Stare bene, prima parte: l’arte di essersi amici

Negli ultimi anni sentiamo molto parlare di benessere e spesso associamo questa magica parola a immagini non troppo realistiche, come un corpo tonico che fa ginnastica senza sudare, cibi impiattati tanto bene che è quasi un dispiacere mangiare, pancia sempre sgonfia e un grande sorriso sulle labbra ogni giorno, anche se la realtà è un po’ diversa. Iniziamo quindi oggi a vedere cosa significa davvero stare bene parlando del rapporto con noi stessi, specialmente nei momenti di difficoltà.

Anche se l’iperindividualismo tanto di tendenza ultimamente è lontano dall’essere salutare e auspicabile, come in tutte le situazioni è una giusta via di mezzo quello a cui dobbiamo aspirare. Per quanto è vero che le relazioni interpersonali sono parte del nostro essere umani e, quindi, non è ambizione realistica crescere senza confrontarci con chi ci circonda, è altrettanto evidente quanto creare noi stessi sugli altri sia potenzialmente problematico. Parleremo in un’altra occasione della dipendenza affettiva, ma quello che ora va messo in chiaro è che sano e rispettoso deve essere non solo il rapporto con il partner, ma anche quello con noi stessi.

In un articolo per la Washington University, Morgan Turner, assistente sociale clinica presso la UW Neighborhood Ballard Clinic, spiega cosa significa self-care: è la necessità, riassume, di fare cose che fanno bene al nostro benessere fisico, emotivo o psicologico. Vista la genericità di questa definizione, è già evidente che non siamo tutti obbligati a mettere massa muscolare, costretti allo yoga o al porridge proteico per dire di stare davvero bene. Questa immagine stereotipata della felicità, per quanto possa aderire bene ad alcuni, è solo una delle tante routine salutari che possiamo creare e, soprattutto, è un’immagine, un ideale, manca di quel dinamismo e di quegli imprevisti che caratterizzano la realtà

In The Art of Being your own best friend, la psicoterapeuta Carissa Karner spiega come essere amici di se stessi. Le parole chiave sono tre: ascolto, fiducia e perdono. Il percorso inizia con la capacità di stare in silenzio e lasciar scorrere le emozioni: tentare di trovare una soluzione sarà fallimentare se prima non abbiamo esplorato i nostri sentimenti. La Karner racconta di quando, nervosa per il TED talk, ha chiamato la sua migliore amica: mi ha ascoltata, dice per spiegare cosa la renda tale, non ha provato a fornirmi delle soluzioni, ma con la sua ricettività mi ha fatto capire che, in qualsiasi modo mi sentissi, andava bene

Il secondo passo è la fiducia. Siamo circondati, afferma la psicologa, da messaggi che velatamente ci giudicano incapaci di capire cosa sia meglio per noi, da diete severe che biasimano la nostra alimentazione a pubblicità per cui il nostro corpo è sbagliato (in primis delle grandi marche che osannano creme per nascondere rughe, smagliature e quant’altro), fino a vite virtuali entusiasmanti con cui non reggiamo il confronto. Gli stimoli a cui siamo sottoposti non fanno altro che dirci che la risposta è fuori, ma non è così: nessuno sa cosa ci farà star bene più di noi stessi. Certo, è chiaro: fidarsi di sé non significa assecondare ogni impulso alla cieca, ma coltivare la capacità di darsi consigli da provare davvero.

L’ultimo punto è il perdono. Perdonarsi significa concedersi di essere imperfetti e, quindi, umani. La Karner racconta di una sua paziente con disturbi alimentari: prima ha accettato ciò per cui la sua “inner critic” la biasimava tanto, poi si è perdonata per essersi spinta verso tanto dolore. Questo atteggiamento, infine, non comporta addolcire ogni pillola: esserti amico significa che se ti trovi nel letto da ore a mangiare gelato e cioccolata, esemplifica la terapeuta, crei uno spazio per ascoltarti in modo amichevole, ti chiedi cosa provi in quel momento e cerchi di capire di cosa hai bisogno. Dopodiché, qualunque sia la risposta, ti fidi del fatto che sei il migliore esperto di te stesso e ti perdoni per non essere stato produttivo. La risposta è qui, quindi, a questa domanda: come ti tratteresti se fossi tuo amico? 

Questo, lo ribadiamo, non si traduce in una totale indipendenza dagli altri: quando ci chiediamo cosa ci serve, la risposta può spaziare da un percorso di psicoterapia settimanale ad una passeggiata sul Lungadige. Quello che è importante, quindi, non è tanto “cavarsela da soli”, ma imparare a volersi genuinamente bene. In una giornata no o in un periodo in cui non ci sentiamo in forma, invece di criticarci e rimproverarci perché non studiamo abbastanza e non andiamo in palestra, possiamo tentare un approccio più costruttivo, come questo. Del resto, coltivare un buon rapporto con noi stessi è importante perché siamo l’unica vera, certa e concreta costante della nostra vita. Le relazioni che abbiamo sono ovviamente preziose ed è giusto rivolgersi agli altri quando ne sentiamo il bisogno, ma è utile non dimenticare che, nella lista di coloro su cui eventualmente possiamo contare, compare sempre anche il nostro nome.

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