L’arte di viaggiare – Intervista a Carlo J Laurora
“[…] la lezione che ho imparato da queste esperienze, e che mi porto dietro anche ora, è quella di fidarmi degli altri. Quando hai un problema, è molto probabile che con una persona del posto tu riesca a risolverlo più facilmente che facendo da solo”.
Oggi intervistiamo Carlo J Laurora – su Instagram @italianyes -, originario di Trani, ex studente di Giurisprudenza che nel 2017 ha rischiato tutto lasciando l’università e iniziando a collaborare con agenzie di viaggi per organizzare viaggi di gruppo. Qualche anno dopo, con altri sei soci ha fondato “SiVola”, un tour operator a tutti gli effetti, che però è un qualcosa di straordinario, perché “SiVola non è solo noi sei che l’abbiamo fondata, ma è anche tanti altri viaggiatori che coordinano i viaggi, ragazzi che hanno sempre viaggiato e che mettono a disposizione le loro conoscenze e le loro esperienze per condividerle con chi viene con noi e ci segue”.
Nel 2018, Carlo ha percorso un lungo viaggio via terra sulla “Via della Seta”, dalla Cina all’Italia senza mai prendere aerei, ma solo spostandosi tramite mezzi pubblici e autostop. Dagli appunti del suo diario di viaggio ha scritto un libro che racconta la sua avventura: “Abito il mondo”.
Da metà luglio di questo anno percorrerà la Panamericana, partendo dall’Alaska e arrivando in Argentina, sempre stando con i “piedi per terra”.
- Qual è stato il viaggio che ti ha più segnato?
Il viaggio che ha dato una svolta al mio modo di viaggiare e di intendere cosa davvero significhi è stato quello in Islanda nel 2012. A quel tempo non era ancora una meta turistica come oggi, dove tanti, con i vari social ecc. hanno visto delle foto e ce l’hanno come sogno: dieci anni fa si sapeva a malapena qualcosa di questo luogo. Comunque, quella volta io e tre miei amici abbiamo preso le tende, noleggiato una vecchia auto, la più economica, e siamo partiti per l’Islanda. Abbiamo fatto il giro della Ring Road ed è stato un viaggio che mi ha stravolto, mi ha aperto un mondo di cui non ero a conoscenza: ho capito che volevo fare questo nella vita, volevo viaggiare, volevo provare quella sensazione di libertà. È stato un punto di svolta importantissimo per me.
- Come organizzi viaggi lunghi come quello della “Via della Seta” e come ti finanziavi all’inizio?
In realtà, io non programmo mai nulla. Ad esempio, nel caso della “Via della Seta”, semplicemente avevo deciso che sarei partito dalla Cina, da Shanghai, e che sarei dovuto arrivare in Italia senza prendere aerei. Non avevo una rotta ben precisa, andavo finché le cose andavano bene… sarà un po’ lo stesso “mood” che adotterò nel prossimo viaggio.
Per quanto riguarda i finanziamenti, quando ho percorso la Via della Seta già organizzavo viaggi di gruppo e già mi finanziavo con il lavoro; perciò avevo messo i soldi da parte. Poi considera che ho speso pochi soldi perché viaggiavo davvero low cost, avrò speso 2500 euro, quindi una cifra abbastanza abbordabile considerando che sono stati 70 giorni di viaggio: molto low cost.
- Arrivando al tema centrale di oggi, il tuo prossimo viaggio sarà attraverso la Panamericana: perché hai deciso di percorrerla?
La Panamericana era un sogno che avevo da tempo, ne avevo sentito tanto parlare e avevo visto documentari in merito: avevo questa cosa in testa insomma. Però sai bene che anche se i sogni sono sempre lì, spesso li metti da parte e poi rimangono nel cassetto e non si realizzano. Invece, con lo stile di vita che ho, posso prendermi un tempo come sei mesi e allora ho detto: “Se non lo faccio io, chi lo deve fare? Mi organizzo, mi prendo sei mesi e attraverso l’America da Nord a Sud e vediamo come va“. Ovviamente senza programmi, so solo il punto da cui partirò e il punto in cui voglio arrivare. Ci sono certamente dei posti che voglio visitare, ma in generale non so dove andrò. Dormirò in ostelli. A differenza della Via della Seta, dove eravamo in due, partirò da solo questa volta.
- Ti sono mai capitati degli imprevisti durante un viaggio e come li affronti di solito?
Diciamo che viaggiare secondo me è semplicemente “risolvere il prossimo imprevisto”: è una serie di imprevisti continui. Secondo me, quando ci si ricorda di un viaggio, principalmente ci si ricorda delle cose che sono andate storte, è ciò che “fa il racconto”. Di imprevisti ne ho risolti di tutti i tipi in questi anni, specialmente con i viaggi di gruppo.
Se vuoi girare il mondo devi avere un po’ di “problem solving” fondamentale, perché le difficoltà arrivano quando meno te lo aspetti e tu devi avere una freddezza che non ti mandi in panico, ma che ti permetta di ragionare e trovare una soluzione. Ad esempio, una volta stavamo attraversando gli Stati Uniti e la benzina stava finendo e non so come siamo arrivati ad un rifornitore, ma questo benzinaio emetteva un dollaro di benzina alla volta. Oppure immagino tutte le varie macchine andate fuori uso in posti dove non prende il telefono, e quindi ad esempio doverti far aiutare dai locali.
Secondo me, ciò che è importante nel caso di imprevisti o comunque in situazioni da affrontare, è affidarsi alla gente del posto. Ad esempio, durante la Via della Seta mi sono capitate situazioni in cui dovevo fidarmi del prossimo per riuscire a risolvere un problema. Un aneddoto che mi fa sorridere è di quando dovevo attraversare il Mar Caspio e dovevo trovare il biglietto per questa nave: ad un certo punto, arriva un tizio a bussare nella stanza del motel dove dormivo, dicendomi “domani si parte, sono cento dollari” (una cifra enorme per il Kazakistan, dove mi trovavo). Poi, in fiducia, mi ha dato un foglietto scritto a penna con l’orario in cui saremmo partiti. Chiunque non si sarebbe fidato, ma io l’ho fatto, ed effettivamente la nave esisteva.
- Ti è mai capitato di soffrire il cosiddetto “cultural shock”?
Magari mi succedeva all’inizio, quando non ero abituato a viaggiare. Mi ricordo ad esempio la prima volta che sono stato in Cina: per me è stato uno shock culturale molto forte, completamente catapultato in un mondo diverso da quello cui ero abituato. Oggi, viaggiando così tanto, purtroppo quella sensazione non la provo più: dico purtroppo perché a me piaceva sentirmi spaesato, essere “scioccato culturalmente”, provare quel disorientamento, in cui non sai cosa ti accadrà/ti aspetta. Tuttavia, devo ancora visitare l’India: forse lì riusciranno a stupirmi! Ho dei racconti dei miei amici che dicono che l’India sia un’esperienza abbastanza “forte”.
- Che consigli daresti a chi vuole intraprendere un viaggio simile al tuo?
A livello pratico, sicuramente direi di viaggiare leggeri, perché in percorsi del genere lo zaino te lo porti sempre in spalla.
Il mio consiglio vero è proprio è quello di lasciarsi andare. Io, personalmente, ho come mantra quello di fidarmi delle persone – ovviamente non in situazioni che reputo di pericolo. Nel corso dei miei viaggi, mi sono accorto che fidandomi degli altri sono riuscito a risolvere molte situazioni con più facilità che facendo da solo: perciò, cerco di lasciarmi trasportare da questa cosa e conto sull’aiuto della gente del luogo. Bisogna credere in ciò che accade, affidarsi alle persone quando ci sono delle situazioni problematiche.
- Qual è il luogo che pensi si debba visitare almeno una volta nella vita?
Visto che per me è stato un punto di svolta nella vita, ti direi l’Islanda, che anche con SiVoLa è un punto forte tra le mete proposte. L’Islanda è pazzesca dal punto di vista naturalistico: è di una potenza e magia indescrivibile, ti entra dentro e ti lascia diverso. Mi accorgo di questa sensazione non solo sulla mia pelle, ma l’ho riscontrata anche negli altri. Avendo accompagnato centinaia di persone negli anni in quell’”isola magica”, ho visto che queste persone tornavano a casa con degli occhi diversi.
- Tra tutte le tue esperienze finora vissute, ce n’è una in particolare che vorresti raccontare?
A livello umano, ciò che mi ha forse più segnato, scioccato, sconvolto, sono stati gli aborigeni in Australia. Queste popolazioni sono state espropriate della loro terra dagli attuali australiani, che li hanno costretti al centro dell’isola. Le tribù negli anni si sono date all’alcol, droghe, e si sono ridotte in condizioni terribili, al limite dell’umano. Li ho incontrati quando ho attraversato l’Australia in camper da Sud a Nord, tagliando per il deserto. L’esperienza mi ha impressionato perché ho visto questi gruppi di persone che sembravano quasi degli zombie che camminavano nel mondo dei vivi. Le uniche conversazioni che ho avuto sono state incontri nei benzinai, in cui curiosamente ci ponevano delle domande. Ciò che mi ha colpito è stata la forza che un comportamento sbagliato come quello di segregare gli aborigeni al centro dell’isola abbia portato questi ultimi a ridursi in tali condizioni, li abbia portati alla loro stessa fine. Sono scene che ho ancora impresse nella mente.