Studio di filosofia del linguaggio

SULLE VIE PER AVVICINARSI ALL’ESSERE

Scriveva Wittgenstein: “Noi lottiamo contro il linguaggio. Siamo in lotta contro il linguaggio[1]. Esiste insito nell’uomo uno scarto tra ciò che è e ciò che lo rende tale. È all’interno di questa contraddizione che indubbiamente ognuno di noi vive.

Fin da quando l’umanità ne ha memoria si è contraddistinta per una forma più o meno complessa di simbolismo in grado di renderci più umani e allo stesso tempo più distanti dalla nostra umanità. Nietzsche disse che l’uomo è il più grande genio costruttore, avendo dato i natali ad un’illusione (il linguaggio) dimenticandone la natura illusoria. [2] Finiamo così per muoverci all’interno di una realtà nominalmente costruita, per così dire artificiale, con la quale lottiamo ogni giorno, nel tentativo di sottrarcene. Questo vale per colui che non ha ancora abbandonato il desio di avvicinarsi alla verità, e quindi credo ormai per pochi uomini.

Per esser chiari quando nominiamo un oggetto (e questo può esser fatto per ogni cosa) la nominiamo non in sé ma in rapporto a ciò che siamo. Questo lo comprese e lo espresse già indubbiamente Kant: “(…) che noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello stesso che noi stessi vi mettiamo”. [3] Parlar quindi di bottiglia, tavolo, penna non significa nominarli in quanto tali, ma nel limite della prospettiva umana.

Esiste un orizzonte che tende a sfuggirci, pur vicino ma sempre distante. Di conseguenza l’uomo pur nominando il mondo nel tentativo di sottrarre la distanza tra sé e questo, e cercando per la via di esso la propria umanità, se ne allontana regredendo. È senz’altro vero ciò che disse Calvino, ossia che nominare comporta il tentativo incessante e straordinario di gettare un ponte tra noi e la realtà[4]. Questo ponte, tuttavia, è fatto di cristalli, della fragilità dell’illusione di cui parlava Nietzsche.

Restano così due strade prettamente (ma non del tutto) percorribili: progredire o regredire. La prima, la via che convenzionalmente chiameremo del progresso consiste nel continuare a reiterare lo studio del linguaggio osservandolo nella sua complessità, costringendoci come mosche felici nella ragnatela delle sue parole. La seconda, la via che convenzionalmente chiameremo del regresso, consiste nella rinuncia a questo linguaggio per tentare di avvicinarci come mosche cieche ad una realtà da noi non nominata. Ciò è quel che fecero alcuni filosofi, tra i quali Heidegger dopo la Kehre.

È chiaro, che per le mosche (ossia per noi) entrambe le vie non rappresentano sentieri felici. La prima rappresenta una prigione, la seconda un tentativo impossibile, come illuminar una foresta buia senza luce. In particolare, questa seconda strada è impercorribile per l’uomo comune. Io stesso utilizzo un codice linguistico per parlar con me e con voi. Forse tale destino sarebbe percorribile solo da un uomo (ma lo sarebbe realmente?) assolutamente solo, da un pazzo o da un poeta capace di tradire la sua stessa natura più intimamente umana. Tal uomo, mi persuado di credere, diverrebbe un martire della ricerca linguistica. Disse Kitarō Nishida: “Quando noi pensiamo le cose, deve esserci qualcosa come un luogo che le rispecchia[5]. Quando questo luogo verrà infine trovato ben poco resterà dell’umanità: sarà l’avvento del vero Übermensch. Una vita “che si esprime anche solo con sé stessa”. [6] Una nuova civiltà capace di coglier le cose nello sfondo del loro essere. Essa scoprirà una nuova verità, guardandola con la medesima meraviglia con cui l’uomo ha veduto per la prima volta la luce del sole.


[1] Wittgenstein, Ludwig, Pensieri diversi, trad. it. di Ranchetti Michele, Adelphi, Milano, pg.33, 2021 (nota del 1931)

[2] Nietzsche, Friedrich, Su verità e menzogna in senso extramorale, trad. it. Colli Giorgio, Adelphi, Milano, 2015

[3] Kant, Immanuel, Critica della ragion pura, prefazione alla seconda edizione, trad. it. di Gentile Giovanni, Lombardo-Radice Giuseppe, Laterza, Roma-Bari, 2017, pg.18

[4] Calvino, Italo, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2012

[5] Nishida, Kitarō, Luogo, trad.it. Fongaro Enrico, Mimesis, Milano, 2012, p.33

[6] Pasolini, Pier Paolo, Poeta delle ceneri, RCS Libri, Milano, 2010, p. 59

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