La lista dell’esistente

Quando ci si imbatte nella domanda “Che cosa esiste?”, la risposta porta con sé una serie di altri quesiti che spaziano in diversi campi del sapere e che ci impongono di andare sempre più a fondo nella ricerca. Da una parte, questa domanda può essere vista da una prospettiva scientifica, ma dall’altra è di importanza filosofica. In particolare, se si cerca di dare una risposta ampia e, ambiziosamente, esaustiva, si tende a sporgersi verso un metodo e dei criteri di ricerca che sono tipici della tradizione più prettamente filosofica. Nel solco tracciato da questa domanda possiamo trovare numerosi spunti che ci spingono a riformularla, o solamente precisarla, chiedendoci “Quali sono le categorie generali dell’essere?”. Questo antichissimo quesito parte dall’idea che ciò che esiste abbia in sé qualcosa di comune e che la risposta sia da cercare proprio in questa sostanza comune. Una volta infatti che si conosce quella che potremmo chiamare l’essenza della realtà, avremmo in qualche modo caratterizzato tutto ciò che c’è, dunque, in un certo senso, che è ciò che ci interessa qui e ora, avremmo risposto alla domanda “Che cosa esiste?”. Tuttavia, non è così semplice, un acuto lettore potrebbe sin da subito far notare che parlare di “esistere” o “esistenza” può significare qualcosa di diverso da “essere” o “essenza”, così come chiedersi “Che cosa c’è?” è sottilmente diverso da “Che cosa esiste?”. Da qui in avanti, però, non faremo troppo caso a questa differenza, anche se può diventare davvero cruciale. “Esistere” ed “essere” significano la stessa cosa, anche se, nella storia dei concetti, spesso il primo ha avuto una connotazione talvolta più accidentale o anche temporalmente o spazialmente impegnata. Dire “c’è un gatto” sembra significare non solo “nella realtà esistono entità che sono gatti”, ma anche che qui e ora è presente un gatto. Senza disturbarci troppo di questa distinzione che aveva senso accennare, approssimiamo e prendiamo per vero che esistere ed essere sono equivalenti.

Maurits Cornelis Escher, Relatività, litografia, 1953.

Tuttavia, la nostra domanda non sembra essere molto più chiara rispetto all’inizio, ma, almeno a mio avviso, sembra meno scontata e più profonda di prima. A occuparsi di queste domande è l’ontologia, una branca della filosofia che ha una lunga storia e che ambisce a spiegare che cosa esiste. Per capire davvero di che cosa tratta l’ontologia non si può non menzionare la metafisica, prendendo spunto dalle parole di Paolo Valore – un rinomato professore di filosofia che si occupa di questi temi –, ontologia e metafisica sono in stretto rapporto in quanto la prima dovrebbe mirare a compilare una lista dell’esistente, o, come dice lui, l’inventario del mondo (che è anche il nome di un suo libro); la seconda aspirerebbe a descrivere quali sono le proprietà caratteristiche di ciò che esiste. Risulta intuitivamente evidente quanto interdipendenti siano le une dalle altre, dato che da un lato è difficile definire ciò che esiste senza fare metafisica, ovvero studiarne le proprietà, dall’altro è difficile studiare le proprietà di ciò che esiste se prima non si compila l’inventario. Tuttavia, è interessante notare che la metafisica ha un grado di indipendenza significativo in quanto può studiare astrattamente le proprietà e le relazioni che devono costituire la realtà senza però impegnarsi ontologicamente sull’esistenza di alcune entità. È possibile, per esempio, sostenere che la struttura del mondo sia gerarchica e divisa in livelli di fondamentalità tra i quali vigono certe relazioni, senza però sbilanciarsi nell’affermare che a popolare questa struttura siano oggetti corpuscolari o onde.

La risposta alla domanda è celata nei meandri di queste discipline, ma non stupisca il fatto che, se prima facie la risposta sembra contorta e probabilmente infinitamente complessa, in realtà è molto semplice. Certo, per fare la vera e propria lista dell’esistente la questione diventa più fine e articolata, ma in un primo momento la soluzione dell’enigma rimane accessibile a tutti ed estremamente generale. Iniziamo da una risposta possibile, ma forse un po’ evasiva. Alcuni sostengono che questa domanda non abbia del tutto senso,  ovvero che chiedersi “Che cosa esiste?” non sia interessante, almeno, precisiamo, non sia interessante da indagare in questi termini. Le motivazioni che danno sono molteplici e riguardano solitamente la loro posizione filosofica più generale, alla quale rimangono coerenti affermando l’insensatezza di tale domanda. Tuttavia, molti non si allontano dalle discipline dell’esistenza – se così possiamo chiamare ontologia e metafisica – e cercano di dare una loro risposta, riformulando la questione in modo tale che acquisisca senso.

Un’altra posizione, abbastanza drastica, è che “nulla” esiste. Si potrebbe discutere molto su questa risposta. O forse no. Anche alcuni manuali di metafisica contemporanea non dedicano più di mezza facciata al paragrafo che discute di questa alternativa, molte meno rispetto a quando si soffermano su altre risposte. Forse per curiosità insita nella stranezza della soluzione, forse per non fare un torto a coloro che ci credono, penso sia doveroso non tralasciare la rilevanza delle conseguenze che seguirebbero ad una simile ipotesi. Molti filosofi si sono infatti interrogati sul nulla; eppure, penso che siamo tutti d’accordo che affermare che almeno qualcosa esiste sia corretto. Basti pensare a Descartes, che, cercando di mettere in dubbio tutto, non è riuscito ad escludere dall’esistenza anche l’io che pensa, il cogito. Prendiamo per sufficiente questo suo lungo lavoro e consideriamo evidente che, qualcosa – almeno io che penso – deve esistere. In questo panorama la risposta “nulla” perde molta della sua attrazione e presunta veridicità.

Non è tutto però, o forse è proprio tutto. La terza alternativa è proprio questa: “tutto”. Molti filosofi affermano che questa sia la risposta migliore che possiamo dare in questo mondo e con i nostri strumenti linguistici. Come per “nulla”, “tutto” può sembrare esagerato e poco informativo. Ebbene in questo caso ci sbagliamo di grosso. Se con “tutto” infatti si intende “tutto ciò che esiste”, allora sarà difficile non essere d’accordo. È un po’ come dire “ho tutto quello che non mi manca”. È trivialmente vera come affermazione. Tuttavia, ciò che viene affermato con la risposta “tutto” ha delle profonde conseguenze all’interno del significato che attribuiamo a “esistere” o “essere” (ricordiamo che per noi sono equivalenti) e per gli enti che crediamo esistano. Ci sono due grandi suddivisioni relativamente a questa risposta, che sono per certi versi molto simili, ma per altri molto diverse. Il primo gruppo sostiene che “essere” sia una proprietà di secondo livello, mentre per il secondo gruppo ha un altro significato, non riducibile a quello delle comuni proprietà, ma che ottiene la sua esplicitazione nell’utilizzo del quantificatore esistenziale (il simbolo che forse si è visto in matematica “∃”). Se questa non sembra filosofia, ma o sofismi troppo ricercati ed insensati oppure una variante della matematica, in realtà mi preme sottolineare che una parte considerevole della ricerca filosofia odierna fa uso di queste strumentazioni logiche che l’aiutano ad essere molto più rigorosa, chiara ed efficace. In ogni caso, filosofi o non, entrambe le fazioni devono fare i conti con un problema che sembra caratterizzare il linguaggio con cui ci esprimiamo, ma che, in realtà, porta con sé delle conseguenze ontologiche e logiche non banali. Supponiamo che non crediamo nell’esistenza di cavalli alati e che Pegaso sia proprio uno di loro. Allora, affermare che “Pegaso non esiste” è del tutto in linea con le nostre ipotesi. Tuttavia, asserire una tale cosa sembra essere equivalente a dire che “esiste qualcosa, Pegaso, che non esiste”. È evidente allora che si cade in contraddizione in quanto si afferma che esiste qualcosa che non esiste. Chiaramente questo è un problema del linguaggio e noi non pensiamo che esistano davvero i cavalli alati, ma come risolvere quest’ambiguità? Ebbene, proprio sostenendo che “essere” sia una proprietà di secondo livello, che, perciò, non viene istanziata da individui, ma è istanziata da proprietà. Ciò vuol dire che la proposizione “Pegaso non esiste”, significa in realtà che “Tutto ciò che esiste non è uguale a Pegaso”. Il secondo gruppo utilizza il quantificatore esistenziale in maniera simile, se non uguale, a come fa il primo gruppo: per questo le due posizioni sono molto vicine. A differenziare i due partiti è l’idea che per i secondi non si può affermare l’esistenza di singoli individui, in quanto si rischierebbe di cadere in qualche contraddizione logica, ma anche l’“essere un certo individuo” deve diventare una proprietà. Allora, lo stesso enunciato diventerebbe qualcosa del tipo “Tutto ciò che esiste non Pegasizza”. Senza entrare troppo nel dettaglio, è evidente come in entrambi i casi si riesca a trovare una soluzione innovativa al problema e che, di conseguenza, la risposta “tutto” alla domanda “Che cosa esiste?” non è più così impensabile come sembrava a prima vista. Cristallizziamo l’idea con una citazione di Quine, forse il maggior esponente del secondo gruppo: “To be is to be the value of a bounded variable”, ovvero “Essere è essere il valore di una variabile quantificata” – in altre parole, “essere all’interno del dominio dell’esistenziale”. In tale prospettiva, perciò, il lavoro del filosofo è di capire, nella teoria nella quale crede o che sta analizzando, cosa deve essere quantificato, ovvero cosa deve essere insignito dell’onere e onore di esistere. Potrei credere che tutto ciò che esiste sono composizioni di particelle e nel dominio del quantificatore rientrerebbero solamente quest’ultime. Allora, o dovrei riuscire a trovare un modo per dire che esistono anche oggetti macroscopici – come le macchine – solo in termini delle particelle, oppure dovrei attuare delle scelte per cui le macchine come tali possono essere quantificate. Insomma, “tutto” può essere una buona soluzione, senza per questo essere banale o poco precisa.

Non manca la voce di chi esce insoddisfatto dalle alternative finora esposte, ma niente paura, c’è ancora un’ultima possibilità di rivalsa. Alcuni filosofi, infatti, ritengono che ci sia un’altra posizione nel ventaglio delle scelte. La risposta allora non diventa più “nulla” o “tutto”, quanto piuttosto “qualcosa esiste mentre qualcosa non esiste”. Sembra la risposta più scontata: io esisto, così come le macchine, mentre Pegaso e gli unicorni no. Eppure, anche in questo caso ci sono delle difficoltà non da poco che impongono di ricercare delle soluzioni e che fanno propendere gli studiosi verso altre ipotesi. La maggiore corrente che è fedele a quest’ultima risposta è quella che prende il nome di meinonghianismo – da Meinong, colui a cui si fa risalire l’idea per cui esistere non sia altro che una proprietà come le altre. Secondo questa prospettiva ogni ente viene identificato da un pacchetto di proprietà; i pacchetti in cui è presente la proprietà dell’esistenza si riferiscono a entità che sono da contare all’interno dell’inventario del mondo. Pensiamo allora ad alcuni pacchetti possibili: <avere una forma sferica, essere riempito d’aria, esistere> identificherebbe un palla che esiste, <essere un animale razionale, esistere> indentificherebbe l’essere umano e così via. Certo, si può essere più precisi, ma questo serve per rendere l’idea. Se, però, si creano pacchetti come <essere un cerchio, essere quadrato, esistere> si creerebbero degli enti contraddittori come, appunto, un “cerchio quadrato”. Quest’ultima posizione, perciò, ha delle problematiche, ma, d’altra parte, rende molto più facile ed intuitiva la spiegazione del perché alcune entità non esistono, senza doversi complicare la vita con i quantificatori esistenziali.

In nuce ci sono molte possibilità diverse riguardo alla questione ontologica, ma hanno tutte quante delle problematiche. Ognuna di queste può essere ed è stata indagata in maniera molto approfondita. In questo articolo si è voluto solamente far assaporare quanto possa essere in realtà difficile e non scontato affrontare un tale quesito. Oltre alle differenze che ci sono tra le diverse alternative che abbiamo visto, da quelli che dubitano già della domanda, a quelli che rispondo “nulla”, “tutto” o “qualcosa si, qualcosa no”, è importante vedere che non sono discorsi avulsi dalla realtà, ma che sono di interesse anche nella vita quotidiana. Quando andiamo a fare la spesa e alla cassa ci viene dato lo scontrino, su questo troviamo numeri che indicano il prezzo da pagare. Se qualcuno dubitasse dell’esistenza dei numeri, non come inchiostro stampato, ma proprio come concetto, potrebbe iniziare a litigare con la commessa rifiutandosi di pagare sostenendo che quelle cifre non significano proprio nulla. Anche se l’esempio è un po’ irrealistico, serve per mostrare concretamente che fare metafisica o ontologia è qualcosa che, inconsciamente, facciamo tutti i giorni. Quando parliamo delle nostre idee, stiamo supponendo l’esistenza di entità astratte? Oppure abbiamo in mente una semplice scarica elettrica nel cervello?

Per renderlo meno stravagante, pensiamo alla scienza. Un ricercatore, che sta elaborando una teoria, che ne ha inventata una o che ne sta studiando una, si trova in una situazione simile. Per quanto il simbolismo che usa faccia riferimento, salvo eccezioni, a qualche grandezza fisica (prendiamo la fisica come esempio), in realtà ciò che sta elaborando è qualcosa di astratto. Dunque, questo scienziato o trova un modo per giustificare la concretezza della teoria in sé e per sé, non tanto il foglio con assiomi, formule e così via, oppure sta elaborando e lavorando con un’entità astratta.

Ora forse è più chiaro il coinvolgimento di questa disciplina all’interno della nostra vita ed è importante esserne consapevoli e con spirito critico cercare di prendere una posizione. O anche solamente lasciarsi stimolare a questo tipo di riflessione. Ovviamente, ciò non significa che non posso vivere senza fare ontologia o metafisica, o che sono giustificato a non pagare la spesa, però è suggestivo pensare che latentemente nella vita quotidiana si ingaggiano, senza rendersene conto, i quesiti di queste discipline e che, inconsciamente, si prende una posizione. Forse però, ora è diverso e la prossima volta che penserete a qualche concetto o a qualche entità, vi chiederete se esiste davvero e come esiste, muovendo i primi passi verso un’inedita, arricchente e più filosofica prospettiva del mondo.

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