Ivan Tresoldi: «La poesia mi ha salvato la vita»

TRENTO. Capelli lunghi raccolti in una coda spettinata, un’uniforme che serve per distinguersi e la scritta “poeta” nel campo professione sulla carta d’identità. È così che si presenta ad un primo sguardo Ivan Tresoldi, poeta d’assalto e artista di strada che ha condiviso con gli studenti dell’Università di Trento parte della sua esperienza di artista e di uomo durante un incontro organizzato dall’associazione studentesca UDU, per il ciclo “Dove va la poesia?” svoltisi il 28 aprile.

Ivan è un poeta popolare – volgare – come ha voluto specificare lui stesso, rifacendosi all’etimologia originale del termine. Un artista che nasce dal basso e che si occupa del tessuto cittadino, rifacendosi ad una forma di poesia molto più affine ad un modello underground che a quello dei grandi libri.

Con le sue “scaglie”, frammenti di poesia scritte sui muri in nero su fondo bianco, Ivan ha fatto il suo debutto da artista a Milano, ma è stato subito apprezzato anche a livello nazionale ed internazionale, portando i suoi lavori in numerose esposizioni collettive.


«COME STAI?» «BENE»

È la domanda che ci è stata posta da Ivan all’inizio dell’incontro. Ovviamente, la risposta è stata positiva da parte di tutti. Come mai ci limitiamo ad una sola parola, quasi insapore, quando sui social network, alla stessa domanda, confidiamo i nostri pensieri più profondi e le nostre preoccupazioni più intime?

Ed ecco che arriva così l’invito di Ivan: bisogna scegliere una parola ogni giorno «come si scelgono i vestiti al mattino», perché le parole non sono delegabili. «Vi consiglio di trovare una parola ogni giorno, perché questa racconta la vostra storia».


«LE PAROLE SONO IMPORTANTI»

È questo il filo conduttore del dibattito che ha avuto un acceso focus sul linguaggio inteso come concetto in sé e come colonna portante per la costruzione di una società libera e dinamica, in un contesto dove anche la poesia  assume un ruolo fondamentale, in quanto prima fonte di emancipazione di sé e «mattone costitutivo della società, la quale si esprime attraverso le parole».

Il linguaggio sta alla base della collettività ed è importante, spiega Ivan, non delegarlo agli altri, altrimenti si delega loro anche la costituzione della collettività stessa.

Bisogna fare proprie le parole, perché «non si costruiscono società senza aver prima costruito parole comuni».

È questo l’appello di Ivan, un appello che suona tanto più importante se fatto in un momento in cui le parole sembrano perdere quotidianamente il loro valore, non solo perché vengono continuamente sostituite da altre nuove («Allora, questo week end happy hour?») ma anche perché si ha la tendenza a credere che queste abbiano tutte lo stesso peso; «Facebook è gratis e lo sarà sempre, ma le parole, quelle non sono gratis».


«SCRIVETE»

Ed ecco l’ultimo, chiaro, accorato appello del poeta. Scrivete, perché quando smetterete di raccontare storie le parole smetteranno di farlo con voi.

Dove va, quindi, la poesia? «Il poeta sei tu che leggi», scrive Ivan su uno dei muri di Milano. Ancora una volta, dunque, l’invito a fare proprie le parole, perché solo in questo modo riacquisteranno valore, perché solo così potremo continuare a raccontare storie.


IL VERSO PIÙ LUNGO DEL MONDO

Parte dall’entrata della facoltà di Lettere e Filosofia e continua lungo Porta Santa Margherita. Trento è la quattordicesima città delle ventiquattro sparse tra Italia ed Europa in cui questo progetto lanciato da Ivan verrà attuato.

L’idea che sta alla base è la necessità di sensibilizzare i cittadini sul fatto che l’arte di strada non abbia niente a che fare con il degrado cittadino e ciò viene dimostrato paradossalmente creando una sorta di disagio volto a porre l’attenzione sulla poesia e sulla parola stessa che invade i nostri spazi quotidiani, sulla quale possiamo letteralmente camminare.

Il progetto promosso da Ivan, che di fatto consiste nello scrivere parole e versi improvvisati a terra, vuole porre ancora una volta l’accento sul significato della poesia e delle parole, che acquistano tanta importanza quanto più ne viene colta la volubilità.

Il verso più lungo del mondo diventa in qualche modo il simbolo di una poesia che ha bisogno di emanciparsi e rivendica questo diritto facendosi strada nella nostra quotidianità.

Quando il tempo cancellerà quelle parole scritte con il gesso, avremo ormai imparato che la poesia è libertà e «salva la vita».

INFO QUI: http://www.i-v-a-n.net/


lorenabontempi

Lorena Bontempi

Lorena Bontempi

Studentessa in Mediazione Linguistica presso l'Università degli studi di Trento.

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