Giuseppe Civati: è già arrivata la nostra “Fine”?

Mercoledì 9 Ottobre l’ex parlamentare Giuseppe Civati, ora editore e autore, è stato ospite della libreria due punti per presentare “Fine”, romanzo scritto con lo sceneggiatore Marco Tiberi. Passando con destrezza dalla storia di Sara, personaggio di fantasia, alla reale e stretta attualità, Civati ha dimostrato che il confine fra finzione e realtà, presente e futuro, è meno netto di come lo percepiamo, e che il mondo in cui vive Sara potrebbe (pericolosamente) non essere troppo lontano. Non sono mancati i riferimenti alla situazione politica attuale, soprattutto italiana; e proprio a proposito di politica, ho voluto fargli qualche domanda.


FINE.

Se il titolo non fosse già abbastanza evocativo, lo sfondo bianco su cui si staglia fa sicuramente la sua parte; in questo romanzo Civati e Tiberi scelgono di trattare un tema fondamentale e più che mai attuale come quello dell’emergenza climatica (già in corso secondo la scienza; meno, secondo le maggiori forze politiche globali) mettendoci di fronte ad una realtà tutt’altro che rosea che fra non molto potrebbe essere la nostra.

Una prima caratteristica che balza all’occhio del lettore è, di certo, la brevità del romanzo; come spiega Civati, si tratta di una scelta, dettata dal voler attribuire al fattore temporale un ruolo decisivo. Si vuole trasmettere un’urgenza, un’emergenza; sembra quasi che il libro voglia dirci “non c’è più tempo”.

Scritto nella forma di un diario di bordo su una nave che si trova in mezzo all’oceano, “Fine” ha come protagonista Sara, la quale appartiene al mondo che probabilmente ci è più familiare, perché fa parte di quella categoria di privilegiati che pensano che non saranno mai travolti dai cambiamenti climatici. Seppur sua coetanea, potremmo dire che è l’esatto opposto della “nostra” Greta Thunberg: lungi dall’essere motore del cambiamento e parte integrante di un movimento di sensibilizzazione sull’emergenza climatica, infatti, è anzi infastidita da chi si interessa alla questione ambientale. Se, quindi, quello di Sara è da considerarsi un personaggio negativo, di cui gli stessi autori non condividono il pensiero, vediamo che neanche gli ambientalisti presenti nella storia sono figure del tutto positive.

Le diseguaglianze sociali sono un altro tema centrale di questo libro. Gli autori partono dall’assunto che i cambiamenti climatici non sono solo un elemento scientifico, ma sono strettamente legati anche all’ambito socio-economico. Le disuguaglianze senza dubbio aumenteranno, perché prima di colpire i benestanti, i ricchi, i privilegiati, le conseguenze dei cambiamenti climatici colpiranno le fasce sociali più deboli. E sarà proprio da una fra queste prime vittime che arriverà questo monito: “Un giorno soffrirete anche voi quello che sto soffrendo io”.

FANTASCIENZA O ATTUALITÀ?

Già qualche settimana fa Giuseppe Civati aveva riportato sul suo blog l’esperienza di vari lettori che, recandosi in libreria, avevano trovato “Fine” nella sezione di fantascienza. Quello riguardante la classificazione del suo romanzo è uno dei primi punti toccati durante la presentazione; secondo lo stesso Civati l’aggettivo “distopico” va usato con cautela, poiché gran parte delle cose che vengono raccontate nel libro accadono già oggi in molte parti del mondo, anche se la nostra “cecità selettiva” ci preclude una prospettiva più ampia.

“Noi parliamo di oggi, non è un libro sul futuro” rivela l’autore. Ed il fatto che “Fine” venga facilmente catalogato come un romanzo di fantascienza, forse, dovrebbe farci riflettere sul mostro modo di percepire il mondo, il nostro mondo, che sta inesorabilmente cambiando. A questo proposito l’autore spiega che, se è vero che i fatti narrati sono il frutto di un’esagerazione, ad essere esasperati sono i dati scientifici attuali, che parlano di date non troppo certe, ma abbastanza vicine da doverci portare a riflettere.

E’ probabilmente questo il principale scopo di questo libro: portare il lettore, nel suo piccolo, a (ri)pensare il presente, affinché tutto quello che è narrato lì dentro, non succeda mai, e per cercare di capire cosa si sta già facendo e cosa si può (e si deve) ancora fare, soprattutto alla luce dell’impasse in cui si trovano i governi di tutto il mondo nel rapportarsi ad un tema così “scottante”.  Una politica che sembra sorda di fronte agli appelli di un movimento globale che chiede responsabilità, e che fino ad ora non è riuscita a mettere il futuro del nostro pianeta e della stessa umanità prima dell’interesse economico.

Si tratta, quindi, di un libro che parla di politica, e alla politica. E proprio per questo, alcuni giorni dopo la presentazione, ho voluto fare qualche domanda a Giuseppe Civati, che della classe politica italiana è stato un rappresentante, e sapere cosa ne pensa, da ex parlamentare, di quella attuale.

Gli scioperi globali hanno dimostrato un grande interesse da parte dell’opinione pubblica per il tema ambientale, eppure la politica sembra non fare ancora abbastanza, nonostante le evidenze scientifiche siano allarmanti. Il 23 settembre, in particolare, Greta Thunberg ha accusato i leader mondiali di non prendere sul serio l’emergenza climatica. Perché è così difficile trovare delle soluzioni condivise?

Perché sono in gioco grandi interessi e uno stile di vita a cui è difficile rinunciare. Direi queste due cose soprattutto. E la politica, in più, non svolge più un ruolo di progettazione del futuro, di ambizione sul modello di società. Quindi questi due elementi e la deficienza e l’inerzia della politica completano un quadro che rende plausibile questo ritardo, questa incapacità.

Attiviste come Greta Thunberg e la deputata americana Alexandria Ocasio-Cortez sono sempre molto criticate; spesso c’è chi va oltre, rendendole oggetto di scherno e derisione. In Italia è di qualche giorno fa la notizia del fantoccio di Greta appeso ad un ponte a Roma, e non dimentichiamo, fra gli altri, Feltri ed il suo definire i sostenitori della Thunberg “gretini”. Da cosa è generato questo clima d’odio, e perché il linguaggio della politica è sempre più violento?

Sempre più violento non lo so, diciamo che è sempre più stupido. Sa quella battuta, “il dito indica la luna e lo stolto guarda il dito”; in questo caso il dito indica la Terra, indica le sue condizioni, ma le condizioni soprattutto per l’uomo, e tutti si preoccupano di commentare aspetti di costume, come se si trattasse di gossip, di pettegolezzo: ormai molta parte della retorica politica è costruita così. Non soltanto quelli del fantoccio di Greta, ma anche Trump dice delle cose orrende su Alexandria Ocasio-Cortez, per esempio. Secondo me il vero problema, oltre alla volgarità, è proprio questo scadimento dal punto di vista razionale.

Il tema ambientale è stato toccato in più punti del programma di governo “giallo-rosso”: si è parlato di Green New Deal, di riconversione energetica e di un’economia circolare che incentivi il riciclo. Inoltre in questi giorni si è discusso della calendarizzazione del ddl Ambiente in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Crede che sarà difficile andare oltre quelli che potrebbero apparire come meri proclami estemporanei?

Non lo so, però mi pare che siamo molto timidi, soprattutto non sono strutturali, non sono strategici; sono piccoli interventi che usano la leva fiscale in un modo non sempre congruo rispetto sia alle aspettative che alle modalità che consentirebbero di arrivare agli obiettivi che si pongono. Mi sembra che lo spirito sia sincero, ma molto timido ancora, quindi ci si aspetta molto di più rispetto ad una situazione che è già parecchio compromessa.  

Continuando a parlare del nuovo governo, è passato poco più di un mese dall’insediamento del cosiddetto Conte-bis. Che idea si è fatto?

È passato davvero pochissimo tempo. Dopodiché, io ho molte perplessità riguardo le modalità con cui è stata fatta questa operazione, ma spero di sbagliarmi, ovviamente. Secondo me era un’operazione da fare con molto più coraggio, con personalità più prestigiose, più rappresentative anche della società italiana. È un governo che, pur avendo lo stesso Presidente del Consiglio che c’era prima, è molto “politico”. Vediamo se questo essere troppo politico, inteso come rappresentanza di partiti che ne fanno parte, non si riveli un elemento di successo. Ripeto, è molto presto, ma l’approccio mi sembra molto molto circospetto.

Recentemente lei è stato protagonista di un simpatico siparietto all’interno del programma di La7 “Propaganda Live”. Inoltre è molto attivo sui social ed è spesso il soggetto di meme e hashtag popolari fra cui il recente #civatisalialcolle, in occasione delle ultime consultazioni. Cosa ne pensa del rapporto, spesso controverso, fra social e politica? e quanto è importante per lei continuare a fare politica anche fuori dal parlamento?

Secondo me i social sono un posto dove si fa tutto, quindi si fa anche politica: io l’ho sempre fatta in quel modo e non mi pare che si possa descrivere un confine, non è che cambiamo quando siamo sui social. È un linguaggio. Ci sono degli aspetti che forse vanno vissuti con un po’ di approccio critico, però quello che siamo in natura siamo anche sui social, per me non c’è mai stata una “divisione” tra le due cose.

Le dirò, fuori dal parlamento si sta molto bene a far politica, soprattutto in un momento in cui nel parlamento si fa così fatica a farla. Anche in questo caso, ritornare a farla in un altro modo, senza avere lo stress, l’incombenza e il peso politico di stare in parlamento può essere salutare dopo un po’ di anni!

Però non ha escluso un ritorno, in futuro.

In questo momento lo escludo, però non lo faccio in termini assoluti, nel senso che se ci saranno occasioni, se ci sarà motivo di farlo… insomma, sono tante le modalità con cui si può tornare; quindi non dico “mai più” come fanno tutti per poi rimanere lì, che è abbastanza tipico. Però ho un lavoro, faccio delle cose molto belle, quindi per ora va benissimo così. 

Le chiedo il suo parere su una questione di cui si sta parlando molto negli ultimi giorni: come sappiamo la finale di Champions League si terrà a Istanbul, ma molti stanno chiedendo di riconsiderare questa decisione alla luce della recente offensiva turca contro i curdi. Stamattina (15 Ottobre, ndr) sulla Gazzetta è apparso un articolo titolato “Togliere la finale di Champions alla Turchia? Non può essere solo il calcio a dare il buon esempio”. Cosa ne pensa?

Sì però mi sembra tutto una presa per il culo! Cioè, il calcio non dà l’esempio, la politica non dà l’esempio, l’economia non dà l’esempio… cioè, è chiaro che qui dovrebbero darlo tutti l’esempio, perché il fatto che succede quello che sta succedendo è una vergogna dei nostri tempi, esattamente come altre vergogne del passato sono state salutate con indignazione. Le scene di ieri sera (14 ottobre, ndr) in cui ancora una volta i calciatori turchi festeggiano col saluto militare; l’idea che si possa derubricare il calcio come se fosse qualcosa che non c’entra con la politica, quando sappiamo che purtroppo il calcio con la politica c’entra tantissimo, e in generale l’idea che noi ci voltiamo dall’altra parte e che tutto prosegua come se niente fosse, mi pare uno scandalo. Mi dispiace, fra l’altro, che sia la UEFA: “Respect” sulle magliette, slogan contro il razzismo e per la pace… insomma, togliete la scritta almeno. Se volete continuare a giocare e a far finta di niente, per favore, non prendeteci in giro.

Per concludere, lei ogni giorno dedica un post sui suoi canali social a Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya lo scorso novembre, a soli 23 anni. A quasi un anno dall’accaduto, quanto è importante mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica su questa vicenda?

È molto importante: nella speranza, ovviamente, che si stia mettendo un po’ di pressione sulle nostre istituzioni, sulla classe politica soprattutto ma anche su chi la sta cercando, ma è importante anche per noi perché quando Silvia Romano fu rapita furono molte le uscite infelici… Chi porta la pace non gode di grande fortuna in questo momento, è un momento orrendo, e quindi ricordare e augurarsi che Silvia Romano torni a casa presto vuol dire anche ricordare che ci sono persone che dedicano il proprio tempo e la propria vita a cause più grandi di noi, più umane e più belle, e quindi che devono essere rispettate e tutelate, non prese in giro o di mira.

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