratori e conservatori sono tutte opinabili, allora oggi non è un bel giorno per la tutela in Italia. Le perplessità della Signorini non possono che essere condivisibili. La tutela del già fragile patrimonio culturale italiano, che dovrebbe essere giuridicamente garantita dal Codice e tecnicamente gestita da un gruppo di esperti in materia, viene invece continuamente violata da decisioni politiche del tutto arbitrarie.

La politica italiana sta portando avanti delle strategie di gestione del patrimonio culturale che non prendono in considerazione alcun principio etico e giuridico in materia di tutela e che hanno trasformato la valorizzazione in un’operazione economico-finanziaria del tutto dissociata dagli obblighi conservativi.

A fronte di queste considerazioni è ancora più inquietante rilevare che il principio sancito dall’art. 48 comma 3 in materia di Autorizzazioni per mostre ed esposizioni è stato completamente ribaltato. L’articolo afferma che, anche se in virtù del concetto di demanialità dei beni appartenenti allo Stato, ciascun cittadino ha il diritto di fruire liberamente dei beni culturali, questo non può prescindere dalla necessità conservative del bene coinvolto e che, di conseguenza, l’osservanza degli obblighi conservativi e dei principi di tutela dell’integrità fisica del bene sono prioritari. Il permesso di trasferimento dell’Uomo vitruviano contraddice del tutto questo rapporto: la tutela è subordinata a strategie economiche neoliberiste, alle leggi del mercato e al “successo mediatico” dell’icona leonardesca.

Anche se basterebbe la lettera di Lampis per comprendere a che livello di incoerenza sia giunta la politica di gestione patrimoniale dell’Italia, un’ulteriore puntualizzazione deve essere fatta nei confronti della sottile operazione di legittimazione che è stata fatta successivamente. Giulio Manieri Elia ha firmato l’autorizzazione al prestito giustificandola in questi termini: valutata la eccezionale rilevanza mondiale dell’esposizione nonché l’aspirazione del paese a valorizzare al massimo le potenzialità del suo patrimonio.

È, a questo punto, inevitabile porsi una domanda: che cosa si intende con il termine valorizzazione? Come comportarsi davanti alle reiterate violazioni della politica italiana in materia di tutela e conservazione e alla deliberata esclusione di figure competenti dalla gestione del patrimonio? Come arginare la graduale distorsione del concetto di valorizzazione che, da essere un’attività di consolidamento dei principi cardine della tutela, si è inserito malamente all’interno del circuito finanziario piegandosi alle logiche del mercato e dell’industria culturale? L’unica soluzione sembra essere quella di risalire all’origine del concetto di tutela, agli eventi che ne hanno determinato la teorizzazione. Le prime norme di tutela dei beni culturali risalgono alla seconda metà del XV e vennero emanate proprio in relazione al saccheggio di beni storici e archeologici operato dal collezionismo privato. Nel corso dei secoli, la crescita del mercato dell’arte impose una regolamentazione della dei beni culturali fino all’emanazione di tutta una serie di normative che ne disciplinavano la compravendita e l’espatrio. Nel corso del periodo napoleonico si assistette alla prima grande violazione di queste norme e a uno degli episodi più consistenti di dispersione patrimoniale; neanche le successive trattative di restituzione avviate in seguito al Congresso di Vienna avrebbero rimarginato il solco aperto dalle confische. Il XIX e il XX secolo sono stati determinanti per la definizione di un corpus giuridico che soprintendesse in modo specifico riguardo le discrasie presenti in materia di tutela e conservazione.

Nel corso del XX secolo si è assistito, tuttavia, ad una mercificazione in senso nazionalista dell’arte italiana. Il regime fascista ha piegato il valore culturale dell’arte alla retorica propagandistica: le innumerevoli esposizioni organizzate in quegli anni avevano come unico obiettivo quello di esportare l'”italianità” senza alcun riguardo per le opere che venivano trattate come asettici status symbol. Furono operazioni che non solo misero a rischio moltissime opere d’arte, ma ne snaturarono anche volgarmente il loro significato storico-artistico. Ciò che è peggio è che l’imbarbarimento delle attività con finalità pseudo-culturali e l’assuefazione degli interventi di valorizzazione alle logiche del mercato continuano ad essere perseguiti come criteri di gestione della politica patrimoniale. Una via d’uscita sembra aprirsi con l’art. 9 della Costituzione italiana: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. La forte associazione del concetto di promozione dello sviluppo con quello di tutela del patrimonio storico-artistico avvalora l’idea che una corretta gestione e valorizzazione del patrimonio culturale possa essere una guida per il progresso sociale. Una prospettiva illuminante ma inspiegabilmente messa da parte. Il patrimonio culturale, come dimostra il “Caso Leonardo”, è ancora trattato come una pedina nelle mani dei politici, pronto ad essere sacrificata al momento opportuno nel corso delle trattative diplomatiche internazionali.

Quello che, non da storici dell’arte, ma da cittadini occorre fare è ancorarsi saldamente al pur debole apparato giuridico italiano in materia di tutela e conservazione e battersi affinché venga rispettato. Inserendosi nel dibattito, Antonio Natali, ex-direttore della galleria degli Uffizi di Firenze, sostiene che: Occorre cambiare l’attitudine nei confronti del patrimonio culturale e fare in modo che la museologia ritorni ad essere una disciplina vòlta all’educazione e all’affinamento del gusto, invece che piegata all’esigenze economiche […] La cosa più pericolosa delle attuali politiche di gestione del patrimonio culturale è che non se ne percepiscono i danni i quali non coinvolgono soltanto il nostro patrimonio, ma anche e soprattutto la complessione etica e intellettuale del nostro Paese.

Nell’attesa di raggiungere un maggior grado di consapevolezza nei confronti del nostro patrimonio possiamo impegnarci a discutere criticamente e a lasciare, noi stessi, testimonianza del nostro patrimonio culturale sull’esempio del buon caro e vecchio Giorgio Vasari: Il che [lasciare testimonianza scritta] ho io però fatto, non tanto trasportato dalla affezzione della arte, quanto mosso dal benefizio et utile comune degli artefici miei. I quali avendo veduto in che modo ella [l’arte], da piccol principio, si conducesse a la somma altezza e come da grado sí nobile precipitasse in ruina estrema […] potranno [tutti coloro che hanno a cuore l’arte] ora più facilmente conoscere il progresso della sua rinascita; e di quella stessa perfezzione […] et a cagione ancora che se mai (il che non acconsenta idio) accadesse per alcun tempo, per la trascuraggine degli uomini o per la malignità de’ secoli o pure per ordine de’ cieli, i quali non pare che voglino le cose di quaggiú mantenersi molto in uno essere, ella [l’arte] incorresse di nuovo nel medesimo disordine di rovina, possino queste fatiche mie, qualunche elle si siano (se elle però saranno degne di piú benigna fortuna), per le cose discorse innanzi e per quelle che hanno da dirsi, mantenerla in vita […].

  • Riferimenti bibliografici per eventuali approfondimenti:
    A cosa serve Michelangelo, Tomaso Montanari, 2011, Einaudi
  • Contro le mostre, Tomaso Montanari, 2017, Einaudi
  • Articolo “L’arte finisce come la Rai: nelle grinfie della politica” su “Il Fatto Quotidiano”, di Tomaso Montanari
  • Articolo integrale di Antonio Natali su “Artribune” (https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.artribune.com%2Fprofessioni-e-professionisti%2Fpolitica-e-pubblica-amministrazione%2F2019%2F10%2Fprestito-uomo-vitruviano-leonardo-editoriale-antonio-natali%2F%3Ffbclid%3DIwAR18INN9RqZ1ttujNkumEwFCrZcXt8sZmJaNyFo9fKm1vY2VVSvjmOO6iQA&h=AT3XaBrz9aX73AkIv-2Uu0BSvvtzyevjnfe4JPjoMdVBogWbsb1BdW1ccUWAyQHGmHL-bBJgdxRn6tVsq28FPwfDsJfud0ynEWmYI7115UhHbeDrDx5Iwh4dfukqUf0oafdN)
  • Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori: nelle redazioni del 1550 e 1568, Giorgio Vasari, a cura di Paola Barocchi e Rosanna Bettarini, 1966, Firenze, Sansoni
  • Codice dei Beni Culturali e del paesaggio (D.LGS. 22 gennaio 2004, n. 42)

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