Insomniisvidiaesculapium: la vita universitaria (reale) su Instagram. Intervista a Sofia Lancia e alla sua pagina Instagram Insomniisvidiaesculapium
Tiro fuori il telefono dalla tasca, lo accendo e apro Instagram. Cerco un attimo di distrazione per allontanare, almeno per un’ora, l’ansia accumulata tra voti deludenti, progetti falliti e piani saltati. Continuo a inseguire gli obiettivi che mi sono prefissata, dentro e fuori dall’università, ma rimuginare, proprio come sto facendo ora, a volte sembra inevitabile.
Scorrendo il feed, noto il crescente numero di profili di studenti e dottorandi, italiani e stranieri, che raccontano sui social la quotidianità della vita accademica: tra pressioni, salute mentale, momenti di svago e riflessioni personali. Parlano di cosa studiano, delle lezioni che seguono, dei progetti a cui lavorano. Alcuni offrono servizi a pagamento per la preparazione a esami o candidature per Master o dottorati; altri usano un tono più ironico, raccontando con leggerezza le sfide della sessione. C’è poi chi adotta una prospettiva più attivista, condividendo contenuti politici o esperienze autobiografiche. Molti di questi profili fondono diversi registri e formati.
Per approfondire questo fenomeno, ho intervistato Sofia Lancia, una mia amica della mia città, che gestisce la pagina Instagram @insomniisvidiaesculapium. Attraverso uno stile diretto e personale, racconta, sotto forma di diario, gli alti e bassi della sua vita universitaria, dentro e fuori le aule di medicina. In questa intervista, parleremo anche di uno dei temi più forti che affronta sul suo profilo: il dolore cronico.
1. Prima di tutto grazie mille Sofia per avere accettato di prendere parte a questa intervista. Ti va di presentarti ai nostri lettori?
Grazie mille a te, è un piacere. Provo ad introdurmi brevemente: sono Sofia, ho 23 anni, studio medicina in inglese a Milano e nel tempo libero coltivo diverse passioni, fra cui quella della musica e della fotografia.
2. Come è nato il tuo profilo Instagram e cosa ti ha spinto a condividere la tua esperienza universitaria?
Il mio profilo si chiama @insomniisvidiaesculapium ed è attivo ormai da cinque anni, da quando non ho superato il test d’ammissione a medicina al primo tentativo. Avevo bisogno di sentirmi meno sola, ma anche di motivarmi a non mollare, condividendo le peripezie che mi hanno portata fino a dove sono oggi. È uno scambio reciproco: racconto le mie sconfitte, le mie tristezze e le mie vittorie, come in un diario interattivo. Ormai ci sono molto affezionata.
3. Come è strutturata la tua pagina e che tipo di contenuti pubblichi?
Non ho una timeline ben precisa. Pubblico dei contenuti in modo spontaneo, che spaziano dalla mia disperazione sullo studio ai miei pensieri più profondi, passando dalle rivelazioni e avventure che mi capitano. A volte sono più attiva sul profilo, ogni tanto mi piace prendermi una pausa e dedicarmi solo alla vita reale. Scrivere mi fa stare bene, ed è per questo che, quando lo faccio, utilizzo la pagina per condividere i miei pensieri e le mie emozioni e per sentire ed ascoltare anche quelle degli altri.
4. Il nome del tuo profilo è molto interessante. Puoi spiegarci il significato dietro @insomniisvidiaesculapium?
In realtà non ci ho pensato troppo. Volevo un nome che mi rappresentasse, ma che fosse anche poco “commerciale” e non mi identificasse esclusivamente come studentessa di medicina. “Ho visto Esculapio, nei miei sogni/sognando” è la traduzione latina più adatta, anche se il latino ormai è un lontano ricordo. Questa traduzione significa tutto e niente. Desidero diventare medico da molti anni, ma con il tempo ho capito che non può essere solo questo a definirmi. Non siamo mai una cosa sola.
5. Rispetto ad altri profili studenteschi molto seguiti, come quelli di UnJaded Jade, Jesitaaj, Ellie in STEM o Haley Pham, il tuo approccio mi sembra più personale e riflessivo. In cosa pensi che si distingua la tua pagina rispetto alla loro? Ci sono altri profili che ti ispirano o con cui senti una particolare affinità?
Seguo diverse persone con un profilo simile al mio. Sempre più spesso ci stiamo abituando a non dipingere la vita dell’aspirante medico come perfetta, e questo è un passo avanti importante. Nel mio piccolo, mi rendo conto di rappresentare un modello “imperfetto” di studentessa di medicina: non studio tutti i giorni, e a volte semplicemente non ne ho voglia. Racconto tutto questo come fosse normale, perché lo è. Prima di tutto siamo persone. Uso questa pagina anche per condividere i miei pensieri più profondi. Il mio obiettivo non è quello di acquisire notorietà, non provo mai ad adeguare i miei contenuti a ciò che desidererebbero gli altri. Piuttosto cerco il dialogo, che mi arricchisce. Ho sempre guardato con ammirazione Alice Patrignani (@alice.patrignani), che seguo da prima che diventasse una specializzanda di chirurgia. Condivide con trasparenza un percorso entusiasmante ma pieno di cambiamenti. Credo abbia dimostrato il coraggio necessario per inseguire i propri sogni, accettando che cambiare idea o sperimentare non solo è normale, ma sano.
6. Nella biografia del tuo profilo scrivi ‘dolore cronico’. Da dove nasce il tuo interesse per le malattie croniche, come la fibromialgia, e perché hai scelto di trattare questo tema sulla tua pagina?
Penso che il dolore cronico sia un tema fondamentale, ma ancora troppo spesso ignorato, sia dal pubblico che dai professionisti sanitari. Ho scelto di parlarne sulla mia pagina perché, come tante altre cose della mia quotidianità, ne fa parte da molto tempo. Provo ad essere trasparente con chi mi segue, ma soprattutto con me stessa: non potrei raccontare la mia vita lasciando fuori un pezzo così importante. Vivere con il dolore cronico fa paura e ti costringe a ripensare completamente come immagini il futuro, il corpo, la crescita.
Ritengo che sia necessario parlarne per informare e sensibilizzare, soprattutto da parte di persone che non lo vivono in prima persona, per dare rassicurazione e supporto. Ho ricevuto diverse volte messaggi da parte di chi soffre in silenzio e ha trovato conforto nella condivisione. La persona che ha dolore cronico ha bisogno di attenzioni, che spesso viene ignorato.
Da poco ho deciso di contribuire attivamente alla costruzione di una rete di ascolto. È stata proprio @mottifibro a consigliarmi di “fare rete” come unico vero strumento per affrontare la malattia: condividere, ascoltarsi, sapere che non si è soli. Sentirsi compresi è un dono che si sottovaluta troppo spesso. Il dolore porta con sé tante sfide, parlarne serve anche a questo: a sfogarsi, a ripartire, ad accettare, un respiro alla volta.
7. Perché è importante conoscere ed interessarsi delle difficoltà nel ricevere una diagnosi tempestiva, nell’accesso delle cure appropriate e nel non sminuire il dolore fisico?
Il dolore cronico è un compagno di vita fastidioso, ma invisibile, soprattutto per chi non lo vive in prima persona. Credo sia fondamentale fare di più, sia a livello sociale che sanitario. A partire dai medici, che troppo spesso sminuiscono il dolore del paziente, invitandolo solamente a “conviverci”. Si parla tanto di cure, di ricerca, ma poco di qualità della vita, il dolore cronico influisce enormemente su quest’ultimo aspetto. Sono stata relativamente fortunata ad avere medici capaci e interessati, ma che soprattutto dessero valore al mio dolore, tanto da sorprendermi, come se la prima a sminuirlo fossi io. Ho vissuto anche esperienze negative.
L’ascolto, per me, è il punto di partenza. Vorrei essere in grado, un giorno, di offrire ai miei futuri pazienti quello che io stessa ho cercato. Fare diagnosi è prima di tutto fare domande. Il dolore non si misura da fuori, ma può avere un impatto psicologico e pratico enorme sulla vita delle persone. Servirebbe un approccio multidisciplinare, perché chi soffre si ritrova spesso in balia di visite frammentarie, esami inutili, lunghi anni senza risposte. E invece una diagnosi, quando arriva, può dare certezze, equilibrio, strumenti per imparare a vivere e non semplicemente a sopravvivere.
Purtroppo non è scontato. Ci sono malattie gravi che ancora oggi hanno ritardi diagnostici di dieci anni, come la sclerosi multipla. Altre, come la sindrome fibromialgica o l’endometriosi, continuano a essere trattate come malattie “di serie B”: poco studiate, poco riconosciute, poco tutelate. E quando anche le istituzioni ignorano questi pazienti, li trasformano nei “malati immaginari” della sanità. Persone invisibili, ma reali. Potrei parlarne per ore, ma credo che, almeno per ora, questo basti per capire quanto sia urgente cambiare
8. Abbiamo discusso della tua esperienza universitaria e del dolore cronico. Ora, parliamo del tuo futuro. Hai mai pensato di specializzarti in ginecologia o in un altro ambito della medicina?
Ci sto proprio pensando. La ginecologia è una branca molto ampia della medicina, che spazia dalla chirurgia oncologica, all’ostetricia, alla terapia del dolore, ambiti a cui sono molto interessata. La salute delle donne è qualcosa su cui vorrei concentrarmi. Sono ancora in alto mare però, chissà chi e cosa diventerò.
9. Nella tua pagina condividi spesso contenuti di studenti di medicina che parlano di esami, vita universitaria e sistema sanitario. Perché ritieni importante sensibilizzare su questi temi sia dal punto di vista accademico che istituzionale?
La vita universitaria ha molte sfaccettature, e credo sia importante raccontarle nella loro complessità. Ognuno ha il diritto di vivere l’università a modo proprio, ma questo è spesso reso difficile dalle aspettative sociali, che impongono modelli di eccellenza e successo costanti. Queste pressioni possono diventare opprimenti e scoraggianti. Eppure, il percorso universitario è anche fatto di scoperte, di legami nuovi, di traguardi, non solo accademici, che contribuiscono a formare la persona
Mi piacerebbe che si creasse un ambiente meno tossico, più propositivo e di accoglienza verso il diverso. Mi piacerebbe che ci fosse una rivincita del mediocre, di quello che non vuole trenta e lode a tutti gli esami, ma che ha un sogno e si impegna a raggiungerlo. Gli standard societari a volte diventano irraggiungibili e distolgono l’attenzione da ciò che secondo me importa davvero. L’università dovrebbe essere un’opportunità come tante altre, non una regola e uno status che intrappola e uccide. È un fallimento societario quando questo avviene.
Per quanto riguarda il sistema sanitario, è evidente che presenta molte lacune, e purtroppo le prime vittime sono proprio i medici, che non riescono a dare il meglio ai pazienti a causa delle risorse insufficienti. Guardare questa realtà dall’interno mi ha fatto comprendere molte cose. Ora, quando aspetto troppo al pronto soccorso, non mi arrabbio più, perché so cosa c’è dietro. Il cambiamento dovrebbe partire alla radice, ed è proprio ciò che desiderano i professionisti del settore. In qualità di paziente, comprendo la frustrazione e l’insoddisfazione, perché le provo anch’io. Tuttavia, non posso che schierarmi dalla parte di chi vuole fare il proprio lavoro senza essere in pericolo. Il tema delle aggressioni al personale sanitario è qualcosa che mi sconvolge profondamente. Servirebbero più umanità e comprensione reciproca: i medici verso i pazienti, che sono spaventati e senza controllo sulle loro condizioni, e i pazienti verso i medici, che fanno del loro meglio con ciò che hanno a disposizione.
Grazie, Sofia, per aver condiviso la tua esperienza. La tua storia ci ricorda l’importanza di parlare delle sfide universitarie e del dolore cronico. Insieme, possiamo creare un ambiente più empatico e supportivo.