Ddl Gasparri e diritto di aborto, una convivenza travagliata

Nel primo giorno di lavori in Parlamento, mentre si discuteva del futuro governo, veniva depositato da Maurizio Gasparri (FI) un disegno di legge, per modificare l’art. 1 del Codice civile. Secondo i sostenitori della proposta la capacità giuridica di un nascituro dovrebbe essere acquistata al momento del concepimento. Insomma, da un giudizio esterno, siamo di fronte ad un capriccio definitorio, che nelle sua (voluta) monotonia, non vuole occhi puntati.

Eppure, le definizioni sono troppo importanti, specie in branche del diritto che vegliano su questioni etiche, religiose e scientifiche.

Come può un mutamento di paradigma definitorio essere l’asse su cui ruota la nostra concezione di stato civile?

Un individuo ha capacità giuridica quando è titolare di diritti e di doveri giuridici, quindi, è suscettibile di essere soggetto di diritti e di obblighi. Secondo il disposto dell’art. 1 c.c. l’ordinamento italiano attribuisce la capacità giuridica al momento della nascita.

Nell’art. 1 c.c. si fa anche riferimento ai diritti del concepito, ma subordinandoli all’evento della nascita; ciò significa che l’evento della nascita è una condizione per il soggetto di acquisire diritti.

Non bisogna meravigliarsi che vi siano disposizioni di legge a favore dei concepiti, poiché sono poste a tutela di soggetti che potrebbero venire ad esistenza. Ma è sbagliato equiparare l’attribuzione (subordinata) di diritti e la capacità giuridica.

L’argomento è stato inevitabilmente influenzato dall’evoluzione storica del diritto e della società che ha portato ad una maggiore conoscenza scientifica e ad una ampia esigenza di tutela della dignità e dell’uomo.

Ma il problema è proprio capire quando si può parlare di essere vivente, di persona umana, e, al di là di mere scoperte biologiche, quando se ne può parlare in relazione ad una reazione dell’ordinamento. La tematica, infatti, comprende problematiche di bioetica, di politica, di scienza e di religione: il diritto, per quanto possibile, deve cercare di rimanere puro ed estraneo da ideologie orientate o finalizzate ad un fine diverso da quello della tutela stessa.

Proprio qui, si inserisce il disegno di legge Gasparri. Anche se non ancora pubblicato ufficialmente, possiamo ipotizzarne la forma: “ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita“.

Ora che abbiamo chiarito i concetti, ci risulta più semplice comprendere che permettere al concepito di essere titolare di diritti e doveri giuridici svela come un ingenuo problema definitorio, rischiando di sfociare in questioni più vive che mai. Significa, infatti, rischiare di bloccare iter già fin troppo dilemmatici ora: mi riferisco all’interruzione volontaria della gravidanza (IVG), ma anche a pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA) o a settori della ricerca sperimentale per fini terapeutici che coinvolgono l’uso di embrioni.

Questi ultimi ruotano intorno al concetto di embrione e sono già oggetto di troppe mutevoli discipline, a causa delle diverse posizioni giurisprudenziali o normative “di turno” politico.

Sollevare un disegno di legge simile presuppone parlare anche della sua convivenza nello stato con l’interruzione volontaria di gravidanza.

Nella relazione al provvedimento del ddl Gasparri si spiega come all’articolo 1 della legge che disciplina l’aborto – e cioè la legge n. 194 del 1978 – «non vi è una negazione dei diritti del concepito, ma nemmeno vi è un loro riconoscimento».

Per questo, secondo il relatore del ddl, si ritiene «opportuna la modifica dell’articolo 1 del Codice civile, perché essa condurrebbe ad una applicazione integrale della legge 194/78, anche nella parte in cui si assiste alla futura madre… in modo che la sua scelta non sia obbligata».

Per giungere ad una conclusione, la nostra analisi deve essere più attenta alle motivazioni che hanno portato il nostro ordinamento ad emanare la legge 194, le necessità sociali e i bilanciamenti costituzionali in gioco.

La sentenza pilota del diritto di aborto è la n. 27 del 1975: la Corte costituzionale si trovava a giudicare sulla richiesta di interruzione di gravidanza di una donna che rischiava la cecità a causa della gestazione. Dinnanzi al bilanciamento costituzionale tra la salute della donna e la vita del feto, la Corte, nel ritenere la questione fondata, aveva consentito il ricorso all’IVG per motivi gravi, motivando che non era accettabile porre sullo stesso piano la salute della donna e la salvaguardia dell’embrione, che persona doveva ancora diventare.

Da questa prospettiva, la proposta del nuovo disegno di legge Gasparri non sembra in linea con la ratio del diritto all’aborto in Italia. Secondo il ddl, il concepito sembrerebbe qualificato come soggetto, al pari di qualsiasi altra persona coinvolta.

D’altro canto, è anche un paradosso affermare che il concepito è soggetto di diritto e su un altro fronte sostenere che lo si può uccidere con l’aborto.

Se si inscenasse la convivenza tra i due istituti, si vedrà l’aborto ancora come diritto o come figura oggetto di depenalizzazione?

Una conclusione, forse un po’ forzata, ma che guarda a prospettive future: la struttura corrente del ddl Gasparri non ha facile coesistenza con il diritto di aborto in primis, e con le questioni bio-giuridiche in materia, poi.

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