L’informazione libera e imparziale è in pericolo? Dal Caso Relotius a ChatGPT: declino o evoluzione?

La perdita di fiducia nel giornalismo e della sua autorevolezza è crescente, anche considerando le campagne di disinformazione che fomentano odio nel dibattito politico. In tal senso, gioca un ruolo anche la deriva quasi tecnocratica che l’informazione sembra incarnare. L’imprecisione contribuisce a propagare il malcontento: l’esempio più concreto con cui ci siamo confrontati, come società, di recente, è quello riportato da “Open”, legato al giornale “La Provincia”, finito sotto le luci della ribalta, accompagnato da un’ondata di critiche, per il proprio utilizzo dell’AI. Stando al reportage, uno degli articoli presenti nel quotidiano cartaceo, dedicato allo spaccio di droga a Civitavecchia, presentava in chiusura una frase che non lasciava dubbi sull’utilizzo dell’IA: “Vuoi che lo trasformi in un articolo da pubblicare su un quotidiano?”. Una svista che non è rimasta inosservata e ha suscitato imbarazzo tra i commenti social, ma che ha anche stimolato diversi interrogativi sul presente, sul futuro e anche sul passato del giornalismo italiano e internazionale.

Questa vicenda rappresenta, però, la punta dell’iceberg. Ci sono state altre circostanze che sono andate ben oltre la semplice disattenzione di una redazione locale. Una controversia ben maggiore, capace di destare scalpore nella stampa tedesca, europea e internazionale, riguarda il giornalista del magazine teutonico Der Spiegel, Claas Relotius. La questione è stata ben descritta dal documentario prodotto da Sky Original “Fake News: Reportage e Inganni”, in cui diversi giornalisti e contatti vicini a Relotius hanno illustrato “Der Fall Relotius” (Il caso Relotius).

Infatti, il giornalista, vincitore di quattro Deutscher Reporterpreis (premi per miglior reporter annuale tedesco), un “Giornalista dell’anno” della CNN e un Premio della Stampa Europea e molti altri premi, avrebbe sistematicamente inventato i suoi articoli. Lo stile del giornalista amburghese era ricco di dettagli, minuzie e una complessità narrativa da perfetto storyteller, tanto che nemmeno i fact-checker dubitavano minimamente delle fonti dei suoi articoli. L’allora caporedattore di ‘Der Spiegel’ Steffen Klusmann (2019-2023) disse che le storie di Relotius “erano talmente perfette che non sembravano vere (non lo erano davvero, ndr), ma rappresentavano quello che la gente voleva e desiderava leggere. Le sue storie sembravano uscite dalle favole o da qualche film hollywoodiano”.

Ad ogni modo, Relotius era penetrato nel cuore del giornalismo d’inchiesta tedesco in così pochi anni, senza che nessuno mai si fosse posto eventuali dubbi. Tutti tranne un manipolo di alcuni suoi colleghi freelance, tra i quali, in particolare, il giornalista Juan Moreno, che analizzò diversi articoli, andando ad incontrare le presunte persone intervistate da Relotius. Sorprendentemente, questi soggetti nella realtà non erano mai stati intervistati direttamente dal giovane freelance, ma al massimo incontrati di sfuggita. Con questa tecnica che potremmo dire orwelliana, Relotius aveva costruito una narrazione su di esse totalmente opposta alla realtà. Infatti, il giornalista aveva sì visitato i luoghi, osservato le persone, ma, allo stesso tempo, aveva taroccato la realtà a favore di una narrativa apparentemente credibile per i lettori tedeschi.

Eppure, in netta contrapposizione con questa storia, si pone il motto, con cui si pone nel giornalismo la medesima testata ‘Der Spiegel’, con la frase “Sagen, was ist” (Di ciò che è) del fondatore della rivista Rudolf Augstein. L’affidabilità che il magazine ha ottenuto negli anni nel mondo occidentale, venendo equiparato al Wall Street Journal, New York Times o Financial Times, grazie alla sua ricerca certosina della realtà, venne messa in forte difficoltà. In effetti, questa vicenda ha anche rivelato l’importanza della testata di Amburgo, considerando il danno effettivo ricaduto, per la credibilità in primis, sull’intero giornalismo tedesco.

Dopo questo scandalo, il popolo tedesco ha perso inevitabilmente fiducia nel settore, diventando questo sentimento un’arma per il populismo di AfD, capace di avviare una campagna contro il giornalismo di ‘Der Spiegel’, definito letteralmente “Lügenpresse”, ossia “la stampa fabbricante di menzogne”. Anche vari giornalisti si sono interrogati su tale controversia, in particolare il direttore del Süddeutscher Verlag, Karl Ulrich, capace di ricordarci che le conseguenze potrebbero essere ben più ampie: “Se la gente perde fiducia nel giornalismo autorevole, cosa rimarrà dell’informazione libera e del nostro lavoro?”.

Alla fine della storia, Relotius è stato costretto, grazie alle prove schiaccianti portate dai suoi colleghi ai vertici della redazione, a confessare di aver falsificato il 99% delle informazioni presenti negli articoli e a dimettersi il 19 dicembre 2018.

L’informazione oggi più che mai è influenzata da interessi economici, politici, proprio come lo era la narrativa di Relotius, meglio condizionata da una modus cogitandi velatamente anti-americano – prendiamo in considerazione gli articoli e le tematiche portate avanti da Relotius, come il giro alla scoperta dei “death rows” americani, totalmente inventato, come anche al ritratto fiabesco fornito riguardo alla cittadina del Minnesota di “Fergus Falls”. In questo caso il reporter descriveva come la società rurale americana fosse devota a Trump e razzista nei confronti dei messicani, inventando scritte razziste sul cartello di benvenuto del paese, situazioni di vita quotidiana, che gli stessi abitanti della piccola città smentirono categoricamente. Infatti, l’allora ambasciatore a Berlino Richard Grenell dichiarò che “Queste notizie false si concentrano in gran parte sulle politiche statunitensi e su alcuni segmenti del popolo americano”.

Per questo motivo, non è sufficiente informarsi, perché, come diceva Pennac “il quotidiano che informa ci preserva dalla quotidianità che disturba”. Dunque, il ruolo del giornalista non è quello di costruire fiction, allo stesso tempo non è nemmeno qualcosa che deve derivare in qualcosa più ampio di una “svista artificiale”. Infatti, un’eventuale situazione toglierebbe il lato umano e specifico della professione, che sta nel dare anche giudizi più o meno velati, ma senza mai sviare o conformarsi ad una narrazione, come un Ministro della Verità della situazione. Per concludere, l’informazione non dovrebbe essere indirizzata a seconda del proprio pubblico o del proprio tornaconto, serve analizzare la realtà, senza trasformarla in quello che Relotius aveva reso una comoda bugia da assimilare e, infine, da applaudire.

Fonti principali:

https://www.open.online/2025/10/09/giornale-articolo-scritto-chatgpt-la-provincia-quotidiano/

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