Oltre i muri: Antigone e i diritti in carcere a Uman Festival 2025

Ci sono incontri che lasciano qualcosa di più di un pensiero: uno sguardo nuovo sulle cose. A Uman Festival, giunto quest’anno alla sua ottava edizione, uno di questi è stato quello con Antigone, l’associazione che da più di trent’anni entra nelle carceri italiane per osservare, raccontare e difendere i diritti di chi vive dietro le sbarre.

Sul palco, due volti sorridenti ma consapevoli: Francesco Santin e Carlo Pacher, osservatori dell’associazione. Non hanno parlato con toni drammatici, ma con la calma di chi conosce a fondo la realtà che descrive. Hanno raccontato di corridoi stretti, di celle affollate, di sguardi che cercano ancora uno spiraglio di futuro, ma anche di piccoli gesti, relazioni e tentativi di riscatto che nascono proprio nei luoghi dove la libertà sembra finita.

Uman Festival non è solo una rassegna culturale: è un modo di stare al mondo. Ogni anno, tra incontri, performance e laboratori, mette al centro ciò che ci unisce: la nostra umanità. In questa ottava edizione, il dialogo con Antigone ha trovato una casa naturale: parlare di carcere significa parlare di persone e di come la società sceglie di guardarle.

Fondata nel 1991, Antigone si occupa di tutela dei diritti nel sistema penale e penitenziario. I suoi volontari, autorizzati dal Ministero della Giustizia, visitano le carceri di tutta Italia e raccolgono dati, testimonianze e numeri. Nel rapporto annuale 2024, l’associazione ha raccontato di oltre 90 istituti visitati e di un tasso di sovraffollamento medio del 118%. Numeri che fanno pensare, ma che da soli non bastano: è nelle storie che tutto prende vita, come quella del detenuto che studia per diventare educatore, di chi coltiva un orto in cortile o di chi trova nella lettura un modo per restare umano.

Santin e Pacher hanno parlato del loro lavoro con semplicità, spiegando che entrare in carcere non è un atto di coraggio, ma di responsabilità, significa fare domande, osservare e poi restituire la verità senza giudizi, ma con rispetto. «Ogni volta che entro in un istituto penitenziario», ha raccontato uno dei due, «mi ricordo che dietro quelle porte ci sono persone che hanno sbagliato, ma che restano parte della nostra comunità».

E forse è proprio questo il punto: non si tratta di giustificare, ma di comprendere e di non smettere di vedere l’altro come essere umano.

Antigone ricorda che la giustizia non finisce con una sentenza: il carcere non è solo punizione, ma anche possibilità di cambiamento, di ripensamento, di rinascita. Se i diritti si difendono anche nei luoghi più chiusi, è perché la loro forza sta nel non escludere nessuno. A Uman Festival, queste parole non sono rimaste sospese nell’aria, ma si sono mescolate ai sorrisi, agli applausi e ai silenzi attenti di chi ha ascoltato, cambiando per qualcuno il modo di guardare alle mura di una prigione, non più come confini invalicabili, ma come linee sottili tra ciò che siamo e ciò che potremmo ancora diventare.

«Difendere i diritti dei detenuti significa difendere i diritti di tutti», hanno spiegato Santin e Pacher, e ascoltarla a Uman Festival ha fatto capire che non è uno slogan vuoto, ma un invito concreto a riconoscere l’umanità di ciascuno.

Photo credits: Elia Polloniato

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