Perché ci innamoriamo?

Cosa succede quando ci innamoriamo? Pensandoci bene, è possibile dare una definizione universale di questo sentimento? In punta di piedi, in questo nuovo articolo proveremo a rispondere a queste domande partendo da un approccio scientifico, per poi concludere con degli spunti letterari e filosofici. 

Dal punto di vista chimico, numerosi studi hanno dimostrato che, al momento dell’innamoramento, partecipano diverse aree responsabili della produzione di alcuni ormoni quali la dopamina, l’adrenalina e l’ossitocina. La prima è un neurotrasmettitore, cioè una sostanza chimica che consente ai neuroni di comunicare, che, nel sistema nervoso centrale, prende parte ai meccanismi di ricompensa e di piacere: quando facciamo qualcosa che produce un qualche tipo di soddisfazione, come baciare qualcuno per la prima volta o mangiare del buon cibo, il cervello rilascia dopamina. L’adrenalina, invece, ormone e neurotrasmettitore, è in parte responsabile dello stato di allarme e tensione tipico dell’attesa della persona desiderata. L’ossitocina, infine, non a caso detta anche ormone dell’amore, conciliando l’abbassamento di freni inibitori quali l’ansia e la paura ad una più intensa elaborazione delle informazioni interpersonali, favorisce fiducia nell’altro ed empatia; inoltre, non solo è in grado di rafforzare i rapporti, ma è rilasciata anche durante i momenti di contatto fisico, con un significativo picco al momento dell’orgasmo. 

Se, però, questo sembra apparentemente giustificare il tutto, non è ancora chiara una cosa: come arriviamo alla produzione di questi ormoni e, quindi, perché ci innamoriamo? Dall’antica Grecia ad oggi, la nostra storia è piena di tentativi di risposta a questa grande domanda. Vediamo allora alcuni dei più interessanti.

Per Platone, ad esempio, l’amore ci rende completi. Nel “Simposio” (IV secolo a.C.), infatti, racconta di una cena in cui Aristofane, antico commediografo, intrattiene gli ospiti raccontando che, un tempo, gli umani erano creature con quattro braccia, quattro gambe e due teste. Un giorno però, dopo aver fatto arrabbiare gli dei, sono stati puniti da Zeus con la separazione a metà e, da quel momento, a ogni persona è mancata quella parte di sé: l’amore è visto quindi come il desiderio di trovare l’anima gemella che ci faccia sentire pieni di nuovo

Facendo un grande balzo avanti, il filosofo Arthur Schopenhauer (1788 – 1860), invece, si fa portavoce di un’interpretazione meno romanzata: l’amore è un inganno per farci riprodurre. Sostiene, infatti, che questo sentimento, basato sul desiderio sessuale, e la convinzione che il nostro partner ci possa rendere davvero felici siano illusioni della Natura, che cerca solo di spingerci verso la procreazione. Anche Sigmund Freud (1856 – 1939) parla dell’amore come una mistificazione che cela tanto lo scopo primario della riproduzione quanto l’inevitabile bisogno sessuale

Alcune interessanti voci della psicologia tendono a considerare prettamente due ragioni per le quali ci innamoriamo: la prima si basa sull’idea che l’interazione in questione ci permette di rivivere alcune dinamiche familiari (o comunque relative ai care giver con cui siamo cresciuti); la seconda è che la persona che ci piace ha alcune caratteristiche o ambizioni che in noi sono represse. Possono verificarsi singolarmente quanto in coppia e il senso della loro individuazione è permetterci di gestire al meglio i rapporti che scegliamo di mantenere. Non è detto ovviamente che la correlazione abbia per forza una connotazione negativa: se siamo cresciuti in un ambiente amorevole e quando siamo con chi amiamo sembra di conoscerlo da tutta la vita, probabilmente è una buona cosa; se invece la nostra infanzia è stata più burrascosa, forse provare ad essere coscienziosi può guidarci verso una relazione sana.

La lista degli scrittori, degli psicologi e dei filosofi che hanno provato a rispondere a questo grande quesito è davvero lunga: possiamo quindi dedurre che, forse, una risposta universalmente giusta, a meno che non si prendano in considerazione preposizioni estremamente generiche, non c’è.

Tuttavia, una bella riflessione ci è arrivata dalla scrittrice, insegnante e attivista parigina Simone de Beauvoir (1908 – 1986), secondo la quale l’amore è il desiderio di unirsi con un’altra persona e riempie le nostre vite di significato. In particolare, però, lei non si sofferma tanto sul perché ci innamoriamo, quanto su come possiamo amare meglio. Ha dedotto, infatti, che il problema è che questo sentimento può essere tanto travolgente da tentarci a renderlo la nostra unica ragione di vita, sebbene invece la dipendenza da qualcuno come giustificazione della propria esistenza rischia di ridursi a noia e a giochi di potere: riporre la propria salvezza su qualcuno che non sia noi stessi, scrive in “L’età forte” (1960), è il più sicuro mezzo di correre alla propria perdita. Il suo suggerimento per evitare questa trappola, allora, è quello di amare in modo autentico, che si traduce quasi in una bella amicizia: chi si ama si supporta nella scoperta di sé, nel viaggio oltre la propria individualità e nell’arricchimento reciproco della vita.

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