Diritti alla Follia: tra manicomio diffuso e tutela dei diritti in Italia

All’Aula Kessler del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, UMAN Festival ha ospitato l’incontro “Diritti alla Follia”, dedicato a esplorare le persistenti contraddizioni del cosiddetto manicomio diffuso italiano. L’iniziativa, che coniuga diritto, politica e attivismo sociale, ha messo al centro del dibattito la complessa relazione tra tutela della salute mentale, libertà individuale e strumenti di coercizione istituzionale, come il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).

A guidare la riflessione è stato Michele Capano, avvocato e militante radicale, che ha illustrato con precisione come le persone con disagio psichico siano ancora oggi esposte a forme di controllo e isolamento, pur al di fuori delle mura dei vecchi manicomi. Capano ha descritto una realtà dove il TSO diventa uno strumento di pressione coercitiva: “Davanti allo psichiatra, la persona comprende che se non assume le pillole che le vengono prescritte, verrà sottoposta a ricovero obbligatorio e sedazione massiccia. Non è una statistica, è una violenza istituzionale reale”, ha spiegato, ricordando che si tratta di individui che non hanno commesso alcun reato.

Secondo Capano, la legge 180 del 1978 — impropriamente chiamata legge Basaglia — è stata spesso deformata nella sua applicazione pratica. L’intento originario era quello di mettere la persona al centro del sistema, sostenendola in relazione alla società e non solo alla componente medica. Tuttavia, nelle strutture odierne, la cosiddetta “controriforma” ha generato un sistema diffuso di comunità e strutture sociali-sanitarie dove le persone sono costrette a vivere contro la propria volontà e sottoposte a somministrazione farmacologica forzata, senza possibilità di gestione autonoma del proprio tempo.

Il dibattito ha incluso anche la prospettiva costituzionale, con l’intervento di Marta Tomasi, professoressa di Diritto Costituzionale all’Università di Trento. Tomasi ha sottolineato come la problematica non sia solo legislativa, ma profondamente culturale: lo stigma sociale, la vergogna e le risorse limitate determinano in molti casi la scelta coercitiva. “Spesso le soluzioni più drastiche non derivano dalla volontà di nuocere, ma dalla carenza di risorse e dall’idea che chi disturba debba essere neutralizzato. Il dibattito oggi deve porre attenzione alle garanzie, alla trasparenza e al rispetto dei principi costituzionali”, ha spiegato.

L’incontro ha inoltre evidenziato come il percorso di tutela dei diritti, in Italia, sia lento e complesso. La Corte Costituzionale ha impiegato 47 anni per stabilire l’obbligo di notifica al soggetto sottoposto a TSO, un atto fondamentale di garanzia che nella pratica viene spesso ignorato, lasciando l’individuo senza consapevolezza delle misure cui è sottoposto.

Capano ha raccontato casi concreti, come quello di Andrea Soldi a Torino, che illustra la tensione tra libertà individuale e intervento terapeutico: un giovane che trascorre le giornate alimentando i piccioni viene sottoposto a TSO non per pericolosità, ma perché percepito come “bisognoso di cura”. L’intervento coercitivo, ha spiegato Capano, rappresenta una continuità con la logica del manicomio, adattata al contesto diffuso, dove le persone vengono ancora trattate come soggetti da controllare più che da supportare.

L’evento ha chiuso con una riflessione condivisa: il tema del manicomio diffuso non è solo giuridico o medico, ma culturale e sociale. La sfida oggi è ripensare il ruolo della società, delle istituzioni e dei professionisti nel garantire diritti, dignità e autonomia alle persone con disagio psichico, senza ricorrere a coercizione inutile.

Photo credits: Riccardo Fogo

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