Sull’insostenibilità dell’ecologia borghese: per una nuova politica

Nell’analizzare il concetto di popolazione di merce, Giorgio Nebbia, chimico, ambientalista e politico, rileva un’assonanza tra il ciclo economico e quello biologico. Biochimicamente, quando una merce viene messa sul mercato, la sua popolazione aumenta rapidamente verso la saturazione fino a raggiungere il valore della carrying capacity, ossia la quantità sopportabile dal mercato stesso. Allora ci si accorgerà che un’eccessiva quantità di merce provoca problemi di inquinamento. Proprio le popolazioni animali tendono a scomparire quando l’ambiente è pieno dei prodotti tossici del loro stesso metabolismo, per intossicazione del mezzo. Le merci non si producono a mezzo di soldi né di altre merci, bensì a mezzo di natura. Nei cicli economici si formano inevitabilmente scorie che finiscono nei corpi naturali, di cui viene modificata la composizione chimica: in questo consiste l’inquinamento.

È quindi puramente naturale che il sistema capitalista sia giunto a una classica crisi di sovrapproduzione e a una moderna di riproduzione, dal momento in cui si fonda sull’accumulo della roba. Nell’analisi di André Gorz, questa moderna crisi di riproduzione consiste nella sopravvenuta impossibilità di ricorrere a ulteriori riserve di beni naturali per la produzione di merci ed è dovuta all’eccessivo sforzo imposto all’ecosistema, fisicamente inteso, nel riprodurre risorse da impiegare nel ciclo produttivo. Strumento tecnico-scientifico principale della programmazione delle imposizioni di produzione gravanti sulla Terra è dunque l’ecologia, quale branca della scienza che non preclude, anzi in questo caso favorisce, l’asservimento dell’ambiente alle ragioni capitalistiche. In questo senso l’ecologia è una ideologia borghese. Essa solleva una questione fondamentale: gli effetti distruttivi della produzione ne superano i benefici? Piuttosto che l’ecologia, è l’ecologismo la presa di posizione morale volta alla tutela dei bisogni umani per mezzo della protezione dello stesso ambiente. La subalternità ancillare dell’ecologia alle regole della produzione è chiave di lettura dell’intero paradigma della struttura economica dominante, nonché dello stesso intimo rapporto tra uomo e ambiente.

Se detto rapporto si fonda su ineluttabili leggi fisiche, quale l’inevitabilità dell’impoverimento delle riserve naturali dovuta alla produzione e ai consumi, il capitalismo invece sussiste solo nella misura in cui si producano e consumino crescenti quantità di merci, quindi attraverso uno sfruttamento crescente e rapido delle risorse naturali e di lavoro. I limiti fisici della crescita hanno accelerato la crisi della Natura evidenziando <<l’assurdità di un sistema la cui crescita di produzione andava di pari passo con quella della disuguaglianza e del disagio>>1. La crisi della natura non è quindi esterna all’economia, alla società, alla politica: ne è il sintomo inaggirabile.

Il tessuto culturale sottostante alla proposta di porre limiti alla crescita era borghese. Il dominio capitalista si consuma nella somministrazione dei rimedi ai problemi da esso stesso introdotti. Il consenso, per quanto irrilevante, è estorto a suon di ricatto occupazionale; in Italia i problemi sono tenuti sotto controllo <<con la droga della pubblicità e della banalità>>2. Non solo il sistema non risolve detti problemi: ha spostato l’inquinamento dai fiumi ai fanghi immessi nel suolo, dalle discariche alle diossine prodotte dagli inceneritori, dai Paesi industrializzati a quelli del Sud. Lungi dal consumatore pensare che questo significhi occultare queste complicazioni: la ragione del successo del sistema risiede nel segno del suo appalesarsi costantemente proprio perché il consumatore è, in una parola, impotente. <<La globalizzazione consiste così nell’universalizzazione dei bisogni indotti e nella moltiplicazione dell’asservimento globale agli stessi bisogni e alle stesse merci>>2. Di fronte alla possibilità di accettare un sistema a dir poco perfettibile, si pone l’alternativa di riconoscerne criticamente la brutalità.

Come notato in L’insostenibile leggerezza della sostenibilità (articolo da Geography Notebooks), <<l’istituzionalizzazione della sostenibilità è divenuta sinonimo del suo conformismo. La lotta per il cambiamento è stata assorbita e ha trovato ampio spazio di legittimazione nella retorica politica. La narrazione pubblica della questione ambientale non ha assunto subito una spinta ecologista e il termine “sostenibilità” si è ridotto a termine tecnico imprescindibile da ogni retorica politica o paradigma culturale>>.3 La notorietà del termine si è poi intensificata in maniera inversamente proporzionale rispetto agli effetti positivi da essa promessi sull’ambiente. Il capitalismo ha mercificato il discorso ambientale: la sostenibilità è diventato un brand. Il mercato ha quindi fondato un <<mondo parallelo di salvaguardia dell’ambiente>>, che si regge su sottili ma sufficientemente persuasive etichette. Il vorace approccio della macchina capitalistica è un problema in quanto risponde a esigenze umane crescenti. Aumenta l’intensità dei bisogni umani, si creano più bisogni storici nell’illusione che corrispondano ai primi.

La responsabilità di sovvertimento del sistema non è rinvenibile nel singolo consumatore, richiamato al riciclo al sol fine di alimentare la maschera verde del capitalismo, bensì nel produttore, il quale fa di tutto per arricchirsi nell’immediato, produrre nel segno dell’efficienza, per poi trattare l’ambiente come discarica gratuita. È sul produttore che grava la responsabilità morale ed economica di schierarsi in ottica non solo autenticamente antropocentrica, in maniera lungimirante e cosciente, ma anche a favore della stessa Natura di cui fanno parte. E quest’ultimo elemento è ulteriore riprova dell’assurdità del sistema capitalista: se la vita tende alla sua conservazione, il capitalista tende invece alla conservazione e all’accrescimento del proprio patrimonio, lasciando cadere il resto della specie, della comunità.

Negli ultimi vent’anni si è assistito al proliferare di nuovi termini: Green Economy, Circular Economy, ecc. Trattasi di un vero e proprio <<mimetismo terminologico>>3, funzionale al dominio ora dello stesso ecologismo come volto al rafforzamento e alla coesione del sistema.  André Gorz segue le orme di Marx ed Engels nell’accorgersi della non autoreferenzialità della crisi della natura, inconcepibile come altro-da-sé. Sarebbe banale, ma si rende necessario, rammentare l’appartenenza dell’uomo alla Natura: le costruzioni della tecnologia, della storia, della morale sono interne a essa. Prendere in considerazione l’idea di sovvertire l’ordine capitalista e la sua tendenza livellatrice passa per irrealista e assurdo solo in quanto storicamente il capitalismo si è manifestato e imposto, nonostante sia da lungo tempo in profonda crisi.

La soluzione pragmaticamente predisposta da Giorgio Nebbia consiste nella rilettura dell’ancor attuale Progetto a medio termine di Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano tra gli Anni Settanta e Ottanta. Una volta presentato al pubblico, l’Austerità auspicata fu vista come impossibilità di arricchirsi sulle spalle delle altre classi. L’atteggiamento adottato dalla classe dirigente nell’atto di ridicolizzare la proposta di progetto a medio termine si pone come motivato dall’anelito all’arricchimento a breve termine a scapito della popolazione da sfamare, occupare e soddisfare umanamente.

Il mandato dei governi consiste nell’attenuare le differenze fra chi, dal produrre merci, guadagna pur inquinando e chi ci rimette molto, in salute, benessere e soldi. Come correttamente notato da Nebbia, <<occorre modificare i sistemi elettorali e rappresentativi, ridurre il deficit del bilancio pubblico, occorre una maggiore moralità privata e pubblica, occorre sanare alcune ferite territoriali e ambientali e alcune vistose ingiustizie sociali che colpiscono maggiormente le classi meno abbienti e più deboli>>4: ragazzi, disoccupati, anziani, pensionati, immigrati, malati. Tutto questo è possibile solo agendo in tutti i settori della produzione, coordinandoli. Il progetto della classe dominante del nuovo millennio è chiarissimo: l’annullamento delle conquiste dello stato sociale, la privatizzazione dei beni collettivi, la difesa dei profitti privati a spese della collettività. È ovvio che queste intenzioni siano opposte alla necessità sentita dalla Natura stessa e in questo articolo rilevate. La gestione pubblica dei beni ambientali e delle industrie è stata condotta nel segno della corruzione e dell’imperizia: è dalla politica che bisogna ripartire, da una radicale inversione di tendenza.

L’agricoltura, fonte degli alimenti, ma anche di molti altri materiali, dev’essere oggetto di rinnovazione. Un piano agro-industriale comporterebbe rilevanti investimenti, ma può garantire un sostanziale miglioramento della nostra bilancia commerciale e consistenti benefici occupazionali. Inoltre, la crisi della natura trova un grave sintomo nello sviluppo distorto delle città e del territorio. Non si può prescindere dal mutare il rapporto con la città se si vuole riequilibrare i rapporti tra Nord e Sud del Paese. Come sosteneva Berlinguer, occorrono riforme concrete per un miglioramento generalizzato delle condizioni di vita e di lavoro nelle campagne. Occorre far leva sul patrimonio storico italiano per frenare la congestione delle grandi aree metropolitane e valorizzare città di dimensioni adeguate alle funzioni sociali e produttive. Dal punto di vista del trasporto, l’auspicio è quello di intensificare le infrastrutture di trasporto collettivo e di sviluppo dei trasporti delle aree urbane ed extraurbane. Eppure nell’ultimo ventennio si è andati nella direzione opposta. La politica energetica e dei trasporti era più orientata all’aumento dello spreco che alla sua riduzione. È necessaria una pianificazione dei consumi: <<occorre uno sforzo di qualificazione degli investimenti al fine di garantire la sostituzione di determinate importazioni con produzioni interne capaci di reggere la concorrenza, in un regime aperto di scambi internazionali, con le merci straniere e insieme al fine di adeguare alle nuove realtà e prospettive del mercato mondiale le capacità di esportazione dell’Italia, arricchendo e diversificando la produzione dell’industria italiana per il mercato estero>>4. Ciò è attuabile principalmente mediante lo sviluppo della ricerca nell’ambito della chimica secondaria e fine, dell’elettromeccanica e di tutta l’industria.

<<L’origine dell’attuale crisi dell’occupazione si può identificare proprio nell’incapacità, da parte della classe dominante — politica e degli imprenditori — di prevedere i bisogni, dalla mancanza di previsioni lungimiranti, dalla conquista del vantaggio puramente finanziario a breve termine>>4. Per arginare questa situazione di degrado, economico e morale insieme, occorre che la svolta politica sia anche una svolta nelle scelte economiche e produttive, nell’organizzazione delle città e nella salvaguardia dell’ambiente. Un progetto per la struttura produttiva del Paese non coinvolge soltanto il tipo e la qualità delle merci, ma anche la localizzazione della attività produttive, guardando di nuovo al Mezzogiorno dove l’industrializzazione non di rado ha provocato danni al territorio e al tessuto sociale del Sud, ripagati naturalmente con il pubblico denaro.

La Proposta di progetto a medio termine non ha dato luogo ad alcuna discussione. Così il degrado ambientale si è aggravato e il divario fra Nord e Sud d’Italia si è allargato. La tensione tra ricchi e poveri si è strappata al punto da dar vita a un secondo mondo, costituito dalla metà del pianeta che corre verso una congestionata industrializzazione, la quale ha aggravato i problemi di scarsità e di prezzi delle materie prime. <<La capacità di lotta per migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche (una delle primordiali forme di ecologismo) si è affievolita in una ecologia-spettacolo>>4. A due miliardi di abituati agli sprechi fa da contraltare una fin tropo grande porzione di mondo che soffre gravissime mancanze. E l’unica mozione possibile per questa consiste, assurdamente, nel richiedere che i primi due miliardi consumino e sprechino meno.

Che la proposta di Berlinguer e la sua eco negli articoli di Nebbia siano rimaste inascoltate è sintomo della sonnolenza che pervade irrimediabilmente la chimera dei soggiogati. Questi, essendo parte integrante della struttura, in tanto possono destarsi e lottare, facendo valere i principii di democrazia, solidarietà civile e dovere costituzionale di permettere il pieno sviluppo della persona umana;, in quanto possono cadere vittime dell’intossicazione del mezzo, inerti.

Citazioni:

  1. E. Leonardi, Attualità dell’ecologia politica di A. Gorz
  2. G. Nebbia, L’ecologia è una scienza borghese?
  3. I. Capurso, E. Tolusso, A. Marini e L. Bonardi, L’insostenibile leggerezza della sostenibilità
  4. G. Nebbia, C’era una volta l’Austerità

BIBLIOGRAFIA:

Giorgio Nebbia per CNS, Ecologia Politica e Green Report:

  • Rileggendo Berlinguer;
  • Che fine ha fatto l’ecologia;
  • Produzione di merci a mezzo di natura;
  • Le popolazioni di merci e il loro futuro;
  • L’ecologia è una scienza borghese;
  • La circolazione natura-merci-natura;
  • Addio a Ronald Coase, il premio Nobel che ha fatto la storia dell’economia ambientale.

André Gorz, Ecologia e libertà.

Adorno e Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo, in particolare L’industria culturale.

I. Capurso, E. Tolusso, A. Marini, L. Bonardi, L’insostenibile leggerezza della sostenibilità, per Geography Notebooks.

E. Leonardi, Attualità dell’ecologia politica di A. Gorz, per Etica & Politica.

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