L’Italia, un paese sconfitto da eterne partite di calcio
“L’Italia nei momenti di crisi peggiore rivela il meglio di sé”, è una frase ripetuta molte volte nei discorsi quotidiani, sui giornali o nei programmi di discussione politica. Assumendo per vero quanto affermato, proviamo a pensare alla vita del nostro Paese nei momenti di emergenza e di normalità, tralasciando i problemi storici ed esaminando solo il dato politico.
Negli ultimi dieci anni quanti governi ci sono stati alla guida del Paese? Ad ogni sperato cambiamento abbiamo visto partire alla carica l’ennesimo leader, con grandi promesse di riforma poi evolute in sfacciataggine, manie di grandezza, abusi di potere, disonestà intellettuale, populismo mediatico alimentato a dismisura dai social network, usati come potenti strumenti di propaganda.
Dato per assodato che la politica è un fenomeno di relazione umana e quindi, per natura, imperfetta, concentriamoci a titolo d’esempio su alcuni protagonisti recenti. Parliamo di Renzi, Salvini, Zingaretti, Di Maio, Conte, Meloni, Berlusconi: ognuno di loro ha sempre associato al proprio operato un nemico montato ad arte, comunisti, grillini, gufi, immigrati, populisti, sovranisti, poteri forti…etc..
Solo fino a qualche giorno prima dello scoppio dell’emergenza virale, il gruppo Italia Viva di Matteo Renzi stava progettando la caduta del governo Conte bis per rimuovere il Presidente del Consiglio dalla propria carica per fini di controllo parlamentare. Matteo Salvini l’estate scorsa aveva fatto cadere un governo di cui era azionista di maggioranza, vedendosi sfumare l’opportunità di nominare il nuovo Commissario europeo in quota di partito. Arrivato il Coronavirus, Zingaretti faceva aperitivo ai Navigli di Milano, deridendo chi lanciava l’allarme epidemico, salvo infettarsi lui stesso mettendo a rischio la vita di altre persone. Per quanto riguarda Di Maio e i Cinque Stelle, hanno semplicemente fatto il contrario di quanto avevano promesso, perché spesso irrealizzabile o ideologicamente e materialmente fasullo (vaccini, TAV, TAP). Giuseppe Conte, premier per caso, pochi giorni fa ha chiamato in causa le opposizioni durante un messaggio sulla principale rete televisiva italiana, abusando della propria posizione istituzionale (il MES è stato approvato tra il 2010 e il 2012 da tutte le forze politiche italiane di allora, democratici compresi). Meloni, che in seguito lo ha accusato di usare modalità da regime dittatoriale, ha forse dimenticato di essere un’ex militante del Movimento Sociale Italiano. Berlusconi per tattica ha sempre cambiato idea ogni due secondi: prima a favore degli Eurobond, ora contrario.
Insomma sono evidenti le lacune logiche, di razionalità, di rispetto delle istituzioni e di dialogo per risolvere i problemi, con l’inevitabile conseguenza di non giungere mai all’approvazione di un piano di emergenza condiviso. Per questo il governo italiano, seppur dotato dei migliori tecnici ministeriali, arriva a nominare l’ex a.d. Vodafone Vittorio Colao commissario e “cervello operativo” della riapertura industriale, nonché garante del mondo finanziario che ci guarda con sospetto.
Appare chiaro come non si sia creata alcuna differenza sostanziale negli atteggiamenti politici fra prima e dopo l’emergenza. Ma ingrandiamo l’angolo visuale, e arriviamo al punto. Che effetti ha creato questa totale radicalizzazione politica nel nostro Paese, simile ad una tifoseria calcistica da stadio?
Potremmo dare tante risposte. La più grave è che è negli ultimi trent’anni è stata demolita pian piano la classe dirigente italiana, ovvero l’insieme di quelle persone che esercitavano un ruolo determinante nella vita politica, economica e sociale del Paese. Si badi che il problema non è fisico: siamo comunque dotati di un governo e di un Parlamento, di sindacalisti, industriali, associazioni. Il problema sta a monte e riguarda l’aspetto morale, etico, di preparazione civile, politica giuridica, economica, storica e soprattutto di sensibilità nel comprendere e risolvere i problemi del popolo nel rispetto dei precetti della Costituzione, che sul punto parla chiaro.
Sono due in particolare le partite mai finite e che hanno travolto e congelato l’Italia negli ultimi anni: la guerra civile incompiuta del 1943-1945, terminata senza una reale interiorizzazione del ruolo italiano durante il fascismo e della successiva lotta partigiana (per questo la contesa fra “fascisti e comunisti” continua tutt’oggi in modo deleterio). Più recente è la guerra politico-giudiziaria iniziata nel 1992 con Mani Pulite e causa di uno scontro costante fra poteri dello Stato.
Ogni giorno conflitti inconcludenti impazzano nei media sotto forma di fake news, sboccati scontri verbali, dichiarazioni contrarie al rispetto delle istituzioni, scandali giudiziari, azioni che puntano al consenso popolare senza risolvere nulla.
Possiamo concludere che, mancando classe dirigente, l’Italia nemmeno nei momenti di crisi peggiore è in grado di rivelare il meglio di sé. Pertanto la frase che all’inizio avevamo assunto per vera si rivela necessariamente falsa.
Se il nostro Paese vorrà riscattarsi dovrà seriamente tornare ad investire nel capitale umano dei giovani, impegnandosi a includerli nel sistema decisionale, attraverso scuole di politica, gruppi di discussione civica, tirocini lavorativi orientati all’apprendimento di buone pratiche gestionali fondate sulle competenze, dialogo fra le parti (stop ai buoni contro i cattivi, al ‘con me o contro di me’), rispetto istituzionale, umiltà personale, preferendo il senso di appartenenza alla comunità che l’individualismo narcisista. In sintesi applicando i valori e i precetti costituzionali.
In caso contrario questo grottesco campionato calcistico giocato sulla pelle del Paese ne comprometterà ancora il futuro per molti anni a venire.