Stai attento alla filosofia

Stai attento, caro lettore, alla filosofia.

Ricordo un professore che, quando era il giugno del primo anno di università, dopo un colloquio nel suo ufficio, cominciato discutendo della conoscenza umana e finito col chiedersi se il tutto sia uno o sia un insieme di molti, mi disse: “Mi raccomando: si prenda una pausa. Si faccia un paio di settimane di ombrellone, che la filosofia è una brutta bestia.”

La filosofia è una brutta bestia. Ma, come tutte le cose, caro lettore, finché non la provi sulla tua pelle non riesci a capirlo davvero. Mi dissero: “Quando studierai Essere e Tempo prendilo a piccole dosi, perché Heidegger tutto d’un colpo rischia di dare una scossa troppo forte alla tua vita.”

Pensi che io abbia seguito questi consigli? Pensi che mi sia preso due belle settimane di vacanza o che non abbia passato mesi su pagine incomprensibili a chiedermi se la mia vita fosse autentica o inautentica?

Devi starci davvero attento, e non sto scherzando, alla filosofia. Perché quando si comincia è innocua: nemmeno ti rendi conto che la stai facendo. Sei lì, disteso su una coperta poggiata sull’erba, mano nella mano con la tua cotta estiva, con la leggera brezza delle notti di luglio che vi fa stringere forte l’uno accanto all’altra. Gli sguardi sono rivolti in alto, persi nella profondità delle stelle: riesci a sentirne la lontananza, a cogliere l’immenso spazio che ti separa da loro. Guardi la luna, che è sempre stata lì, ma non l’hai mai davvero vista: ed è lontana anche lei, la luna, caspita se è lontana! E guarda i crateri, anche loro sono sempre stati lì, ma guarda i crateri! Guarda com’è tonda! Non è più un cerchio bianco stampato sulla scura piattezza del cielo: è la luna, la vera luna. Così bella, così lontana, così irraggiungibile. E proprio lì, a spazzare via tutti i tuoi problemi, tutte le difficoltà che gli anni possono aver portato a un ragazzetto di prima superiore, lì, quasi fosse un passaggio obbligatorio nella vita di tutti, arriva, a bocca aperta, la filosofia: “Ma quanto siamo piccoli.”

È lì, caro lettore, che devi stare attento. Finalmente puoi scegliere: puoi smettere di lasciarti vivere passivamente, puoi mettere tutto in discussione. Ti è stata data la possibilità di relativizzare il mondo. E tu che fai? Relativizzi, chiaro! Ma sì, relativizziamo! Siamo giovani, e noi giovani abbiamo la pelle dura, si sa. Cos’è una certezza, del resto, per noi giovani, se non uno dei tanti muri da abbattere. E allora via con i vari ma se fosse, con i primi dubbi ingenui sulle amicizie e sugli amori. Forse che vale davvero la pena star dietro a problemi di cui all’universo, nella sua infinità, non frega proprio nulla? Certo che no, è evidente. L’universo è troppo grande perché tu possa contare qualcosa. Dicono che siamo granelli di sabbia. Pagliacciate! – dici tu – non siamo neanche quello: non siamo niente, noi, per l’universo, ficcatevelo bene in testa.

Sei infiammato: hai il potere di distruggere. Ma la tua fiamma, così come di colpo si è accesa, di colpo si affievolisce. Tu non sei niente. Lo cominci a capire davvero: non sei niente. Ma allora perché, perché mai? Chi ha voluto tutto questo? Cosa decide che sia così e non in altro modo?

Quindi, inizi a interrogarti su dio. Un giorno, è impossibile che esista: è addirittura stupido crederci. Il giorno dopo, deve esistere per forza. Il giorno dopo ancora, di certo non esiste. Poi esiste; poi esiste ma non come noi lo immaginiamo; poi, chiamalo dio, universo o natura, facciamo tutti parte di un unico grande essere. Poi, alla fine, non esiste.

Ah, mio caro lettore, ormai ti sei spinto troppo in là! Avresti dovuto, su quella coperta, guardare le stelle e la luna nella loro piattezza, come dipinte sulla tela di un qualche pittore olandese dell’Ottocento, e limitarti, con gli occhi semichiusi, ad ammirarne lo splendore. Ma ormai è troppo tardi.

Dio non esiste, quindi. E, devi ammetterlo, esisti un po’ meno anche tu. Fai lo spavaldo – perché vedi le cose come stanno veramente: sei riuscito a liberarti dalle catene e hai finalmente potuto guardare il sole – ma in realtà, dentro, ti senti perso. Provi a interessarti ad altro: ti piacciono le scienze, ma in nessuna riesci a trovare quel qualcosa che riesca ad alleviare il peso che hai nel petto. Qualche volta ti si riaccende la speranza: “In fondo, questo mondo non è così male, no? Potrebbe esser peggio!” E poi, se ci pensi bene, è logicamente impossibile che dio non esista. Ma, lo sai, la logica umana non si applica a dio. Forse il problema allora siamo noi, inutili e limitati esseri umani, e anche se dio ci fosse non riusciremmo a conoscerlo.

Per un po’, allora, ti concentri su questo, e provi a capire quali siano le cose che hai effettivamente la possibilità di conoscere: studi i tuoi limiti. Ma i tuoi limiti – per forza! – ti riportano a dio. E dio ti riporta alla tua vita: come la stai vivendo? Ti sei stancato di andare dietro agli amori, ma, allo stesso tempo, sei anche stufo di fare il bravo ragazzo. Cominci a dar peso alle scelte, e ti tremano le gambe nel ripensare a tutto quello che ti sei lasciato dietro. Hai bisogno di qualcosa, lo senti: ma di cosa? Vorresti andar via, cambiare tutto, e trovare il coraggio di affrontare l’ignoto, di fare un salto nel buio.

Ma quel coraggio, caro lettore, non lo trovi. E così alterni la monotonia dei giorni alla disperazione delle notti, aggrappandoti a quelle rare occasioni in cui un sorriso riesce a nascere sul tuo volto. C’era stato, forse, un momento in cui la tua forza era tornata, in cui ti eri sentito importante, perché avevi pensato di essere una piccola ma fondamentale parte di un assoluto che, pur pieno di contraddizioni, ti comprendeva nella sua interezza. Ma quel momento è durato poco, perché ormai l’hai capito, l’hai visto stampato davanti ai tuoi occhi, e non c’è più nessuna scappatoia: dio è morto.

Hai visto dove ti ha portato la filosofia? Ti avevo detto di stare attento! Ormai, caro mio, dio è morto. Sai cosa vuol dire questo, vero? Vuol dire che è troppo tardi per qualsiasi vacanza. Non c’è nessun luogo in cui non sia arrivato l’annuncio della morte di dio. Non c’è nessuna via di fuga.

Che fare, quindi? Prenditi del tempo per elaborare la cosa. Bravo, amico mio, prenditi il tuo tempo! Lascia che questa notizia si insinui pian piano dentro di te. Fa male, all’inizio, molto male; poi comincia ad andare meglio. È un po’ come un farmaco: ai dolori della malattia va ad aggiungersi il gusto orrendo del medicinale, che il nostro corpo si rifiuta di ingerire; però, una volta assunto, pian piano se ne sentono i benefici.

E così, col tempo, la morte di dio diventa per te un’opportunità. Sei finalmente libero: solo, ma libero. Non importa dove sei nato, non importa quando. L’unica cosa che conta, adesso, è che puoi essere tu il tuo dio. Sei libero di guardare avanti, libero di toglierti dalle spalle il peso del passato, libero di progettarti. Non conta più cosa sei, conta cosa sarai. O meglio, non conta ciò che hai fatto, ma ciò che d’ora in poi deciderai di fare. Non hai più bisogno di qualcuno che ti spieghi come muoverti, ormai l’hai compreso da te! E allora, fratello, vai! Creati! Vivi la tua vita cercando di lasciare un’impronta; tira fuori il meglio di te!

Ma non dimenticarti mai che dio è morto; che sei stato gettato in questo mondo senza sapere il perché; che puoi costruirti una casa solo perché una casa, in realtà, non ce l’hai. Non fermarti all’apparente felicità degli altri, non lasciarti incuriosire dalle loro chiacchiere; non dimenticarti che l’infinita potenza che hai ora è figlia della finitezza a cui la morte di dio ti ha costretto.

Non dimenticarti mai, te lo chiedo per favore, della profondità del cielo notturno, perché è solo grazie al tuo essere nulla che hai potuto scegliere di diventare qualcosa.

Non dimenticarti mai, caro lettore, di stare attento alla filosofia, che è una brutta bestia.

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