Il sabba dell’ozio (seconda parte)

di Chiara Legnaro

letto da Jacopo Colombo del Teatro degli Aristofanti

Trovate la prima parte della riflessione a questo link.

Kairos, il fratello dimenticato

Nella mitologia, Saturno aveva un fratello minore, Kairòs (καιρός), che apportava alla famiglia un valore qualitativo del tutto nuovo. Tracce di questo fratello dimenticato si scovano tanto nell’antichità quanto in epoca contemporanea: è ricordato a partire dal V sec. a.C., secondo la testimonianza di Pausania il Periegeta. Ebbe inoltre un altare ad Olimpia5. Nella storia del pensiero Kairòs è un rivolo che scava lentamente nella roccia sotterranea, apparendo in superficie solo in pochi ma fondamentali momenti.

La riflessione di Sant’Agostino nelle sue Confessioni sul valore del tempo è un indizio che ci fa riflettere: egli pone al centro della questione il “sentirmi”, il tempo vissuto. «Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».5 Il filosofo d’Ippona è erede di una lunga tradizione di esegesi biblica: nelle Sacre Scritture “kairòs” compare diverse volte, spesso associato a “un evento di grazia” da sfruttare nella sua pienezza, un tempo unico e irripetibile da saper cogliere. Il tempo kairòs è dunque il momento indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale. Il teologo tedesco Paul Johannes Tillich (1886 – 1965) definì il kairòs come «un’opportunità nelle crisi nella storia, che esige una decisione esistenziale da parte dell’essere umano».6

L’interpretazione biblica lega il kairòs al tempo di Dio inteso come “pienezza del tempo” (in particolare nel Nuovo Testamento sarà legato alla venuta di Cristo), un tempo particolare libero dalla rigidità del tempo terrestre. È il tempo di Dio che diventa – in certi momenti stabiliti da lui – contemporaneo a quello dell’uomo. «Esso [il kairòs] rappresenta l’arena delle decisioni dell’uomo nella sua strada verso un destino eterno».7 Sfuggendo continuamente alle definizioni in cui si vorrebbe imbrigliarlo, il tempo kairòs è sempre nel mezzo tra il tempo e l’azione, tra ciò a cui si è preparati e la possibilità d’altro.

Sarà anche Martin Heidegger, secoli dopo Agostino, a riprendere in mano questi antichi scritti sapienti per rielaborare, assieme alla mitologia greca, una concezione ermeneutico-cairologica del tempo, in cui il kairòs diventa la chiave di interpretazione per leggere la realtà.

Il tempo inteso in questo senso è il fratellino trascurato, Kairòs, che esprime il valore dell’istante perfetto, il tempo dell’azione e della decisione, che scardina completamente nell’esistenziale dell’individuo la concezione sistematica di minuti e secondi. Al battito d’orologio, cronologico e quantitativo, nel breve saggio heideggeriano Il concetto di Tempo subentra un battito esistenziale e qualitativo del cuore, che rompe con la scansione predefinita per regalare all’uomo che lo sa accogliere e lo sa vivere un «istante che dura diecimila anni».8 Denunciando a piena voce la tirannia del tempo saturnino, il soggiogamento dell’uomo allo scandire cadenzato dell’orologio, egli scrive:

«L’esserci [cioè l’uomo] calcola e domanda della quantità di tempo; perciò, se si attiene al tempo, non è mai nell’autenticità. Domandando in questo modo del «quando?» e del «quanto?» l’esserci perde il suo tempo. Che ne è di questo domandare che perde il tempo? Dove va a finire il tempo? Proprio l’esserci che fa i conti con il tempo, che vive con l’orologio in mano, proprio questo esserci che calcola il tempo dice costantemente: non ho tempo. Con ciò non si tradisce forse da sé in quello che fa del tempo, in quanto è egli stesso il tempo? Perdere tempo e, per farlo, procurarsi un orologio! Non viene qui prepotentemente alla luce l’inquietante spaesatezza dell’esserci?».9

L’ansia, l’inquietudine e lo stress del mondo moderno sembrano essere una forma di ribellione che esprime una grande difficoltà di adattamento a tutti i ritmi imposti dall’esterno. Il tempo esterno – così com’è oggi – non è integrabile al tempo personale, unico e individuale.

Morirò, dunque vivo

A che serve questo domandare che perde il tempo? A che serve l’orologio, quando siamo noi il tempo? Nel suo Il concetto di Tempo è già contenuto ciò che verrà tematizzato più approfonditamente in Essere e Tempo, opera magna del filosofo di Friburgo, nella quale diverrà centrale la questione del tempo legata alla morte. La morte! Agli occhi di Heidegger questo tema è considerato dai più come un tabù: se ne parla sempre superficialmente, la morte è sempre di qualcun altro. Si muore. Si dice. Con il pronome impersonale “si” (man, in tedesco) ci deresponsabilizziamo nei discorsi, riducendoli a “chiacchere” vuote di valore. Au contraire, l’invito che ci lancia il filosofo è tanto semplice quanto attuale: prendere finalmente consapevolezza della propria mortalità. Solo accettando il fatto che il tempo è limitato e le possibilità di scelta che si aprono davanti a noi sono finite possiamo iniziare a vivere autenticamente, scegliendo finalmente ciò che più è in sintonia con quello che siamo davvero, rinunciando alla pretesa di voler soddisfare standard che non sono i nostri (ritorna forte il tema della decisione e dell’azione). E quale occasione migliore di questa per iniziare a riflettere a questo proposito? Quanto ancora a lungo rimanderemo il pensiero che i prossimi potremmo essere noi? Superata la morsa allo stomaco iniziale, nessuna angoscia. Ogni istante diventa in sé unico, cairologico.

L’eterno ritorno dell’ozio

Lo stesso Friedrich Nietzsche, uno dei grandi maestri di Heidegger, nel suo controverso Così parlò Zarathustra porta alla luce la dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale, precedentemente elaborata in La Gaia Scienza. Come reagiremmo se scoprissimo che siamo destinati a rivivere questa vita ancora e infinite volte, senza che vi sia nulla di nuovo? Ogni piacere, ogni dolore, ogni pensiero e sospiro ritornerebbe a noi nella stessa sequenza e successione. Cosa faremmo se un demone ci raccontasse questa verità? Lo malediremmo oppure – citando Nietzsche – «abbiam forse vissuto una volta un attimo immenso, per la quale la nostra risposta sarebbe “tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?”».10

Se dovessimo rivivere tutto questo e tutto quello che verrà, come cambierebbe il nostro valore del tempo? Di cosa ci prenderemmo cura? Cosa smetteremmo di rimandare per iniziare a fare adesso, consapevoli della nostra mortalità? È un richiamo al tempo cairologico e perduto, un richiamo alla virtù della spontaneità dell’istante. Un inno alla vita che canta solenne alla sacra signora Morte. E così, avviene pian piano quella che i mistici e gli antichi saggi – ma anche qualche filosofo accademico – chiamano la “liberazione dal tempo”, dalle catene della schiavitù cronologica che Ivan Petruzzi ci invita a considerare nel suo saggio, Schiavi del Tempo, in cui si fa carico di illustrare come la folle corsa dell’uomo moderno nella società di oggi sia pagata cara con il prosciugamento della sua salute e del suo tempo libero.

Nel settimo capitolo del proprio libro, Petruzzi parla del «periodo sabbatico, un periodo essenziale per pulire il terreno, prendere spunto e allargare gli orizzonti. Un periodo nel quale chiedersi “in cosa do il meglio di me stesso?”; un periodo per inseguire equilibrio e armonia».2 L’appello è rivolto ad ognuno di noi, giovane, adulto o vecchio che sia: non è mai troppo tardi e il filosofo della lentezza (così l’autore in parte si definisce) insiste nel ripetercelo: «chi rallenta trova la sua essenza; l’allontanamento dal mondo conosciuto è un passaggio obbligato di ogni viaggio dell’Eroe».2

È tempo di tagliare i rami secchi per far nascere nuovi boccioli, è tempo di abbracciare un “minimalismo esistenziale”: riconsiderare la ricchezza del “Less is more”, ritornare alla frugalità dei consumi, abbandonare l’irrequietezza impulsiva della competizione. Quello di Petruzzi è il tempo dell’ozio.

«L’ozio è il luogo privilegiato dove prendono forma i pensieri più alti: l’ozio è la cura per riscoprire la virtù dimenticata della pazienza» – e infine – «oziare è vivere il tempo libero mollando gli ormeggi; oziare è saper moltiplicare il tempo»2. Non ci sono più scuse ora. È tempo, come dice Cioran, di accogliere questa «cura di eternità che ci disintossichi dal divenire»8.

Bibliografia

  1. A. ANDREINI, Breve riflessione sul dire e sul fare nel pensiero cinese classico, in Cina. West of California?, a cura di M. NORDIO, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 27-43.
  2. I. PETRUZZI, Schiavi del tempo: la folle corsa del mondo postmoderno. Riflessioni per una vita più umana, lenta e consapevole, Amazon Digital Services LLC – KDP Print US, 2019
  3. H. MARCUSE, Eros e civiltà, Torino, Einaudi, 2001, pp.60-61.
  4. Un report annuale sullo stato di felicità dei vari Paesi (il World Happiness Report 2019) classifica l’Italia al 36° posto, una posizione arretrata rispetto ad altri paesi europei, come Gran Bretagna (15°), Germania (17°) e i paesi scandinavi, che occupano la pole position. Tra i vari criteri presi in considerazione dal rapporto vi sono, oltre al PIL, la libertà di fare scelte di vita e i livelli di corruzione del paese. Link al report: https://worldhappiness.report/ed/2019/#read
  5. S. AGOSTINO, Discorsi, Opera omnia di S. Agostino, Città Nuova Editrice, Nuova Biblioteca Agostiniana, edizioni bilingue, frammento 8, Discorso 80, 1983
  6. P. TILLICH, The Interpretation of History, New York, Scribner’s Sons, 1936
  7. Di C. HENRY, citata da G. MONTEFAMEGLIO, Le lettere ai Corinti (secondo volume), 2018. Articolo consultato in data 3 Aprile 2020. Link: https://www.academia.edu/41397714/LE_LETTERE_AI_CORINTI_secondo_volume_
  8. E. M. CIORAN, La tentazione di esistere, Milano, Adelphi 143, 2019, pag. 25
  9. M. HEIDEGGER, Il concetto di tempo, a cura di F. VOLPI, Milano, Adelphi, 1998 pag. 42.
  10. F. NIETZSCHE, La Gaia Scienza, in Nietzsche I, traduzione di S. GIAMMETTA, S. MATI, M. ULIVIERI, Barcellona, RBA Edizioni, aforisma 341, pag. 445

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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