Trento: città più vivibile d’Italia

“Sono uscita di casa, non sapevo che strada prendere, ho evitato di andare a destra e ho scelto di andare a sinistra. Scelta peggiore della mia vita

È questa la dichiarazione di una studentessa appartenente all’Università di Trento, la quale, nonostante abbia evitato una strada poco sicura, ha comunque corso un rischio.

Ma esistono strade poco sicure a Trento? Cosa rende una strada incerta?

La sera del 20 novembre 2021 sono uscita di casa per andare al ‘Gattogordo’ con le mie amiche. Solitamente, per mia abitudine, mi faccio sempre accompagnare o venire a prendere da qualcuno perché mi infonde molta sicurezza sapere di non essere da sola; allo stesso tempo però mi infastidisce il dover essere dipendente da qualcuno. Proprio per non incorrere in certi rischi, sono iscritta al canale Telegram ‘Tornare in compagnia’, composto da studenti della nostra università, così da trovare sempre qualcuno che mi accompagni nei momenti di necessità.

Questa ragazza aveva ed ha paura ad uscire di casa sola la sera. Perché?

Tuttavia, quella sera sono uscita da sola perché la mia amica era ancora a casa. Entrambe abitiamo in una via a pochi minuti da Piazza Duomo e abbiamo deciso di incontrarci davanti al negozio ‘La Saponeria’ per poi proseguire insieme. Quando sono uscita dal portone di casa, a primo impatto la situazione mi incuteva timore. Non sapevo se andare a destra per Piazza Santa Maria Maggiore o a sinistra e proseguire per la via di casa mia, via San Giovanni, perché in entrambe le vie c’erano dei gruppi di ragazzi che barcollavano. Ho scelto di svoltare a sinistra perché c’era il bar “Picaro” aperto che illuminava la strada, così che questa non fosse totalmente al buio. Ho iniziato a camminare, di fronte a me sono arrivati due ragazzi e uno di questi ha esordito con ‘Ciao bella’ (classicissimo). Questi ragazzi erano molto vicini a me e, sempre lo stesso ragazzo che mi aveva salutato, ha preso una ciocca dei miei capelli e l’ha tirata. A quel punto ho deciso di girarmi verso di lui chiedendogli animatamente cosa stesse facendo; subito dopo, però, non ho più continuato a rispondergli perché mi sono resa conto di essere sola, ho avuto paura e mi sono paralizzata. Dunque, ho deciso di andare dritto per la mia strada velocizzando il passo senza voltarmi. Poi, mi sono ritrovata con la mia amica davanti a ‘La Saponeria’. In quello stesso momento, anche lei era stata vittima di catcalling.”

Svelato di cosa trattiamo oggi: catcalling. Sì, quel fenomeno secondo il quale oggi a questa ragazza potremmo benissimo risponderle così:

“Posso capire dia fastidio la tirata di capelli, ma se uno ti dice solo ‘ciao bella’ non è una molestia dai…”

Anzi, secondo alcuni è la prassi perché “se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi perché vuol dire che la sua femminilità non è presente in primo piano“, ha affermato lo psichiatra Raffaele Morelli a giugno 2020 a RTL 102.5

A sostegno delle parole dello psicologo, potremmo fare tanti esempi come riportare le parole di Damiano Coccia – noto come Er Faina: “Gridano al catcalling per due fischi in strada, ma esiste un manuale di rimorchio?”

Il problema, caro Er Faina, è che la cultura che ci ha allattati ha trasmesso l’idea che se sei una donna, ricevere apprezzamenti o commenti qua e là per strada è assolutamente normale. Come dire che esisti, sì, ma in funzione dello sguardo maschile. Inoltre, ci confrontiamo sempre più con commenti da parte di uomini e donne, i quali vanno solitamente contro la vittima insinuando che ci sia qualcosa che non va in lei se non “sa apprezzare” quei “complimenti” ricevuti per strada.

Sminuire il problema è un modo per sminuire la persona. Dato che il catcalling parte da una disparità di potere (qualcuno si arroga il diritto di poter parlare pubblicamente come vuole del corpo altrui) affermare che questo non è un problema significa solo voler nascondere e negare l’esistenza di quella disparità. Questo diritto nessuno può pretenderlo come fosse una propria ‘libertà’, perché di fatto è un abuso e soffoca una libertà altrui.

Ovviamente non si afferma che tutto il genere maschile abbia una colpa. Il punto è mettersi nei panni altrui – le donne – e riconoscere di avere un privilegio ereditato per via culturale, in una società che a lungo ha attribuito agli uomini maggiori diritti e opportunità delle donne in diversi ambiti. Con questo privilegio ci puoi nascere ma non vuol dire che, come uomo, hai ereditato anche una colpa. Però se non fai niente per cambiare questo sistema di disparità di potere, magari facendo notare ad altri quando assumono comportamenti nocivi, hai quantomeno una responsabilità dentro quel sistema.

Ecco, è questo che rende poco sicure le strade; addirittura, si arriva ad evitarne certe.

In psicologia, l’“evitamento” è un’importante modificazione comportamentale da non sottovalutare. È una condizione psicologica secondo la quale, ad esempio, si è indotti a cambiare percorso, non prendere più quel mezzo di trasporto, evitare posizioni geografiche particolari, non frequentare determinati luoghi o non uscire di sera o di notte. Secondo lo studio condotto da “Hollaback!” nel 2016, più dell’88% delle donne italiane ha riportato di prendere una strada diversa per tornare nella propria abitazione.

 Questa ragazza non è la sola ad evitare le strade e ad aver paura la sera. Anche io, studentessa della stessa università che sto scrivendo e raccontando questa storia, ce l’ho. Non dovremmo avere paura ad uscire e non dobbiamo neppure avere paura ad ammetterlo: non sentirsi sicure per strada è un sentimento comune. “Lasciateci camminare in pace” è questo l’appello che viene ormai lanciato da un paio di anni. Vorremo solo tornare a casa senza avere paura o senza doverci chiedere quale sia la giusta reazione da avere in questi casi.

Le reazioni al catcalling possono andare dalla non-reazione al reagire a voce verso il molestatore per farsi lasciare in pace; la scelta su come reagire è puramente soggettiva: non ne esiste una giusta.

Il punto è che il modo per affrontare questo fenomeno sociale non dovrebbe essere chiedersi come una donna possa reagirvi al meglio, ma come far capire a quegli uomini che fanno catcalling che si tratta di una molestia.

La ragazza termina l’intervista affermando: “Durante la serata, ormai rovinata perché eravamo un po’ tutte pensierose dato l’accaduto, abbiamo visto delle volanti della polizia in città. Tuttavia, è da specificare che, nelle vicinanze di Piazza Santa Maria Maggiore e via San Giovanni, non ce ne fossero; le solite quattro volanti erano in Piazza Duomo. Inizialmente la mia amica aveva detto di andare da loro per denunciare il fatto, ma sul momento ho pensato che fosse inutile dato che la storia rimaneva fine a sé stessa non avendo nome, cognome o foto. Però mi sono pentita perché la denuncia sarebbe comunque potuta servire. Mi rendo conto di non aver dato il giusto peso perché inizialmente anch’io ho sottovalutato la situazione. Dunque, ho deciso di sfogarmi su ‘SpottedUnitn’ denunciando l’accaduto, volevo uscisse una sorte di monito per il Sindaco così che prendesse dei provvedimenti. Il sindaco l’ha saputo perché il mio sfogo è stato pubblicizzato su un articolo de “L’Adige”, ma la situazione è rimasta immutata”.

Trento è la città più vivibile d’Italia. Così – come descrive il VICE – pochi anni fa scrivevano alcuni giornalisti su certe testate, ma dato ciò non sarebbe il caso di aggiungere un punto interrogativo a fine frase?

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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