Come smettere di procrastinare: l’arte di passare all’azione

La procrastinazione è una pratica molto diffusa al giorno d’oggi. Molti di noi sperimentano un grado più o meno intenso di frustrazione nel non riuscire a portare a termine i propri obblighi, buoni propositi o compiti importanti. La nostra mente vaga continuamente e facciamo fatica ad orientarci tra le varie mansioni quotidiane. Spesso questa fatica prende la forma di una grande insofferenza o addirittura di un dolore che ci paralizza e ci confina nell’inazione

Quanti di noi vorrebbero smettere di procrastinare e semplicemente fare? Scrivere quella lettera, chiedere scusa a quella persona, inviare il curriculum a quell’azienda. Pur nella sua semplicità, l’azione è per molti un duro scoglio da superare. 

Farla finita con la procrastinazione e imparare l’arte di passare all’azione? Secondo Gregg Krech, uno dei massimi esponenti della psicologia giapponese in Nord America, è possibile. La psicologia giapponese, infatti, contiene dei preziosi insegnamenti pratici da seguire per smettere di rimandare. Il libro di Krech, “L’arte di passare all’azione”, è dedicato a tutti coloro che hanno perso la bussola e che vorrebbero rimettere ordine nelle loro vite. 

Ma la procrastinazione è davvero così dannosa? Che male può esserci nel prendersi una pausa ogni tanto per dedicarsi a ciò che abbiamo veramente voglia di fare in quel momento? 

Immaginate di essere appena tornati a casa da una giornata sfiancante di lavoro o di studio. Aprite la porta, entrate in camera, buttate alla rinfusa i vestiti sul letto o sulla sedia con l’intenzione di riordinarli dopo, poi vi accorgete di avere fame e vi dirigete in cucina per preparare la cena. Con vostra sorpresa, però, non ci sono più stoviglie a disposizione. Un’infinita pila di piatti sporchi giace dimenticata sul fondo del lavello accanto al piano cottura. Vi ricordate di non aver soddisfatto il proposito di lavare i piatti entro la sera precedente, e vi sentite decisamente troppo sopraffatti per lavarli adesso, quindi rinunciate a cucinare la cena e ordinate una pizza d’asporto. In fondo, dopo una giornata così stressante, ve la meritate. 

Non sembra proprio una scelta ideale, non è vero? Eppure non è difficile riconoscersi in questa descrizione. La nostra vita spesso scorre scandendo un ritmo incessante ed ininterrotto ed è molto difficile starle al passo. Quasi tutte le nostre giornate sono così piene – o perché abbiamo scadenze o impegni prestabiliti, o perché siamo noi a cercare di riempirle alla rinfusa – che non riusciamo a trovare il tempo di svolgere compiti così piccoli eppure vitali come lavare i piatti o riordinare la nostra stanza.

Viviamo oggi in una società in cui per valere qualcosa è indispensabile produrre qualcosa. L’ideale della produttività plasma le nostre azioni e i nostri pensieri quotidiani. La produttività è un demone che non ci dà posa e ci sussurra continuamente all’orecchio che la nostra autostima deve dipendere dal numero di compiti che riusciamo a portare a termine in un giorno. Per ottemperare al massimo a questo sublime ideale riempiamo le nostre giornate più o meno sapientemente, in modo da dare a noi stessi l’illusione di essere sempre in movimento.

L’idolo della produttività estrema e incondizionata è spesso all’origine dello stress, che a sua volta può dare origine a varie malattie quali cardiopatie, diabete, compromissioni del sistema immunitario e tanto altro. La cosa essenziale da capire, però, è che la produttività non è un male in sé. Al contrario, essa è ciò che dà sapore alla nostra vita: tutti noi sentiamo il desiderio di compiere qualcosa di grande che conferisca finalmente un senso alla nostra esistenza. La realizzazione dei nostri progetti futuri, per quanto lontani questi ci appaiano, dipende strettamente dalle azioni che decidiamo di compiere oggi. Per questo, ogni volta che procrastiniamo, compiamo un’ingiuria nei confronti di noi stessi, degli altri e della nostra vita.

Facciamo un torto a noi stessi, dal momento che rinunciamo a compiere delle azioni necessarie a realizzare le nostre aspirazioni semplicemente perché generano in noi un profondo senso di inadeguatezza. Chi desidera diventare uno scrittore non riesce a iniziare a scrivere un libro perché non riesce a convivere con la paura che il suo manoscritto venga rifiutato dalle case editrici, e si ingegna per risolvere il problema alla radice: non scrive nessun libro. Non sarà mai uno scrittore e finirà la sua vita con un groviglio di rimpianti in gola. 

Facciamo un torto agli altri e alla vita perché non capiamo come tutto sia in realtà interconnesso. Se non portiamo a termine un progetto di lavoro, qualcun altro dovrà farlo al posto nostro. Se nostra madre ci aveva chiesto di stendere i panni entro il suo ritorno dal lavoro e noi ce ne “dimentichiamo” (sarebbe più corretto dire che evitiamo di farlo), dovrà farlo lei, nonostante sia stanca e abbia già mille altre faccende da sbrigare. 

Se date un’occhiata alla vostra “to do list” di oggi, le cose da fare saranno senz’altro ordinate in termini di urgenza. Eppure la psicologia giapponese ci insegna che, se non vogliamo fare un torto a noi stessi, dobbiamo includere in questa lista anche le cose importanti, ovvero tutti quei compiti che non necessitano di essere svolti per forza, ma da cui a lungo termine trarremo beneficio (ad esempio, l’attività fisica).

Possiamo individuare ciò che è importante per noi semplicemente distaccandoci e guardando la nostra vita dall’alto: avere un progetto di vita e, in base ad esso, individuare una gerarchia tra le azioni da compiere è il primo passo per evitare di procrastinare. Senza questa pianificazione le nostre giornate si riducono ad un guazzabuglio di occupazioni inutili e insensate. Dobbiamo cercare di fare tutti i giorni qualcosa che ci porti più vicino al nostro obiettivo. Quando svolgiamo un compito che non abbiamo voglia di svolgere, dobbiamo sempre tenere presente dove vogliamo arrivare. 

Un esercizio utile per capire che tipo di persone vogliamo diventare nella vita potrebbe essere quello di stilare il nostro elogio funebre. Qual è stata la nostra qualità più importante? Quali le cose meravigliose che abbiamo raggiunto e per cui verremo ricordati?

Spesso, però, anche una volta che abbiamo individuato ciò che dobbiamo fare, non riusciamo ugualmente a farlo. E questo perché, come sottolinea Gregg Krech, l’essere umano è spinto a rifiutare quelle azioni che generano in lui emozioni negative (noia, ansia, paura ecc..). Ogni giorno noi fuggiamo da molte situazioni perché generano in noi un senso di sconforto o perché non comportano una gratificazione immediata. I tre modi con cui siamo più propensi ad attuare queste strategie di fuga sono essenzialmente tre: 

  1. Evitamento: evitiamo ciò che ci infastidisce (ad esempio, lavare i piatti) e ci dedichiamo a qualcosa che ci fa stare bene (ordinare la pizza).
  2. Rassegnazione: la rassegnazione è una forma di accettazione senza azione, uno stato in cui ci facciamo semplicemente sopraffare e travolgere dai sentimenti. 
  3. Lamentela: lamentarsi di qualcosa che non ci va a genio non porterà mai alcun beneficio, anzi, al contrario, ci farà concentrare più del dovuto sulla sensazione sgradevole.

Credere di dovere aver voglia di fare una cosa per riuscire a farla è una convinzione erronea che ci lascia prigionieri della procrastinazione. La strategia più efficace da adottare nei confronti dei sentimenti negativi che insorgono in noi quando siamo chiamati ad agire è l’accettazione: dobbiamo accogliere e custodire i nostri stati emotivi senza praticare strategie di fuga. Questo tipo di accettazione è risolutiva e non ricade nella rassegnazione se e solo se è contemporanea all’azione. Così, per esempio, se dobbiamo metterci all’opera per scrivere un libro al fine di diventare scrittori e questo suscita in noi una forte paura di non riuscire, dobbiamo sederci alla nostra scrivania e semplicemente iniziare a scrivere lasciando che la paura si sieda comoda accanto a noi per tutta la durata dell’azione. 

La teoria dell’accettazione dei pensieri e sentimenti si basa sul presupposto che l’esperienza interiore è incontrollabile da parte della volontà. Dal momento che, nonostante tutti i nostri sforzi, non potremo mai avere un totale controllo sui nostri pensieri, non ci resta che accettarli. 
 
Per quanto sia indispensabile avere un progetto, bisogna tenere presente che non sempre è possibile avere le idee chiare e che l’incertezza fa parte della vita. Non dobbiamo necessariamente avere la situazione in mano prima di compiere una scelta. L’azione è una forma di comprensione, pertanto tutti noi il più delle volte capiamo le cose solo facendole, interagendo con esse, come quando prepariamo la cena e assaggiamo ogni passaggio della ricetta: se qualcosa non quadra, regoleremo di sale o aggiungeremo dell’olio e così via. Lo stesso vale per la vita.

“È meglio chiarirsi le idee prima di iniziare, ma è anche meglio iniziare prima di chiarirsi le idee.”

Un altro consiglio per ridurre la procrastinazione è rallentare, o meglio, decidere quale ritmo imprimere alla nostra vita, posto che ad attività diverse vanno riservati ritmi diversi. Quante volte non abbiamo dedicato abbastanza tempo a un’azione e ci siamo ritrovati con l’acqua alla gola? Questo avviene perché la frenesia della vita e i numerosi stimoli a cui siamo sottoposti nella nostra quotidianità hanno fatto sì che la nostra esistenza abbia assunto un ritmo innaturale. La natura, infatti, – basti pensare al ciclo delle stagioni oppure all’evoluzione delle specie animali – richiede tempi lunghi per dare i suoi frutti. Anche noi uomini siamo figli della natura, pertanto ci sarà sempre in noi una buona dose di lentezza, non importa per quanto a lungo premiamo l’acceleratore.

I tempi necessari per portare a termine molti dei nostri obiettivi più importanti sono tempi relativamente lunghi. Spesso rinunciamo ad agire perché vogliamo vedere i risultati subito e ci spazientiamo. Pensiamo semplicemente al proliferare di programmi fitness che promettono una pancia piatta in sole due settimane. Le persone preferiscono seguire questi ultimi, per quanto semplicistici e inadeguati, piuttosto che iscriversi in palestra. Spesso questo avviene, più che per una questione strettamente economica, perché si tende a voler risparmiare tempo e si vuole avere tutto subito senza impegnarsi troppo.

Del resto, il tempo è denaro e più ne risparmiamo bruciandolo più lo gestiamo meglio. Ma, prima che essere denaro, il tempo è vita. La nostra vita sarà dunque tanto più gratificante quanto più si assesterà sul ritmo lento e paziente della natura. Se è vero che il cambiamento in natura è la regola, d’altra parte in essa non c’è posto per le trasformazioni immediate. Il segreto per una vita all’insegna dell’azione è, dunque, un cambiamento graduale, che proceda per piccoli passi.

L’andamento lento segnato dai piccoli passi, del resto, è alla base della pratica economica del Kaizen (“cambiare in meglio”) importata in Giappone dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. Questa pratica nasce in ambito aziendale, ma può essere applicata con lo stesso successo al cambiamento personale. La strategia consiste nell’evitare di dare il tutto per tutto sin da subito e iniziare da azioni insignificanti. 

Come si dice spesso, chi inizia è già a metà dell’opera. Ma come fare a trovare lo slancio necessario per iniziare? Un buon metodo potrebbe essere quello di portare il proprio corpo nel posto giusto. Se dobbiamo terminare un compito per la scuola o l’università, spostiamoci nella scrivania o nello studio. Se dobbiamo allenarci, iniziamo con il metterci la tuta da ginnastica e stenderci sul tappetino. Non è garantito che compiremo quell’azione, ma il più delle volte accade che proviamo a dedicarci ad essa anche solo per 5 minuti. Se si ripete questa strategia ogni giorno si avranno ottimi risultati. Del resto, soffriamo di più ad immaginare di fare una cosa che a farla realmente. Le cose, una volta preso il via, perdono di complessità diventando sempre più naturali.

Spesso, prima di compiere un’azione, cerchiamo di prepararci mentalmente e di motivarci ricorrendo a varie strategie, come il fare affermazioni positive su noi stessi e sul compito che dobbiamo affrontare, quando in realtà l’unica cosa da fare è essere nel posto giusto al momento giusto e da lì in poi mettersi all’opera. 

Il Kaizen è particolarmente fruttuoso se viene accostato al Naikan, un metodo di introspezione ideato da Yoshimoto Ishin (1916-1988), uomo d’affari buddhista. Questo metodo allena allo sviluppo della gratitudine ed è incentrato su tre domande da porsi in relazione alle persone che fanno parte della nostra vita: Che cosa ho ricevuto da…? Cosa ho dato a…? Quali preoccupazioni e difficoltà ho causato a…? Adottare una filosofia della gratitudine è essenziale per ridurre lo stress dannoso. 

La nostra gratitudine può essere esercitata anche in un altro modo. Spesso trattiamo le varie incombenze che ci capitano durante la giornata (andare a fare la spesa, fare il bucato ecc..) come veri e propri obblighi che svolgiamo con riluttanza. Così diciamo “devo andare a fare la spesa” e questa affermazione indica già di per sé un’insofferenza nei confronti dell’atto. Possiamo dunque provare a praticare una rivoluzione linguistica sostituendo “devo” con “ho la fortuna di”: impareremo a non dare nulla per scontato e la vita si sbarazzerà per noi del suo tedioso grigiore, assumendo un aspetto tutto colorato. 

Spesso accade che non riusciamo ad individuare quale azione compiere per prima, a che cosa riservare maggiore importanza. In questo caso la curiosità gioca un ruolo fondamentale. Davanti a noi c’è un mondo intero: esploriamolo! E, soprattutto, dobbiamo imparare a relazionarci con il mondo circostante senza farci guidare dal nostro schema di preferenze e avversioni. La vita ci chiede di sperimentare, di uscire dalla nostra comfort zone e cimentarci in azioni per noi spiacevoli, in modo da costruire un bagaglio di esperienze e, così, individuare ciò che è più adatto a noi, ma senza mai fossilizzarsi nelle abitudini.

Dobbiamo anche considerare che se una certa azione non ci entusiasma, questo non vuole assolutamente dire che non sia la cosa giusta da fare per noi. Infatti, la perdita dell’entusiasmo iniziale nel fare qualcosa si verifica di necessità con l’abitudine. Più siamo abituati a svolgere un certo compito, meno staremo attenti ad esso e più saremo annoiati. È normale che la nostra mente vaghi e provi a distrarci mentre stiamo leggendo lo stesso paragrafo di un libro (che pure ci interessa) per la ventesima volta. Dobbiamo solo contrattaccare e cercare di riportare la nostra attenzione al momento presente. 

La maggior parte delle azioni che compiamo sono giudicate da noi importanti o addirittura indispensabili al fine del raggiungimento di un risultato. Tuttavia, la meta finale è spesso lontana ed evanescente e la vita stessa è piena di imprevisti. Non possiamo essere certi di come le cose andranno a finire e dobbiamo essere  sempre consapevoli del fatto che le nostre capacità di calcolo e previsione restano limitate. Non dobbiamo dunque attaccarci troppo allo scopo finale: certo, esso deve fungere da trampolino di lancio per spingerci all’azione, ma al contempo dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione sullo sforzo presente, senza correre e cercare di arrivare troppo in là.

Grazie ai vari consigli di Gregg Krech ora sappiamo da dove iniziare per guarire dall’ossessione dell’incompiuto e iniziare a prendere in mano la nostra vita. Il metodo da lui proposto si potrebbe riassumere con la seguente frase: 

“Avere un obiettivo chiaro, essere presenti, procedere a piccoli passi, ripetere questa formula ogni giorno ed essere pazienti.” 

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