Addio, Maestro

Oggi la musica italiana saluta uno dei più grandi artisti e cantautori che abbia mai conosciuto. Franco Battiato, un artista eclettico, autore di canzoni carismatiche e dal sintomatico mistero in grado di stregare intere generazioni, ha colpito nel segno cogliendo nella sua musica un elemento destinato a durare negli anni, accostando una melodia pop e orecchiabile a testi talora enigmatici, filosofici, introspettivi.

Spesso si sottolinea la cospicuità dei generi musicali tra i quali si è mosso, destreggiandosi con il pop (fu tra i primi musicisti a sperimentare il sintetizzatore analogico negli anni settanta), il rock, la musica etnica, elettronica e la lirica. Molti gli stili assimilati, sebbene non sopportasse i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free-jazz-punk inglese, neanche la nera africana…

Per Battiato filosofo, “prima dell’arte viene l’essere” rintracciabile grazie alla filosofia, alla mistica islamica e alla meditazione orientale, i suoi più accesi campi di interesse. Non mancò però nella sua opera il seme di alcuni intellettuali quali Manlio Sgalambro (coautore de La cura ad esempio) e Georges Ivanovič Gurdjieff (il maestro che gli insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire…).[1]

Ma l’esperienza terrena di Battiato passò anche per la pittura (ispirata dall’arte bizantina) e il cinema. Si impegnò anche in politica (ben distinguendosi dall’etichetta di “artista impegnato”) come assessore al turismo, allo sport e allo spettacolo presso la regione Sicilia. Celebre la sua frase “Farebbero qualunque cosa queste troie che si trovano in giro nel parlamento”.

Centro di Gravità Permanente

Appartenente all’album La voce del Padrone (1981), è il pezzo forse più conosciuto di Battiato, dal significato tuttavia molto esoterico. In una sua intervista l’autore si spiega così:

Non ha mai rinunciato ad un po’ di ironia.

La canzone può considerarsi un manifesto della gnoseologia del Maestro che, citando il Gurdjieff, incita l’uomo a ricercare un punto di vista autentico sulle cose del mondo, consono con la sua vera natura e che non sia il risultato di condizionamenti esterni. È un’idea di superamento di cosa sia l’uomo, idea spesso ripetuta dal maestro: durante un’intervista ebbe a dire infatti che “Esistiamo per evolverci, abbiamo un destino da compiere”. Ma,

Confezionata in un arrangiamento per sassofoni e violini che si muovono su note staccate, con una batteria sul bordo del rullante e un suono di battimano ricreato con la Roland T808, Centro di gravità permanente non è solo Gurdjieff.

Fabio Zuffanti, Franco Battiato. Tutti i dischi e le canzoni, dal 1965 al 2019, Lit Edizioni, Roma 2020

Le strofe si caratterizzano per la presentazione di disparate immagini e citazioni, difficili da collegare fra loro con un nesso logico: la vecchia bretone con un ombrello di carta giapponese, capitani coraggiosi dello scrittore indiano Rudyard Kipling,  contrabbandieri macedoni, gesuiti euclidei seguaci di Matteo Ricci (che nel 1582 si vestì da bonzo per entrare in dialogo con i religiosi cinesi), studenti di Pechino che scherzano tra loro. Tutte immagini apparentemente destabilizzanti, specchio di una crisi di identità in atto nel Belpaese, che ruotano attorno al vero centro permanente della canzone: il ritornello. Questo si impone, in mezzo a tutte queste citazioni, quale punto stabile riportando il sé al proprio comando. Segue nella seconda strofa un’invettiva contro il panorama musicale che cela l’autoironia di Battiato, il quale inserisce alcuni dei generi da egli stesso sperimentati.

La canzone mantiene una certa coerenza tematica e musicale anche con le altre canzoni appartenenti all’album, che sono Summer on a Solitary Beach, Bandiera Bianca, Gli Uccelli, Cuccurucucù, Segnali di Vita, Sentimiento Nuevo.

Voglio Vederti Danzare

Una volta una mia collega di corso mi fece notare quanto spesso si parli di filosofia della musica, e quanto poco invece di filosofia della danza. Perché l’arte tersicorea non dovrebbe essere degna di pari interesse filosofico?

Negli stessi anni de La Voce del Padrone

Franco fiuta l’aria, si rende conto dei tempi che sta vivendo e di quelli che verranno, e, come ogni artista degno di questo nome, vuole documentarli secondo la sua visione. Egli vede nel futuro: le grandi migrazioni di popoli, la tecnologia a portata di mano, i disastri ambientali, l’uomo sempre più stretto tra le pareti del suo cervello e poco propenso a confrontarsi con i suoi simili. Scorge la fine del mondo, un nuovo diluvio universale e un’Arca che possa mettere in salvo solo chi lo merita. Da qui il titolo del nuovo progetto: L’ARCA DI NOÈ.

ivi

Nel coltivare i suoi interessi filosofico-escatologici, Franco Battiato con l’album L’arca di Noè ricerca l’elemento che porterà alla salvezza dell’uomo. Chi si salverà alla fine? Chi sarà degno di salire sull’Arca? Battiato una risposta a questa domanda ce l’ha e la presenta alla fine dell’album: la danza, in grado di mettere in contatto corpo e mente. Sembra specificare però una tipologia di danza, una danza rituale, antica, originaria di un remoto passato e capace ancora di risuonare le corde dell’inconscio.

La canzone offre vari esempi di storia della danza nel mondo, accompagnati come avviene in Centro di Gravità Permanente, da un unico ritornello “unificatore”… E gira tutto intorno alla stanza, mentre si danza, danza…

È un brano curioso perché, nel parlare di danza, è assente lo strumento della ritmica per antonomasia, la batteria. Forse per lasciar ancora spazio a quel po’ di precarietà già suscitata nella precedente canzone. Al suo posto, sintetizzatori e violini infuocati.

Alexanderplatz

Il brano non è propriamente di Franco Battiato, che lo compose per un’altra artista da poco compianta, Milva. Spesso Battiato scrisse testi e musiche per altri interpreti come, ad esempio, Per Elisa cantata da Alice (Sanremo 1981) o Un’estate al mare di Giuni Russo.

Inizialmente il pezzo di Milva si chiamava Valery. Composto per un altro interprete, raccontava la storia di una giovane transessuale. Nel 1982 avviene una riscrittura del testo, ispirata alla famosa piazza di Berlino Est. La canzone divenne una descrizione della vita berlinese in quel periodo storico, intrisa di solitudine e freddo, poi l’esplosione della voce nel ritornello (Alexander Platz, Aufwiedersehen, c’era la neve, faccio quattro passi a piedi fino alla frontiera, vengo con te!) e per concludere una domanda spiazzante (Ti piace Schubert?). Cosa c’entra questa domanda con il resto del brano? La risposta è semplice: Battiato allude alla monotonia culturale tipica dei paesi dell’Europa orientale in cui l’offerta culturale si esauriva con la musica classica o quelle poche proposte ammesse dal regime.

La cura

Gli anni Novanta sono un periodo di svolta per il filosofo in musica grazie all’incontro con Manlio Sgalambro. Ne nasce, fra le tante, una poesia struggente per la sua delicatezza, una potente medicina per la guarigione delle pene dell’esistenza, una strada per la vicinanza comune grazie all’amore.

Non possono mancare qui i riferimenti a Heidegger. Anche Battiato lungo il suo percorso artistico, come Heidegger, ha compiuto un’indagine sull’uomo di cui la Cura sembra essere il punto culminante: “Fu la Cura che per prima diede forma all’uomo, la Cura lo possiede finchè esso viva” sostiene Heidegger. Per il filosofo tedesco poi la Cura si distingue in prendersi-cura delle cose e aver-cura degli altri… ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via…

Varie le immagini, rappresentate dal filosofo, che si succedono in un crescendo di emozioni che sfocia nell’intensità dell’assolo di chitarra.

Come detto prima, nel brano è vistosa anche la collaborazione con Sgalambro, per il quale la filosofia ha il dovere di pervertire l’uomo, smuovendo i suoi sentimenti e le sue stabilità. L’uomo dev’essere portato a riconoscersi come l’essere per essere un cadavere, niente di più esistenzialista. La musica per Sgalambro ha proprio il compito di ricompattare l’uomo nella sua fragilità e dedizione allo stordimento imponendosi come guida del nostro tempo e della consapevolezza della nostra morte. Heideggerianamente, non tutte le vite sono uguali e il modo in cui conduciamo la nostra definirà chi siamo… Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza…

Così la voce di Battiato è diventata la voce di un vero e proprio guaritore di anime, sia con la musica sia con le parole. Grazie, Maestro.


[1] Per il maestro armeno era infatti possibile trovare una nuova vita superiore (l’alba) oltre la morte (l’imbrunire) grazie a un percorso spirituale di ricerca della verità culminante nella consapevolezza).

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