#SaliteInPillola – Sega di Ala, gioie e dolori

I latini usavano la locuzione nomen omen per indicare un senso di presagio o fatalità di una parola. Ebbene, il nome di questa salita, Sega di Ala, avverte subito a tutti i ciclisti cosa li attende. Se fosse per la sua distanza, 11 chilometri, non sarebbe minimante un problema: un nulla in confronto ai 27 del mitico Passo dello Stelvio. Ma se ci spostiamo sul versante delle pendenze, Sega di Ala è un test probante.

Nonostante siano molte le salite in tutta Italia che potrebbero superarla in fatto di “durezza”, non va sottovalutata. Usciti dal centro di Ala, si prosegue verso Sud e si raggiunge il piccolo paese di Sdruzzinà. State attenti al vostro lato sinistro: ad un certo punto, troverete il bivio che da il via alla vostra agonia.

Dopo la svolta secca, si sale con pendenze morbide tra il 7 e il 9%. Non fidatevi: una volta entrati nella foresta, i numeri si impennano. Un segnale stradale alquanto minaccioso (20%) antecede 500 metri davvero ardui. Sei costretto a reggere la bicicletta con la forza delle braccia per non perdere l’equilibrio.

Superato il primo muro e un breve ponticello, si continua a salire senza tregua, tornante dopo tornante.

“Lasciate ogni speranza o voi che entrate”

La citazione dal canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante non stona per nulla. Uno dei primi versi, “mi ritrovai per una selva oscura”, rende bene l’idea del cammino che conduce il ciclista verso la cima. Si parte a circa 100 metri sopra il livello del mare. L’arrivo si trova ad un altitudine di 1370 metri. Soltanto a metà la strada spiana, ma è un abbaglio un attimo prima di affrontare 3000 metri al 15%.

Irregolare, infida, ingannevole… Chiedete a chi gareggiò su quella stessa salita per comprendere la sua difficoltà. La corsa non è il Giro d’Italia: il battesimo nel gotha dello sport avvenne in un grigio pomeriggio di aprile del 2013, durante quello che allora si chiamava Giro del Trentino (dal 2017 Tour of The Alps).

Sega di Ala è tra quelle salite scoperte dalla manifestazione, le quali raramente avevano modo di essere inserite nel tracciato del Giro di Italia. La corsa regionale (oggi si sviluppa nella provincia di Bolzano e nel territorio austriaco del Tirolo) vantava però un parterre di lusso fin dall’anno della sua fondazione (1962).

Svolgendosi poco prima dell’inizio del Giro d’Italia, era l’ideale per affinare la condizione fisica in vista del mese di maggio. E quale prova migliore se non testare la propria gamba in salita al termine della tappa?

Dopo quattro intense tappe su e giù dalle montagne trentine, la classifica generale era ancora aperta. Tra i numerosi pretendenti al successo, protagonisti poi anche al Giro, spicca il nome di Bradley Wiggins, reduce dalla vittoria al Tour de France dell’anno prima, oltreché medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra.

Sir Bradley (ha ricevuto il titolo di Knight Bachelor per i servizi resi al ciclismo) è l’uomo a cui tutti guardano. E lungo la salita, ha modo di mettersi in mostra… Ma non come previsto: appena dopo pochi chilometri, la sua bicicletta ha qualche problema meccanico. L’inglese, vincitore un anno prima della corsa più importante al mondo, getta la bicicletta di rabbia. Questa, invece che cadere per terra, rimane impigliata nel muro. Nonostante la scena tragicomica, Wiggins non recupererà lo svantaggio: Game Over.

Mano a mano, i superstiti della fuga vengono ripresi dal gruppo che avanza da dietro. Rimangono in pochi, i più tenaci e i più forti in salita: gli scalatori di razza, i grimpeur per dirla in gergo. Il loro peso leggero è sicuramente d’aiuto quando le pendenze toccano il 18% per lunghi tratti come in questo caso.

Provate a pensare alla rampa in cemento di un garage sotterraneo. Ecco, ora non vi basta che allungare la distanza da 10 a 1000 metri per visualizzare l’immagine. Proprio qui, dove le ruote a stento rimangono a terra, emergono i più audaci. Tra questi, reagisce l’astro nascente del ciclismo italiano: Vincenzo Nibali.

Il giovane siciliano, cresciuto all’ombra di Ivan Basso (due volte vincitore del Giro), ambiva a conquistare l’iconica Maglia Rosa, dopo la vittoria alla Vuelta a España nel 2010. Ma per mettere le mani sul Trofeo Senza Fine, doveva dimostrare di avere la stoffa del campione. Sorretto dai suoi compagni di squadra, attacca deciso e stacca i suoi avversari, involandosi di gran lena nella coltre di nebbia primaverile.

Un mese dopo, vinse la tappa regina del Giro di Italia, dominando sotto la neve l’altrettanto acerrima salita delle Tre Cime di Lavaredo. Nibali è stato per quasi un decennio un assoluto riferimento per il movimento ciclistico nazionale. E per un trentino, non ci può essere gioia più grande di una sua vittoria.

A maggiore ragione se ottenuta superando una salita di tutto rispetto come Sega di Ala. Per troppo tempo è rimasta ai margini del Grande Ciclismo, conosciuta sì dagli amatori che pedalavano nella zona, ma meno nel resto d’Italia. Mancava quindi un gradino per essere considerata al pari delle sorelle sulle Alpi: nel 2021 venne finalmente scelta come sede di arrivo nella 17esima tappa del Giro d’Italia.

Il copione è simile, se non addirittura identico: arrivati ai piedi della salita, ci si gioca tutto sulla strada che conduce all’altipiano dei Monti Lessini, la cui serpentina in asfalto è visibile anche dall’autostrada. Tra i tanti avvenimenti accorsi durante la tappa, è da ricordare il momento in cui il colombiano Daniel Martinez incita il suo capitano e connazionale Egan Bernal (poi vincitore della classifica finale) in sofferenza.

Il pugno chiuso nella mano del primo, e la schiena ricurva sul manubrio del secondo, è l’incarnazione del significato più intrinseco di una salita. I numeri non mentono mai: la percezione della fatica è reale.

Quel giorno vinse un irlandese, Dan Martin, prossimo al ritiro a fine di quella stagione. Lui, uno dei più anziani in gara, resistette al rientro dei migliori, molti dei quali furono respinti dalle pendenze più dure.

A noi cicloturisti, non è prevista nessuna gloria in cima a Sega di Ala. Ma state certi che alla fine, la soddisfazione di avercela fatta vi riempirà di orgoglio: dopo un’ora (o poco meno, per chi è allenato), la strada dapprima celata dalla foresta, si distende verso i cieli. Il buio lascia spazio alla luce, gli occhi scorgono i prati verdi che puntellano l’altipiano, in cui gustare formaggi e altre prelibatezze nelle malghe.

Tornando alla scena del gregario e del capitano che stringe i denti, si ha modo di riflettere sulla fatica o sulla durezza di una salita. Ma non solo: anche lo spirito di squadra e l’ostinata volontà di arrivare al traguardo sono stimoli che daranno vigore ad ogni singola pedalata. E quella rabbia mista alla sofferenza, sarà ricompensata non appena raggiungerete la vetta, quando alzerete in alto trionfanti la bicicletta.

Pietro Piffer

Pietro Piffer

Laureato al Conservatorio di Trento, ma in rincorsa per concludere gli studi a Beni Culturali. Ciclista amatore da diversi anni, ma ufficialmente corro (e a volte vinco). Classe 2002, vivo per la montagna ma mi nutro di cibo vero!

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