La Polonia non cambia: vuole Legge e Giustizia

I nazionalisti del PiS vincono per poco al ballottaggio contro gli europeisti. È sfida aperta tra il rieletto presidente Andrzej Duda e l’opposizione, che potrebbe dare del filo da torcere agli ex alleati. Questa presidenza segnerà il futuro ultimo dell’Unione Europea?

I polacchi hanno votato e per pochi voti il volto di Varsavia è rimasto lo stesso: Andrzej Duda è stato rieletto. Pur formalmente indipendente, il presidente uscente è legato al partito Legge e Giustizia (PiS) che detiene la maggioranza in parlamento da ormai cinque anni, mentre il suo avversario Rafał Trzaskowski ha visto sfumare davanti a sé la possibilità di insediarsi nel palazzo presidenziale dopo essere passato al ballottaggio. La Polonia si riconferma ancora una volta un Paese nazionalista nonostante l’avanzata europeista di Piattaforma Civica, il partito liberale di Trzaskowski, che pure è riuscito a convincere più del 48% dei votanti polacchi.

Di certo, la maggioranza dovrà vedersela ora con un fronte minoritario compatto e di notevoli dimensioni: Duda dovrà conquistarsi sul campo le riforme della magistratura già annunciate lo scorso mandato. Un altro punto controverso per l’opposizione è naturalmente la dura posizione, sempre di Duda, verso l’aborto e le minoranze LGBT: il presidente polacco ha infatti affermato la necessità di rivedere da cima a fondo la legge sull’interruzione di gravidanza, ed ha anche detto che il mondo omosessuale e transessuale è figlio di una “ideologia più distruttrice del comunismo“, a cui quindi bisogna porre un freno prima che dilaghi per tutti i voivodati.

La Polonia esce da queste ultime elezioni frammentata in due grandi blocchi pressoché compatti: l’ovest e le zone costiere hanno preferito, senza però offrire alcun risultato bulgaro, il liberale Trzaskowski, mentre l’est ha scelto di rimanere in mano a Duda.

Non si fermano qui, chiaramente, le differenze: il voto delle zone rurali è stato decisivo per la vittoria del PiS, a differenza dei grandi centri urbani, come la capitale Varsavia di più ampio respiro e cosmopolita. Andrzej Duda ha continuato la sua politica di aiuto sociale verso le classi più in difficoltà e di investimenti nelle infrastrutture portanti del Paese, sullo stile dell’alleato d’oltreoceano Donald Trump, facendo sì che le decisioni fossero sempre più in mano al governo centrale. Infine, c’è da aggiungere che a dare man forte a Duda sono stati i dati sull’economia, decisamente ragguardevoli per un Paese, la Polonia, che non siede nel consesso del G20 né del G7 ma che invece appartiene al Gruppo di Visegrad dove attualmente ricopre la presidenza ’20-’21

C’è un altro dato interessante da considerare: i liberali sono riusciti a conquistare le circoscrizioni più vicine alla Germania, mentre i conservatori hanno tenuto saldi in mano quei territori che soffrirono di più le spartizioni territoriali al tempo del secondo conflitto mondiale, quando la Polonia venne spartita e divisa da Berlino e Mosca alla pari di una terra di nessuno. E non è un mero dato storico o curioso, ma riflette in realtà una percezione psicologica e di fatto politica della situazione polacca: la Repubblica Federale Tedesca, così come la Federazione Russa, sono ancora percepiti per gran parte della popolazione come dei nemici o degli invasori, rendendo quindi necessaria – pur rimanendo all’interno dell’Unione Europea, dove Berlino ricopre un ruolo non marginale – se non vitale una politica che tuteli le istanze nazionali, controbilanciando le ingerenze straniere.

Quindi, la Polonia si sposta ancora una volta a destra? In realtà il fenomeno è più complesso perché sebbene abbia vinto Legge e Giustizia, anche Piattaforma Civica presenta connotati conservatori, per quanto liberale. I polacchi erano chiamati quindi a scegliere a quale destra consegnare il Paese, se sociale e clericale oppure liberista ed europeista. In entrambi i casi, la Polonia sarebbe stata una nazione conservatrice. I due partiti che si sono sfidati fino al fotofinish, infatti, erano coalizzati fra loro fino alla rottura definitiva nel 2005 dopo la sconfitta del candidato di Piattaforma, Donald Tusk. Di certo non avrebbe vinto un candidato di sinistra, fosse stato comunista o socialdemocratico: pur con i suoi trascorsi sotto la socialdemocrazia, la Polonia ha ritrovato la sua anima tra le fila della destra, indecisa ancora se quella nazionalista od europeista, o meglio se quella più vicina ad istanze sociali e sfacciatamente clericale oppure quella più moderata, permissiva e centrista.

Ciò su cui, però, sono tutti concordi è cercare di far imporre Varsavia come protagonista di primo piano all’interno dell’Unione, diventando un giocatore di peso nel consesso europeo non solo a livello di funzionari come il già citato Donald Tusk – che dal 2014 al 2019 ricoprì l’incarico di Presidente del Consiglio Europeo – ma anche come Paese, in virtù anche e soprattutto della sua posizione di cerniera tra Bruxelles e Mosca. Ma se movimenti come Piattaforma Civica sono soliti ad intraprendere la strada del compromesso e della diplomazia, Legge e Giustizia non esita a battere i pugni sul tavolo delle trattative e neanche a minacciare l’abbandono del progetto europeo, dipinto come un ostacolo allo sviluppo del Paese.

Il futuro dell’Unione Europea, quindi, passa per Varsavia e per Visegrad. Il blocco guidato dalla Polonia e dall’Ungheria di Orban – che nel frattempo ha restituito i poteri straordinari al parlamento – si riconferma ancora una volta come il modello degli euroscettici, dei conservatori e dei riformisti cui i partiti sovranisti del resto d’Europa attingono o vorrebbero attingere per le proprie politiche interne ed estere (per lo meno, attualmente, come proposte elettorali): l’aborto e il mondo LGBT sono visti, è inutile nasconderlo, come degli ostacoli considerevoli alla natalità e allo sviluppo economico e sociale, così pure la migrazione e l’austerità. L’UE punterebbe le sue priorità su questi quattro punti, che smantellerebbero la famiglia e la sua concezione tradizionale, la libertà delle piccole o medie imprese e l’attaccamento alle proprie radici e alla patria; e proprio per ciò sarebbe giusto puntare ad una sua dissoluzione (oppure ad una sua riforma interna radicale).

La vittoria di Duda è, tirando le fila del discorso, sintomo di un malcontento generale che è covato in Polonia, ma non solo: anche in Francia, in Spagna, in Italia e pure in Gran Bretagna che entro la fine dell’anno dovrebbe aver completato il divorzio tormentato da Bruxelles. È un segnale preoccupante per i vertici europei e dei partiti europeisti che sembra non riescano a cogliere ma che, forse, se il governo Conte I non fosse caduto lo scorso agosto per la ritirata di Matteo Salvini e della Lega dall’esecutivo e avesse continuato il suo percorso, la sirena d’allarme sarebbe stata colta per la possibile rete di alleanza che Roma avrebbe stretto tra Washington, che auspica una Italexit, Varsavia, Londra e Budapest. Così non è stato e tutto tace sul fronte occidentale: nulla di nuovo sotto il sole.

Nel frattempo, ad est, la Polonia si risveglia ancora una volta conservatrice, nazionalista e cattolica. Il destino dei popoli europei si gioca laggiù, in terra polacca. La palla è al centro del campo, gli europeisti se la vedranno con i nazionalisti. L’arbitro dà il fischio di inizio.

Alessandro Soldà

Classe 1996, mi sono laureato in Filosofia all'Università di Trento, dove proseguo gli studi con la specializzazione in Etica e Scienze delle Religioni. Sull'Universitario mi occupo principalmente di politica (estera e nazionale) e di attualità.

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