Proteste in dipartimento: cosa sta succedendo a Sociologia?

Molti di voi, in particolare se siete soliti frequentare le aule e le sale studio del Dipartimento di Sociologia, si saranno resi conto di alcuni volantini che si sono diffusi per l’università.

Il tema? La recente riapertura del conflitto tra Israele e Palestina. Niente di nuovo, apparentemente, ma in questo caso, come spesso avviene, il dibattito internazionale si intreccia con quello locale, e questo ha scatenato non pochi problemi tra le associazioni studentesche e l’università. Ma analizziamo meglio la situazione da principio.

Giovedì 12 ottobre, come risposta alla ripresa della guerra in Palestina e agli eventi del primo attacco di Hamas del 7 ottobre, uno striscione compare davanti al portone di Sociologia. 

Lo slogan che vi appare impresso non lascia decisamente spazio a interpretazioni: “From the river to the sea Palestine will be free”, motto diffuso tra diversi gruppi palestinesi, tra i quali lo stesso Hamas. A questo punto nasce la contesa.

L’Università prende le distanze e fa rimuovere lo striscione. L’artefice della protesta, il Cur (Collettivo Universitario Refresh), il quale rappresenta uno degli schieramenti radicali della sinistra associazionistica universitaria, si oppone e inizia a mobilitarsi.

È a questo punto che, tra volantini e post sui media, inizia la “battaglia” contro l’Università. Ma quali sono le posizioni delle due parti?

L’Università vede nei discorsi del Cur una profonda venatura d’odio e li critica di minare il diritto di esistere dello stato d’Israele. Sotto questa lente, le parole diffuse da tali gruppi si trasformerebbero non tanto in un discorso sul diritto di autodeterminazione dei popoli, quanto in un tentativo di completo annientamento dell’avversario e, all’estremo, arriverebbero a giustificare le azioni di un gruppo terroristico, quale è Hamas.

Il Cur, da parte sua, ha replicato sostenendo di essere stato privato della propria libertà di espressione, e ha anche più avanti affermato (in uno dei tanti volantini diffusi per l’università) come il collegamento diretto tra lo slogan e Hamas non persista “appartenendo lo slogan, invece, all’OLP – L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina” . Le critiche contro l’università sono dure: “per noi è disgustoso non poter parlare di Palestina, della censura imposta e della politica repressiva di UniTn”. 

Gli attriti in ogni caso non finiscono qui: nei volantini diffusi per l’università il Cur si firma come “gruppuscolo” (è questo il termine, infatti, che hanno rivendicato riprendendo le parole rivolte loro da un membro del corpo docente). L’associazione, inoltre, lamenta di essere stata oggetto di insulti e scherno da parte di un docente.

A questo punto avvengono due cose: in primis viene organizzata un’assemblea dentro la facoltà, il martedì seguente i fatti del 12 ottobre; in secondo luogo si verificano degli episodi di vandalismo.

Si parla di scritte sui muri del dipartimento, sulla targa, fino ad arrivare al vetro dell’ufficio di uno dei docenti che aveva protestato contro lo striscione. Ovviamente, a questo punto l’Università torna all’attacco e condanna per la seconda volta le proteste, questa volta rivolgendosi a tutti gli studenti e le studentesse del dipartimento.

Il direttore Sciortino, infatti, nella giornata del 20 ottobre, ha divulgato una mail non solo condannando le azioni del Cur, ma soprattutto incentrando l’attenzione su un atto decisamente più grave del semplice vandalismo: pare che un professore sia stato minacciato proprio per essersi opposto allo striscione del 12 ottobre. 

Nei bagni della facoltà, infatti, sono comparse una serie di scritte, alcune delle quali invitano il docente a “scappare”, informandolo di essere “il primo della lista”.

La mail procede con una serie di considerazioni riguardo ai fatti, tra le quali: “scrivere minacce nei bagni non è attività politica, è semplicemente una cosa pietosa e vigliacca, che fa più tristezza che spavento”; “Nessuno può intimare a un/una docente (o a uno/una studente) di questo dipartimento di scappare”; “Se una persona vuole scrivere le proprie opinioni violente in un volantino a propria firma, ne ha tutti i diritti. Ma se mette uno striscione violento e aggressivo sul portone da cui dobbiamo passare tutti […] sta compiendo un atto violento e prevaricatore”. 

In conclusione, il direttore ricorda: “Questo Dipartimento non impedirà mai il libero confronto delle opinioni, anche più critiche. Ma non tollera il ricorso alle minacce, in nessuna forma. Lasciamole a mafiosi/e e a fascisti/e, a coloro che, non avendo argomenti, devono ricorrere all’intimidazione.”

In risposta a questi avvenimenti, tra le altre cose, per qualche giorno viene tolta la possibilità all’intera popolazione studentesca di accedere all’aula autogestita di sociologia, base di appoggio di vari gruppi universitari, tra i quali lo stesso Cur.

A questo punto, è lecito chiedersi come l’Università voglia procedere. Certo, dopo parole così dure, è improbabile che la questione venga lasciata cadere nel vuoto e, anche se fosse, questo creerebbe un precedente che potrebbe permettere il verificarsi nuovamente di situazioni simili.

Nel frattempo, mentre Udu, spiegando l’avvenuto, si distanzia dalle minacce al professore e critica gli insulti subiti dal Cur, continuano i raduni davanti al dipartimento. Da lunedì 23 fino alla fine della settimana, infatti, l’associazione si ritrova tutti i giorni davanti al dipartimento per difendere la causa palestinese e per protestare contro le azioni dell’università. Il momento cardine di questa serie di raduni si dovrebbe avere con il corteo in solidarietà del popolo di Gaza che si terrà nel fine settimana. Durante uno degli incontri (nello specifico quello di mercoledì), il portavoce conclude il discorso con queste parole: “una cosa è certa: se passerete per questa strada ci troverete al nostro posto, a combattere l’orrore prima di tutto con le parole finché non saremo capaci di fare altro, e speriamo presto in forme più concrete”. Cosa queste “forme più concrete” vadano ad indicare per ora non sappiamo saperlo, anche se, com’è evidente, non sembrano manifestare la volontà di tornare sui propri passi.

Una cosa è certa: il braccio di ferro tra il gruppo di studenti e il dipartimento è sicuramente lontano dal raggiungimento di una conclusione pacifica.

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