Fenomenologia della barba

di Ludovico Fiamozzi
Avere la barba è una cosa bella. Gli uomini che la portano tutti i giorni con gran disinvoltura
lo sanno bene. Dona un’aria più matura e più vissuta e se valorizzata nel modo giusto può essere sintomo anche di un certo fascino. Alla barba possiamo aggrapparci nei momenti di noia e di riflessione; grazie a lei possiamo professarci saggi, intellettuali, pensatori. È proprio vero, la barba è una bella faccenda di cui andare fieri.
    Questa ferma convinzione è stata messa in grave dubbio da un articolo pubblicato sul
«Corriere della Sera». L’autrice è Dacia Maraini,  scrittrice molto prolifica, vincitrice del premio Campiello e del Premio Strega. Fu amica di Pasolini e compagna di Moravia. Prima di spiegare la sua idea sulla barba è necessario esporre l’antefatto. Il giorno del suo compleanno, mentre si recava con alcune amiche a teatro, la scrittrice viene avvicinata da due giovani in motorino che in pochi secondi le sfilano la borsetta dal braccio e scappano. Dacia Maraini, uscita illesa ma spaventata dal furto subìto, decide di raccontarlo in un articolo uscito sulla cronaca romana del «Corriere della Sera» il 14 novembre. Leggendolo (si trova anche in rete), non si può che provare empatia per la paura e il senso di vulnerabilità espresse da una persona che ha vissuto uno spiacevole episodio.
    Ma la scrittrice non si limita a questo. Dal particolare del racconto in prima persona di ciò che
ha vissuto passa al generale di una riflessione sull’aumento della violenza tra i giovani. Questa
seconda parte fa storcere il naso. Maraini infatti osserva un aumento della microcriminalità
impensabile fino a qualche anno fa, che vede protagonisti giovani maschi fuori controllo, in cerca di
violenza gratuita e devastazione. La causa di questo scenario nefasto sarebbe la fascinazione che gli
affiliati al terrorismo islamico eserciterebbero sui ragazzini. Ho detto ‘maschi’ non a caso. Secondo la scrittrice le ragazze «rimangono indietro a guardare», poiché «conoscono la pratica della
sublimazione: la sola cosa buona che abbiamo introiettato fra i tanti conculcati sensi di colpa, dentro il sottile sentimento di inadeguatezza che la cultura dei padri ci ha lasciato addosso». Molto bene. Tornando al tema che abbiamo a cuore, la barba, Dacia Maraini dice una cosa interessante.
Pone una domanda retorica: «da dove viene per esempio la pratica tutta nuova di lasciarsi crescere la barba se non dai barbuti predicatori di odio?».
    Qualche giorno dopo, il 20 novembre, la scrittrice riprende e amplia questo spunto in un
articolo uscito sempre sul «Corriere della Sera» dal titolo Il ritorno alla barba. Orgoglio maschile?
(anche questo si trova online). Utilizzando ancora la tecnica della sfilza di domande retoriche,
Maraini sostiene che la moda non è casuale, comunica un contenuto, e la barba comunica la volontà dell’uomo di mandare un chiaro segnale all’altro sesso. L’uomo barbuto delineato da Dacia Maraini potrebbe dire qualcosa di simile: «Donne, l’autorevolezza maschile derivazione della società patriarcale è in crisi, anche il mio orgoglio maschio e la mia virilità non se la passano tanto bene. Io non accetto questo, voglio resistere. I peli che ho fatto crescere sul viso saranno lo scudo che mi proteggerà dall’emancipazione femminile». È una citazione mia, ma non credo che si discosti molto dal Maraini pensiero. Dopo tante domande, l’articolo si conclude finalmente con una risposta: «a me pare che la barba invecchi e imbruttisca e sinceramente penso che l’autorevolezza possa essere espressa in altro modo».
    Sul giudizio estetico non si può contestare, è un gusto soggettivo. Sul resto qualcosa in più si
deve dire. Proverò a farlo anche io con qualche domanda retorica. Mi chiedo, possibile? Possibile che una scrittrice che si dichiara femminista non riesca ad andare oltre una rappresentazione
della donna come persona oppressa dalla violenza del patriarca? Non è un po’ riduttivo? Non
esistono altre centinaia di elementi che posso contraddistinguere il ritratto di una donna? Siamo sicuri che  la sola causa della violenza o autodistruzione giovanile sia il supposto fascino del terrorismo islamico? La situazione non è molto più complessa? Veramente la barba assume questo significato di sopraffazione? Possibile che un’intellettuale non riesca a capire che i fatti del mondo necessitano di uno sguardo diverso? Che non tutto è lì per avvalorare la nostra bella causa?
    Due parole conclusive sulla barba. Non ho fatto studi o ricerche a riguardo, ma credo che il
dilagare dei visi barbuti sia dovuto a due fattori: la pigrizia (farsi la barba è un gesto ripetitivo che
richiede tempo); la tendenza (forse è colpa degli hipster, forse dell’Isis, ma tanti hanno la barba e quindi tanti provano a farsela crescere). Se mi chiedessero a bruciapelo il motivo per cui ho la barba credo che risponderei «boh, vabbè, non so». Pensandoci meglio credo mi piaccia al tatto, e reputo che non penalizzi molto la mia faccia.
    Insomma si capisce che l’ho portata sempre con leggerezza. Non potevo pensare che evocasse scenari di morte, fanatismo religioso, maschilismo estremo. Forse sarebbe meglio tagliarla. No, non credo che lo farò.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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