Sempresialodato, Mattarella reloaded -2/2

Il Quirinal Game è terminato: il dramma della politica italiana sintetizzato in una settimana. Un terremoto che ha travolto tutte le forze politiche, impreparate a logiche elettorali inedite in cui i segretari ed i leader escono sconfitti da franchi tiratori e parlamentari non tesserati: i veri protagonisti della rielezione di Mattarella. D’altra parte non sarebbe utile trovare il bandolo della matassa e fare una cronistoria della tragedia dei partiti, per cercare di comprendere gli errori, le ansie da prestazione, gli ammiccamenti. Che poi si sa già com’è andata:

PDC: Partito Democratico Confuciano. Ma i dem lo sanno che si avanzano le candidature? Riavvolgiamo il nastro – ci metto pochissimo giuro – tutto ha inizio il 2 dicembre 2021. Il Paese era immerso in due problematiche cruciali: il caro bollette e capire se a Natale ci si sarebbe potuti riunire, senza che nessun membro del nucleo familiare dovesse fare il viaggio nel bagagliaio per evitare le multe dei vigili. Nel frattempo dal Tempio del Nazareno, tre senatori del Partito Democratico avanzavano una proposta per inserire in Costituzione il divieto esplicito di secondo mandato del Capo dello Stato. Considerando, però, che una riforma costituzionale impiega almeno un anno per essere approvata definitivamente, il contenuto della riforma non si sarebbe mai applicato all’elezione di questo gennaio bensì all’elezione successiva: il disegno di legge era una chiara comunicazione d’intenti rivolta al presidente uscente Mattarella: “Sergio resta, dopo sarà tutto diverso, non sbaglieremo più”. “Abbi la fedeltà e la sincerità come primi princìpi”. Letta, alla vigilia dell’elezione e con la ristrutturazione confuciana del partito già ultimata, aveva ideato una strategia opposta alla tipica fissione atomica della sinistra: chiudersi a riccio. “Non importa quanto vai piano, l’importante è che non ti fermi”. Una chiusura simile ai ritiri sportivi delle squadre di calcio, ma dentro la Camera dei Deputati; una clausura somigliante alle meditazioni collettive di Osho o alla celebre preghiera di gruppo descritto da Leonardo Sciascia in Todo Modo, ma rivolta a Mattarella. Tutti dentro, nessuna corrente esclusa. “La fortuna premia gli audaci” infatti il primo a bussare ai monaci democratici è stato proprio l’avversario più incorruttibile, Matteo Salvini (si vocifera munito di salvagente ai fianchi). La strategia di Letta ha funzionato: ha rieletto il candidato segreto del partito (nonostante il candidato segreto avesse già fatto intendere il suo velato dissenso) ed ha anche evitato l’esplosione del Pd. Verosimilmente, se si fosse ripetuta la stessa situazione di Prodi nel 2013, Letta si sarebbe dimesso, dopo nemmeno un anno di segreteria, e il Pd sarebbe imploso. Per i progressisti italiani è un bel giorno, sereni tutti, l’avete scampata: il partito esiste ancora. “I saldi, i resistenti, i semplici, e i modesti sono vicini alle virtù”.

Gruppo studio: laboratorio di scissioni. Iniziamo col dire che Giuseppe Conte non se l’aspettava ma d’altra parte una soluzione doveva trovarsi, del resto Montecitorio era già occupato dal compagno-zen Letta, riunirsi in piazza, come l’ultima volta, era fuori discussione perché a gennaio fa freddo e Roma era inondata dai giornalisti; in ultimo si era proposto casa dell’ex premier ma la creatùra riposava e non si poteva fumare. Il direttivo del primo partito in Parlamento, si era improvvisamente reso conto che, mentre tutte le anime del Movimento spendevano le loro energie nel capire come includere gli iscritti nella scelta delle candidature, nessuno aveva previsto DOVE riunirsi. C’è voluto un po’ ma la quadra si è trovata: il vertice del Movimento 5 Stelle si sarebbe tenuto in un bar ad Ostia Lido, lontano dai riflettori. Tutti compatti i dirigenti del Movimento si sono diretti verso l’entrata del ristobar “il masculino” dove ad attenderli sulla soglia c’era un giovane cameriere in tuta acetata. “Buonasera, un tavolo per 13” esclama Conte, “Presidente posso farle tre tavoli da quattro e le aggiungo una sedia in uno, queste sono le regole”. Cala un silenzio glaciale. Conte balbetta mentre inizia a sudare freddo. Nervosamente si toglie prima il giubbotto e poi la cravatta: “minchia, il covid” sussurra a bocca socchiusa. Dopo aver fatto prendere posto nei tre tavoli di alluminio, Conte prende la parola: “Adesso ci dividiamo il lavoro, ma niente correnti, capito? Non una scissione”. Il resto è storia. Da quanto ha ricostruito la nostra redazione, parrebbe che ogni tavolino abbia partorito tre correnti e ciascuna corrente abbia scelto due candidati papabili. Indelebili due momenti: la proposta di candidare Liliana Segre, 91 anni; e #unadonnapresidente, qui c’è da essere puntuali perché chi ha criticato (“una donna a caso eh?” “#unamammaperamica”) ha ampiamente frainteso. Siamo qui per chiarire: l’ex premier non si riferiva ad una figura femminile esistente bensì ad un nuovo prototipo di musa repubblicana, La Donna Quirinale, un demiurgo a-partitico e inintelligibile a cui delegare le inadempienze della politica italiana. Uno slancio tecnocratico di matrice divina tuttavia troppo sofisticato per i partiti tradizionali, non abituati a vivere nella rete, e perciò non colto da Salvini e Letta. Spiace. Il partito adesso è sull’orlo della polverizzazione e Conte pare stia provando a ricomporlo con cazzuola e cemento: riusciranno i movimentisti a predisporsi in assetto antisismico prima dell’appuntamento elettorale? La scommessa è aperta, io tifo per Di Maio.

Chi trova un nonno delle istituzioni trova un tesoro. Draghi non è stato un nome qualunque, di una settimana movimentata. Draghi era il nome che tutte e tutti tenevano in mente, ma nessuno riusciva a pronunciare. Dentro Montecitorio sembrava perennemente una notte agostina, la cappa di inquietudine che come umidità si posava sulle sagome dei 1009 grandi cerebri, rallentandone le capacità decisionali. In Transatlantico serpeggiavano le prime leggende su un gruppo di grandi elettori spariti dalla circolazione in quanto rei di aver chiesto chiarimenti nei bagni di Montecitorio, scrivendo sulle pareti: “ma quindi Draghi è candidato o no?”. Scomparsi che nemmeno Majorana! D’altro canto dopo l’archiviazione dell’”operazione scoiattolo”, tutti davano l’elezione di Draghi per certa tuttavia d’improvviso un dubbio ha invaso i corridoi dei palazzi romani. I grandi elettori di destra da una parte, quelli di sinistra dall’altra, si osservavano, si studiavano e si domandavano: “ma senza Draghi che mi tiene, io come faccio a non saltarti addosso?”. La stessa domanda se l’erano posta anche Letta e Salvini, Renzi e Conte, Tajani e Speranza quando Mario Draghi aveva proposto, tra le righe durante una conferenza stampa del Governo, il suo nome: calo di pressione e conseguente svenimento di tutti i leader della maggioranza che, soccorsi da parenti e amici, si sono incontrati tutti in guardia medica. Lì, davanti ad un pacco di biscotti, la nascita del patto trasversale: costruire il Quirinale senza mai sfiorare il Presidente del Consiglio. Il banchiere romano come il talamo di Elena ed Ulisse della mitologia, l’elemento attorno al quale è edificato tutto. Ecco spiegati i contorsionismi degli schieramenti perchè nessuno proponesse l’elezione del premier al Colle e il colorito latteo dei capi partito quando i giornalisti domandavano di Draghi. Mario Draghi, il nuovo Innominato. D’altra parte ora il governo durerà fino alla fine della legislatura. Giusto?

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