La guerra nella società della vergogna

Oggi vi parlo di due immagini della guerra e della società. Da un lato la “shame culture”, che fa coincidere la gloria con la morte in battaglia, dall’altra la guerra come evento tragico da cui cercare di uscire vivi. E lo faccio parlandovi di un film Netflix.

Un esercito mostruosamente potente, il più potente sulla Terra – l’equivalente medievale degli Stati Uniti contemporanei – contro un gruppo raffazzonato e sgangherato di uomini pescati dalle campagne, male in arnese e con scarsa esperienza – l’equivalente medievale dell’esercito di San Marino (sempre che San Marino abbia un esercito). È questa la guerra raccontata dal film di Netflix “Outlaw King – Il re Fuorilegge”, dove assistiamo al re di Scozia, Robert, che si scontra per il dominio sulla sua terra con il re d’Inghilterra.

Ma sul campo di battaglia non si scontrano soltanto due eserciti, due popoli, e due terre diverse, ma anche e soprattutto due idee radicalmente opposte, due ideologie di guerra antitetiche. Da una parte c’è l’Inghilterra che va in guerra in modo eroico, per l’onore, per perpetrare l’idealismo della morte, della gloria ottenuta anche e nonostante la devastazione; dall’altra c’è il pragmatismo antieroico dell’uomo comune. Soldati che vanno incontro alla morte bardati su cavalli maestosi, portando i vessilli della potenza del regno contro paesani spogli e grotteschi che avanzano nel fango.

Se gli inglesi sono immersi nel retaggio tipicamente medievale dell’eroismo cavalleresco, che impone di andare verso la morte per dimostrare il proprio valore e per ribadire l’idea assoluta del regno, gli scozzesi reagiscono all’idealismo guerresco con un pragmatismo profondamente antieroico, senza clamori, senza onore, senza gloria di sorta. L’atteggiamento contrapposto dei due schieramenti si rivela nelle parole dei rispettivi sovrani prima della battaglia decisiva: il Re di Inghilterra si appella alle grandi istituzioni per motivare i suoi soldati, chiamandoli a onorare Dio e il regno, a battersi per l’onore della corona. Sono idee forti ad animare le azioni degli inglesi. Al contrario, Re Robert dice ai suoi soldati che non gli importa la ragione per cui combattono, se lo fanno per Dio, per la terra, per il re: l’importante è che combattano in modo feroce e spietato.

La guerra non serve più a celebrare l’idea, a “monumentalizzare” un’impresa, a inneggiare alla divinità. Quella che realizza Robert è un “epica negativa”, un’apocalisse silenziosa, che contrappone schieramenti e clamori guerreschi alla semplicità, alla piccolezza e alla casualità, che sono in definitiva i fattori determinanti nella storia.

La Storia, quella con la “s” maiuscola, esiste per accumulo. Non è Napoleone, Cesare o Hitler che la fanno, come voleva Hegel, nessuna incarnazione dello spirito assoluto, quanto piuttosto i microeventi che si succedono nella vita di Napoleone, di Cesare, di Hitler, di un lattaio durante la Rivoluzione Francese, di una cortigiana dell’Impero Romano. La storia è il regno del cielo perduto a causa di un lancio di dadi. È re Robert con il suo esercito sgangherato, la sua grottesca e ridicola battaglia, e la sua eccelsa e perfetta intuizione della natura della storia.

Alla fine gli scozzesi vincono perché si sono saputi adattare, hanno sfruttato a loro favore un fattore del tutto contingente e imprevisto, cioè la conformazione del terreno nel luogo della battaglia. Così per una casualità così imbarazzante, per una ragione così fangosa e… “terra terra” (letteralmente!), si ribaltano le sorti della storia. Al di là di facili idealismi sulla guerra, sulla difesa della propria patria, oltre l’epicità tipica dei racconti medievali, Outlaw King mette in scena una storia di pragmatismo, di realismo, di umanità. Mette in scena la vera paura di un individuo terrorizzato in balia del caso della guerra, che combatte per salvarsi la pelle, più che per rendere onore alla nazione o al re.

Angelo Andriano

Nelle feste piccole, non c'è intimità.

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