Attacchi di panico

Riprendiamo, dopo qualche mese di pausa, la rubrica In punta di piedi cercando di presentare un fenomeno molto diffuso, che è anche un volto di alcuni già trattati, come l’ansia sociale e la depressione: gli attacchi di panico.

Come riporta il quotidiano Italia a Tavola in un articolo datato 21 marzo 2021, in Italia sono circa 6 milioni le persone che soffrono di disturbi d’ansia e di panico. Cercheremo quindi, innanzitutto, di spiegare di cosa si tratta, per poi presentare le tecniche più diffuse per affrontarli e ridurne la frequenza. Aggiungeremo infine qualche riflessione sul potere della condivisione che, in queste settimane in particolare, ha acceso di nuovo i riflettori su questo disagio.

Presentare un’esperienza come quella degli attacchi di panico non è molto semplice e, per cercare di fornirne una definizione davvero completa, ne vedremo prima gli aspetti “tecnici” e scientifici, poi completeremo la premessa con alcune testimonianze di chi ne ha sofferto in prima persona.

Un attacco di panico è l’improvvisa comparsa di un periodo distinto e breve di intenso disagio, di ansia, o di paura accompagnati da sintomi somatici e/o cognitivi. Il disturbo di panico consiste nella comparsa di ripetuti attacchi di panico tipicamente accompagnati dalla paura di un attacco futuro o da cambiamenti nel comportamento atti a evitare situazioni che possono predisporre agli attacchi. La diagnosi è clinica. (da un articolo di Manuale MSD).

È chiaro, quindi, che, oltre alla repentinità, un segno distintivo è la durata: diversamente dagli attacchi d’ansia, infatti, questi non diventano più acuti nel corso di ore, giorni o mesi, bensì regrediscono nel giro di pochi minuti, sono intensi e profondamente destabilizzanti. Per chiarire meglio, i primi possono oscillare su una scala d’intensità estranea ai secondi che, inoltre, si verificano tendenzialmente senza un evento scatenante ben definito

Come specifica già la definizione riportata, per poter parlare di disturbo di panico è necessario che il fenomeno si manifesti ripetutamente ad una frequenza a cui, spesso, conseguono timore e cambiamenti nell’atteggiamento e nella selezione delle attività quotidiane.

Osservando più da vicino, quindi, cosa vediamo? 

Alison Sommer, in una presentazione per TEDx al Carleton College, in Minnesota, ha condiviso la sua esperienza in modo forte e sincero: per favorire immedesimazione e comprensione, infatti, ha scelto di raccontare un esemplare attacco di panico. 

È una giornata piuttosto normale, forse giusto un po’ stressante, devo preparare una valigia o ho un esame, e sto facendo qualcosa di abitudinario, niente di che. Poi inizio a sentirmi male. So che qualcosa non va esattamente bene. Inizio a sentire un po’ di formicolio, sì, un formicolio si insinua nel mio collo e su tutto il mio viso e arriva alla mia testa. Sento le vertigini, quindi mi siedo. «Forse non ho mangiato abbastanza oggi», quindi afferro un cracker, un dolcetto o qualsiasi cosa trovo. A volte penso «Oddio, mi sta per venire un attacco di cuore», ma poi so che è un attacco di panico quando il mio cuore inizia a battere più forte, non solo in modo più veloce, ma è proprio forte, come il battito di sottofondo in un film horror. Ora inizio ad avere paura e penso: «No, non qui, non ora». Inizio a piangere, il mio cervello inizia a urlare di non farlo: «Smettila! Smettila! Smettila!». Non è un vero pianto, niente che potrebbe essere catartico può venire fuori. A volte mi colpisco o mi faccio del male perché ho bisogno del dolore fisico. Poi mi spavento ancora di più, vedo le pillole e penso di prenderle tutte. Ma non lo faccio. Vere lacrime vengono fuori ora. Adesso posso fermarmi. Mi calmo. E poi finisce, finisce sempre. Io sono ancora qui. Sono grata di essere ancora qui.

Matt Haig, invece, scrittore inglese con il dono dell’empatia per la condizione umana, per le sue luci e le sue ombre ( – Neil Gaiman), che affronta il tema in più libri, sceglie queste parole in Vita su un pianeta nervoso:

Il panico è una forma di sovraccarico. Era questa la sensazione che provavo durante i miei attacchi. Un eccesso di pensieri e paure. Una mente sovraccaricata raggiunge un punto di rottura e il panico si riversa oltre la breccia. Perché quel sovraccarico ti fa sentire in trappola. Psicologicamente in gabbia. Ed è per questo che gli attacchi di panico spesso si verificano in ambienti sovraccarichi di stimoli. Supermercati, night club, teatri e treni troppo affollati. 

Come accenna la definizione che abbiamo riportato all’inizio, infine, il disturbo di panico è generato da problemi della mente che ricadono sulla mente, ma che hanno effetti fisici. Tra i più comuni, abbiamo: stordimento, sonnolenza e stanchezza, formicolio agli arti, palpitazioni, nausea, mal di testa, mal di stomaco, bocca secca, sudorazione eccessiva, cicli mestruali eccessivi o amenorrea per le donne, disturbi del sonno e via dicendo. Insomma, come dice Haig in Ragioni per continuare a vivere, il termine “malattia mentale” è fuorviante perché implica che i problemi che si verificano si verifichino tutti dal collo in su quando la realtà, come ora sappiamo, è più complessa di così. 

Che soluzioni esistono? 

Innanzitutto, come per tutti i problemi che possiamo mai avere, anche per questo vale la solita regola: non esiste una formula magica, che sia una pillola o una frase di incoraggiamento, capace di cancellare in un battibaleno queste esperienze, tanto dal nostro futuro quanto dal passato. Tuttavia, ci sono diverse risposte che, in modo molto soggettivo, si adattano, quando più e quando meno, a chi soffre di attacchi di panico e riescono a condurre prima ad una convivenza meno paralizzante, poi ad una vera gestione e padronanza dell’esperienza che, intanto, diventa più sporadica. 

Un discreto successo è registrato dai farmaci. Le opzioni principali sono gli antidepressivi come il Prozac o il Paxil che, in particolare, registrano un 40% di risposte positive, come è ben spiegato in questo video, e gli ansiolitici, come lo Xanax, il Klonopin o l’Ativan. Queste medicine, tuttavia, possono presentare una serie di effetti collaterali come perdita di appetito, insonnia, indigestione e dolori allo stomaco, tremori, disfunzioni sessuali o variazioni di peso; circa la metà di coloro che ne usufruisce, inoltre, è vittima di una ricaduta non appena smette di farlo. Ad ogni modo, lungi da queste considerazioni oggettive voler scoraggiare l’uso dei medicinali: se sempre presi secondo le indicazioni di un professionista, possono davvero essere d’aiuto.

Un approccio alternativo è costituito dalla TCC (Terapia Cognitivo Comportamentale). Questa soluzione non prevede l’uso di farmaci, bensì insegna metodi di rilassamento, modalità per gestire e cambiare pensieri disfunzionali e sintomi, tecniche per gestire lo stress, incrementare l’autostima e l’autocontrollo utili a fronteggiare il disturbo da panico. Un’opzione del genere non è da sottovalutare per più motivi. In primis risulta avere effetti più duraturi e “solo” un 20% di tasso di ricaduta; inoltre, con il panico il corpo reagisce ad un’interpretazione della realtà ( – Dott. Filippo Ongaro). In quest’ottica, quindi, è ragionevole pensare che sia possibile intervenire a livello psicologico senza farmaci, bensì in un primo momento con una spiegazione delle cause fisiologiche, poi con la cognitive restructuring, che prevede l’identificazione e il cambiamento dei pensieri comuni durante un attacco di panico. 

La respirazione è particolarmente importante quando si parla di queste esperienze e imparare a gestirla può essere davvero prezioso.

Respirate. Profondamente, con calma, a ritmo regolare. Concentratevi sul respiro. È il ritmo su cui regolate la vostra vita. Il ritmo della vostra canzone. è un modo per tornare al centro delle cose. Al centro di voi stessi. Quando il mondo cerca di trascinarvi in tante altre direzioni. Respirare è la prima cosa che avete imparato a fare. La più essenziale, la più semplice. Essere consapevoli del proprio respiro significa ricordarsi di essere vivi. ( – Matt Haig in Vita su un pianeta nervoso). 

Gli attacchi di panico sono, come abbiamo detto, particolarmente diffusi e destabilizzanti, ma riuscire a condividere la propria esperienza è una grande forma di autoconsapevolezza che, tra le altre cose, può essere d’ispirazione per chi si sente ancora particolarmente in trappola. Recentemente, ad esempio, la modella statunitense Bella Hadid ha, con un semplice post su Instagram, riportato alla luce i disturbi d’ansia e di panico generando una catena di solidarietà e comprensione davvero speciale, in grado di ricordare a tutti noi che non solo la vita virtuale e quella vera sono due cose del tutto diverse, ma anche che se lavori abbastanza duramente su te stesso, passando del tempo da solo per capire i tuoi traumi, i tuoi trigger, le tue gioie e la tua routine, sarai capace sempre di più di comprendere te stesso, il tuo dolore e come gestirlo. Che è tutto quello che puoi chiedere a te stesso.

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