L’ORGOGLIO DI NON ESSERE UGO

Due mondi, due onde, due modi di vedere il presente: l’Italia spaccata, divisa, lacerata, di cui parlano tutti gli osservatori – quelli seri, mica noi – da qualche anno e, con più forza ancora, dal 4 marzo, si misura da tanti dettagli più o meno rilevanti. Il lavoro, l’ambiente, le pensioni, le tasse, l’immigrazione, i diritti civili, la sanità, il welfare, il fascismo, l’antifascismo, la solidarietà, “casa loro”, le diseguaglianze sociali, le periferie geografiche, le periferie umane, l’honestà!!1!, la guerra alla mafia, alla corruzione, all’evasione fiscale, al nero, sia questo il lavoro o una persona. La guerra tra poveri.

Tutti temi o argomenti che sono emersi con varie tonalità nei due mesi di campagna elettorale e che ci hanno accompagnato anche nel lungo mese del “dopo-voto”: certo alcuni sono magicamente scomparsi (sembra quasi che l’immigrazione, da ragione dei mali che affliggono Italia ed italiani, sia diventata un ricordo lontano), altri sono emersi, sospinti dal vento di un rinnovato “spirito di responsabilità” (o del bisogno di apparire uomini di Stato, gente affidabile, pronta al grande gioco del Governo?) che soffia forte nelle vele di quelli del “taxi del mare” e dei giuramenti sul Vangelo e che è lontano da quelle degli altri, quelli della sinistra confusa e sconfitta, ferma in una sorta di bonaccia mortale, sola, circondata da squali di ogni forma e dimensione.

Ecco, in questo magico contesto (roba da sentirsi rassicurati) si è inserita una polemica tutt’altro che secondaria: quella del mancato patrocinio a diversi Gay Pride sparsi per la nostra penisola da parte di alcune amministrazioni locali. Prendiamo gli ultimi due casi (almeno, gli ultimi due di cui mi sono accorto): GenovaProvincia di Trento e la Lombardia. Si potrebbe fare un discorso sul colore politico: “a Genova governa la destra, cosa ti aspetti?”; “Fontana?! Quello della “razza bianca”!?!”. Vero.

Ma questo gioco non tiene con la Provincia di Trento (sì è vero che è una “sinistra” anomala, quella trentina, ma fingiamo di non saperlo per un momento: proviamo ad immaginare che la maggioranza provinciale sia coerente con i valori storici dei partiti di riferimento). Questo gioco non tiene poi molto nemmeno se si ragiona nei termini della spaccatura di cui parlavo prima: l’appartenenza partitica di chi nega il patrocinio conta poco in quella decisione. Quello che è decisivo, infatti, sembra essere come quel gruppo di potere interpreti l’umore generale: curioso che la scelta, tanto del sindaco Bucci quanto del presidente Rossi, sia stata resa nota dopo il 4 marzo. Dopo, cioè, quelli che tutti dicono essere stata la prova del nove degli umori del Paese. E, per quanto sia banaluccia, credo sia una buona lettura, sicuramente una lettura possibile: prendiamo le parole di Rossi

“In particolare la parata nel centro della città assume un aspetto più di folclore e di esibizionismo che sicuramente non apporta alcun contributo alla crescita e valorizzazione della società trentina e della sua immagine”

Sono parole che fanno male, offendono chiunque – come me e voi – abbia a cuore quella cosa strana che chiamiamo “diritti umani”, quella categoria dello spirito, troppo spesso derubricata a feticcio o giustificazione per qualunque cosa, e, così, portata lontano da quel valore originario di strumento per mezzo del quale ciascuna persona aveva la possibilità di esprimere sé stessa come meglio crede.

Quindi, oltre a partecipare a tutte queste manifestazioni non appena possibile (prendiamo il Dolomiti Pride: le informazioni sono facili da reperire), che altro fare? Perché ok, qui in Trentino (così come giù in Liguria) ci siamo indignati per quelle parole, per quel modo grottesco, infantile e ripugnante di ridurre la bellezza e la complessità del Pride a “folclore” ed “esibizionismo“. Le parole migliori, nel coro di chi ha trovato la scelta di Rossi incredibile ed offensiva, le ha trovate Maurizio Adami, papà membro di AGEDO:

“Non posso negare di essermi sentito profondamente offeso sia come padre che come trentino tanto più che Lei si è arrogato il diritto di affermare che la parata non apporta alcun contributo alla crescita e alla valorizzazione della società trentina e della sua immagine stabilendo a priori, arbitrariamente e unilateralmente che cosa sia meglio per tutti noi trentini. Ciò in cui Lei crede non ha valore universale.

Non ha valore universale. Già, ma poi? Alla prova dei fatti, cosa fare per contrastare i Bucci e i Rossi sparsi per la nostra quotidianità? Cosa fare per stare in piedi affianco ai genitori di AGEDO, cosa per sostenere le tante battaglie della comunità LGBTQIA+? Cosa per contrastare il retro-pensiero su cui queste scelte si fondano e che vanno ben al di là del patrocinare o meno il Pride, affondando le loro radici nella sempiterna paura del diverso-da-noi?

Perché è questa la questione: la scelta politica di non patrocinare – cioè di dichiarare di non condividere i propositi, le ambizioni, le rivendicazioni ed i principi di un certo evento e, quindi, di coloro che lo organizzano e che vi partecipano –  paradossalmente è legittima. Ripugnante, odiosa, specialmente da parte di chi, sulla carta, appartiene ad un filone politico che condivide certe posizioni, ma legittimaLa scelta di non patrocinare equivale alla scelta di porsi contro quelle rivendicazioni, di non ritenerle degne né in linea con i principi e gli ideali che quell’istituzione si impegna a difendere e sostenere. Significa scegliere il “colore” (metafora di cui ho un po’ abusato, lo so), la squadra con cui giocare.

La stessa scelta spetta anche a quelli che però animano quell’istituzione, quelli che abitano all’interno dei contorni che questa definisce, siano essi residenti o studenti: queste persone, cosa pensano di fare? Dove si collocano?

Stanno con quella squadra o rivendicheranno, finalmente, l’orgoglio di non essere Ugo?

Featured image credit: Gay Pride by naeimasgary. CC0 via Pixabay.

Emanuele Pastorino

Vivo a Trento, orgogliosamente come immigrato, da un po' di tempo. Membro dell'associazione Ali Aperte.

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