L’invisibile disastro ambientale in un cupo cielo grigio d’un giorno d’aprile

Lo scorso 26 aprile, oltre ad essere stato il giorno “x” di una quarantena infinita, è stato il giorno del 34° anniversario dell’incidente di Chernobyl.

Aprile 1986, Ucraina

È il 26 aprile e uno dei reattori della centrale nucleare di Prypjat esplode provocando un disastro di dimensioni epocali e danni di cui ancora oggi scontiamo gli effetti. 

La reazione dei dirigenti politici sovietici non è immediata, anzi si sottovaluta – come spesso accade con situazioni nuove e difficili – la gravità dell’incidente e solo dopo settimane si riescono a domare le fiamme e a prendere misure contenitive delle radiazioni che si sono, in seguito all’esplosione, liberate nei cieli ucraini e ben presto di tutta l’Europa e parte dell’Asia. 

Ad emergenza rientrata, si assumono tutte le precauzioni del caso: Prypjat diventa la città fantasma che oggi noi conosciamo. Viene creata una struttura di contenimento delle radiazioni a copertura del reattore esploso (il c.d. sarcofago) e si delimita una zona di alienazione, cioè un’area che copre un raggio di circa 30km attorno alla centrale di Chernobyl completamente disabitata e soggetta ad un regime amministrativo speciale. 

Aprile 2020, Ucraina

È il 13 aprile e Kiev, come il resto delle città ucraine, è assoggettata ad un regime più o meno restrittivo di distanziamento sociale e di restrizione della mobilità per contrastare la diffusione del coronavirus, l’attuale nemico invisibile comune a tutto il mondo. Eppure, Kiev ha un altro nemico invisibile da contrastare. Dal precedente 4 aprile, la zona d’alienazione attorno all’ex centrale nucleare di Chernobyl brucia e il 13 aprile una nube nera come la pece copre il cielo di Kiev. Le autorità ucraine non consigliano più solo di restare in casa, ma anche di chiudere le finestre: il vecchio scheletro accuratamente rinchiuso nell’armadio torna a bussare alla porta. Prepotentemente

Se la zona di esclusione brucia, vuol dire che le radiazioni assorbite dalla vegetazione in quell’area tornano a infestare l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo; le particelle radioattive tornano ad essere trasportate dai venti, si diffondono e disperdono fino a trovare sosta e depositarsi sui fiori sui nostri davanzali, sull’erba meticolosamente tagliata del giardino del vicino, e anche una boccata d’aria fresca affacciati alla finestra non ha più lo stesso effetto benefico di prima, sebbene il sapore sia lo stesso. Le radiazioni tornano a contaminare la natura; le radiazioni tornano a minacciare la nostra salute

Il 6 aprile erano 100 gli ettari di foresta a bruciare e i Servizi Governativi dichiararono che le radiazioni avevano superato i livelli di normalità, sebbene non avessero raggiunto il livelli agghiaccianti del disastro nucleare del 1986. I vigili del fuoco, particolarmente in difficoltà a causa della radioattività della zona, hanno ricevuto un grosso assist dalle piogge del 14 aprile che hanno contribuito a spegnere le fiamme vive, sebbene qualche focolaio fumante sia ancora presente. 

Gli incendi nella zona di esclusione e altre zone limitrofe non sono, purtroppo, una rarità. Infatti, dopo l’incidente dell’86 l’area è stata completamente abbandonata e la vegetazione ha incominciato a crescere liberamente, aumentando così la copertura forestale; i cambiamenti climatici degli ultimi anni, inoltre, hanno provocato un generale incremento delle temperature e una riduzione delle precipitazioni, sicché la siccità è aumentata; infine, l’area ha incominciato a stimolare gli appetiti economici di qualche speculatore scellerato e le pratiche agricole legate al disboscamento illegale sono aumentate. L’insieme di questi fattori rende gli incendi degli eventi normali anche in luoghi off-limits come la zona di alienazione. Così, un po’ spontaneamente, un po’ con il contributo di sconsiderati piromani guidati dal dio denaro, la vegetazione di Prypjat brucia e le fiamme, talvolta, giungono anche sino ai villaggi limitrofi

Gli incedi boschivi sono all’ordine del giorno ovunque, eppure se questi interessano una città come Prypjat e un’area boschiva come quella attorno all’ex centrale nucleare di Chernobyl c’è da preoccuparsi – più di quanto non si faccia normalmente. 

Infatti, le conseguenze negative del fall-out – ossia l’inquinamento nucleare successivo all’esplosione del reattore della centrale nucleare – si subiscono ancora oggi. Del resto eravamo stati avvertiti dagli scienziati: delle radiazioni non ci si libera nel corso di qualche decennio. L’inquinamento radioattivo è, forse, il peggiore: persiste per secoli, non lo si percepisce ed è quiescente. Basta un nonnulla perché le radiazioni tornino a contaminare il suolo, l’acqua e gli alimenti; basta un nonnulla perché gli animali tornino a morire; basta un nonnulla perché la nostra salute sia messa a repentaglio. 

La situazione per ora è costantemente monitorata e i vigili del fuoco continuano instancabilmente ad occuparsi dei focolai. Insomma, il Covid-19 potrebbe non essere l’unica immediata minaccia invisibile e silenziosa da affrontare. 

lorena bisignano

Studentessa di giurisprudenza.

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