L’arte di far entrare il mare in un bicchiere

Oggi, 21 marzo 2021, ricorre la 22esima Giornata mondiale della poesia, istituita nel 1999 dalla 15° Sessione della Conferenza Generale Unesco. Con questo articolo cercheremo di celebrare al meglio questa ricorrenza, proponendovi un modo più ampio di viverla. 

Per cominciare, partiamo dalla definizione. Poesia deriva dal greco antico ποίησις, la cui radice è nel verbo ποιέω, cioè fare, costruire, raffigurare. È una forma di espressione, quindi, che prende percezioni, sentimenti, fatti e li racchiude in versi nel preciso rispetto delle regole metriche.  Ma ciò che definiamo poetico non ha a che fare solo con le rime: in generale, infatti, sono giudicati e sentiti tali la capacità di esprimere forti sentimenti, di suscitare emozioni e qualsiasi oggetto, situazione, comportamento in quanto questi contengono qualcosa che li elevi al di sopra del quotidiano (dal dizionario Treccani). Questa parola abbraccia quindi tutto ciò che, in una forma straordinaria, cioè non consueta, riesce a ridurre la realtà infinita in qualcosa di delimitato, è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere, spiega Italo Calvino, mantenendone tuttavia tanto la profondità quanto ogni sua sfaccettatura.  In più, la poesia è un grande avversario dell’oblio: è in grado di eternare avvenimenti, sentimenti, valori, è un punto di riferimento per capire chi siamo, dà consolazione, è una macchina del tempo. Nelle Odi, raccolta di 104 componimenti scritti dal 30 a.C., già il poeta latino Orazio scriveva, riferendosi alla sua attività letteraria, di aver costruito un monumento più perenne del bronzo e più alto della regale maestà delle piramidi, che né la pioggia corrosiva né il vento impetuoso potranno abbattere né l’interminabile corso degli anni né la fuga del tempo. Non morirò del tutto, anzi una gran parte di me eviterà la morte (libro III, ode XXX).

Il poeta modella la realtà, tanto complicata e talvolta sfuggente, e la riduce a qualcosa che possiamo avere davanti agli occhi, sa creare un contenuto in grado di fermare noi e il tempo, entrambi viandanti rapidi e in continuo movimento sulla Terra, e invitarci a guardarci intorno. 

Inoltre, l’aspetto ancora più speciale è che, se è vera l’intuizione di Flaubert, secondo la quale non vi è una particella di vita che non abbia poesia all’interno di essa, chiunque non solo può darle forma, ma ne è già un esempio. La vita, intesa come esperienza del singolo nel mondo, è l’imprescindibile punto di partenza della letteratura: che quest’ultima sia frutto di gesta straordinarie, riflessioni solitarie, avventure di gruppo, passeggiate in mezzo alla natura, il punto è che noi, vivendo, anche ipoteticamente immobili nello stesso punto, abbiamo una mente inarrestabile che, nel suo costante movimento, produce infinito materiale poetico. Dentro ognuno di noi c’è poesia perché, volente o nolente, chiunque ha uno sguardo sul mondo unico ed irripetibile.

Oltre a questo, come abbiamo già accennato, la letteratura sa dare consolazione

La poesia è il salvagente 

cui mi aggrappo

quando tutto sembra svanire.

Quando il mio cuore gronda 

per lo strazio delle parole che feriscono,

dei silenzi che trascinano verso il precipizio.

Quando sono diventato così impenetrabile

che neanche l’aria

riesce a passare.

Khalil Gibran (1883-1931), La poesia è il salvagente.

Nei momenti di difficoltà, smarrimento, spaesamento, la poesia – e così ogni sua sfaccettatura – può essere un’ancora di salvezza. In preda alle piccole preoccupazioni quotidiane, alla paura, all’ansia, scrivere permette di tirare fuori le idee e, inevitabilmente, ordinarle, concede la possibilità di vedere, toccare o accartocciare i pensieri che affollano la mente, la quale intanto è più libera. 

Leggere, invece, è una porta di accesso ad un altro mondo. Si possono vivere infinite storie senza uscire di casa, suggeriva lo spot della Mondadori a marzo 2020, in piena pandemia di Covid-19.  Uno dei cliché sulle persone che amano la lettura è che siano solitarie, invece per me i libri sono stati un modo per uscire dall’isolamento, racconta Matt Haig in Ragioni per continuare a vivere, il libro autobiografico in cui ripercorre la sua esperienza con la depressione e l’ansia. Se sei un tipo che pensa troppo, niente ti fa sentire più solo che trovarti in mezzo ad una folla di persone sintonizzate su una lunghezza d’onda diversa. Non che si debba fuggire dalla realtà, certo, ma è vero che, quando si fa fatica a vivere la propria vita – il cervello è gremito di preoccupazioni e angoscia, più o meno razionali, non si è in grado di neanche di alzarsi dal letto, si è stanchi, tristi o semplicemente pigri e insoddisfatti – un buon libro può essere un grande compagno. Oltre ad essere una potenziale fonte di ispirazione personale, è in grado di farci prendere una boccata d’aria da una realtà che a volte ci sta stretta.  In generale, possiamo dire che leggere e scrivere sono le più grandi forme di meditazione scoperte finora (Kurt Vonnegut). 

Infine, la poesia può essere una congiunzione, tanto tra persone diverse, quanto con se stessi. 
Se parliamo del nostro rapporto con gli altri, è evidente che il ruolo della letteratura è sempre stato determinante. Quando un governo vuole manipolare la popolazione, il suo immediato sguardo va ai veicoli poetici e ciò è un interessante punto di partenza per una riflessione. Che si tratti di giornali, saggi, romanzi, raccolte poetiche o anche canzoni, ad ognuna di queste è attribuito evidentemente un potere immenso: creare quella legge dell’unità mentale delle folle di cui scrive Gustave Le Bon nel 1895 (da Psicologia delle folle) che è in grado di unire, quasi incollare le menti in una o poche più direzioni, può far nascere comunità legate dalla condivisione di valori, idee, credenze. 

Anche per quanto riguarda noi, però intesi come singoli individui, c’è un aiuto unico che la poesia può concederci, se le lasciamo la possibilità di entrare nella nostra vita: vivere a tutto tondo il nostro essere umani

Siamo parte di una società che va di fretta, rincorriamo il successo – senza neanche prima cercare di capire cosa significhi per noi, non a caso successo significa solo esito favorevole, ma esito di cosa? – ci sforziamo ad essere quanto più produttivi possibili e tutto questo va bene, ma forse manca qualcosa. Talvolta, magari, abbiamo bisogno di concedere a noi stessi quel delirio dell’immaginazione di cui parlava il primo Leopardi, quello che permette un legame autentico con la natura, che ci fa chiedere il perché senza creare l’angosciante attesa di una risposta che difficilmente arriva, ma che piuttosto si crea per disperazione. Questo grande potere, secondo la filosofia leopardiana, è in mano alla poesia, che infatti deve restare vicina alle percezioni immediate, vere, oneste e lontana da ogni artificio e manipolazione (dal Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, 1818).

Arriva un momento, così si dice e prima o poi si sperimenta, in cui si percepisce se stessi come anello di un’infinita catena che è la storia del mondo. Da quell’istante, da quando ci lasciamo meravigliare dalla natura, ci lasciamo travolgere dal rumore della vita intorno a noi, sentiamo il peso dell’infinito nella nostra mente, quando dall’ uomo che se ne va sicuro diventiamo quello che si cura della sua ombra (da Non chiederci la parola, Eugenio Montale) è facile sentirsi smarriti. In questa situazione, però, le emozioni già condivise ed eternate saranno lì per noi, per consolarci, per non farci sentire soli. Quelle non scritte, invece, saranno una montagna di pagine bianche (metaforiche e non) a nostra perenne disposizione per esplorare il mondo e scegliere la nostra strada.

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