Tutto quello che facciamo per evitare di guardarci dentro

Quante volte reagiamo a quello che ci succede senza neanche pensarci? Che sia “negazione” o qualunque altra fase, è molto facile lasciarci andare a quello che ci va quando qualcosa intorno a noi non prosegue come vorremmo. In questo episodio di In punta di piedi, allora, proviamo a soffermarci sulle ricadute peggiori, per poi arrivare ad una conclusione che abbraccia tutte quelle possibili.

Una delle reazioni più comuni è quella di prendercela con chi ci sta accanto. In questo caso, quindi, rispondiamo male o ignoriamo gli altri, non siamo aperti a un confronto e qualsiasi carineria ricevuta è malamente respinta. Che il nostro malessere sia stato causato da loro o meno, è infatti facile trasferire il risentimento e la frustrazione per l’accaduto su un amico o un familiare, anche solo perché più qualcuno ci vuole bene, maggiore (anche se non incondizionata) è la possibilità che ci perdoni. Insomma, il disagio che proviamo deve “uscire” in qualche modo e, se non sappiamo come permetterglielo in modo salutare, lo farà con lo strumento più spontaneo che ha: la rabbia.

Un’altra possibile risposta ci ricorda quel troppo di cui abbiamo già parlato: solitamente, infatti, abbuffarsi o ubriacarsi sono altri due tentativi sfortunati per stare meglio. Con il cibo abbiamo già spiegato come funziona: riempirci la pancia colma un vuoto che abbiamo dentro, sia questo imputabile alla mancanza di qualcuno o alla nostra incapacità di risolvere un problema, di trovare il modo per riempire quel vuoto non ancora occupato da una soluzione. L’alcol invece tende a distrarci e, come sappiamo, a darci un’euforia e un’energia che alleggerisce per poco la mente. Restando sempre in tema di abbondanza, le ore passate sui social o Netflix ingombrano invece il nostro cervello di così tanti stimoli che diventa impossibile fermarsi a riflettere sulle emozioni, nonché sull’effetto che quei contenuti stanno avendo sulla nostra percezione della realtà.

Infine, è molto comune evitare di stare soli e investire totalmente le proprie giornate in colazioni al bar, giornate in biblioteca con gli amici, cene al ristorante e serate in discoteca: insomma, qualsiasi cosa purché sia fatta in compagnia, purché uno stimolo esterno stia sempre lì a punzecchiarci e non ci conceda il tempo di porci qualche domanda. A questo si possono poi accompagnare più o meno comportamenti autolesionisti, dal fumo della sigaretta ad un ascolto compulsivo dei problemi degli altri che, aggiunti ai nostri che stiamo ignorando, formano un pesante macigno di negatività sulle nostre spalle che pesa anche se non lo vediamo.

Quindi, a che considerazioni ci porta tutto questo? Come possiamo interrompere circoli viziosi del genere? Per rispondere a queste domande partiamo intanto da un basilare presupposto: avere voglia di andare a ballare, amare il Negroni o non voler condividere qualcosa non fanno di noi “persone che evitano di guardarsi dentro”. Ma allora cosa lo fa? 

Per quanto, in generale, voler fare qualcosa (che non nuoce agli altri) è un motivo sufficiente per portarla avanti, è pur vero che avere consapevolezza degli stimoli da cui il desiderio parte ci permette di capire quanto questo sia effettivamente volto a farci star bene a lungo termine. Così come volere un corpo tonico, un obiettivo tanto comune, spesso non nasce tanto da un disagio personale quanto dai social e dalle pubblicità, allo stesso modo volersi ubriacare può nascere da una sofferenza che non riusciamo ad affrontare, un’abbuffata da un trauma irrisolto, la rabbia dalla frustrazione e via dicendo. Se quindi, insomma, non alimentiamo un personale desiderio di crescita e miglioramento, ma il business dei completini per allenarsi, un dolore che vuole sopravvivere a tutti costi o la nostra paura di affrontarlo, c’è qualcosa che non va. Del resto, qualsiasi opzione che non preveda un confronto faccia a faccia con l’accaduto e le nostre emozioni allunga solo il percorso verso il nostro personale equilibrio.

A questo le soluzioni – che ancora una volta non sono formule magiche – richiedono pazienza e costanza, soprattutto perché la maggior parte delle volte fatichiamo a renderci conto di cosa ci sta motivando veramente e non sempre chi ci sta accanto è in grado di farcelo notare. Tra quelle possibili, tenere un diario è un’ottima opzione. Ovviamente, lungi da questo dover essere sotto quella forma infantile che a tutti noi viene subito in mente: si tratterebbe, piuttosto, di un quaderno di emozioni o anche solo di eventi vissuti la cui scrittura su carta sarebbe solo la punta dell’iceberg dei benefici. Anche solo ritagliarci il tempo per pensare a cosa scrivere, infatti, ci educherebbe ad una realistica percezione di come spendiamo il nostro tempo e di ciò che proviamo in relazione a quello che facciamo. 

In alternativa abbiamo una camminata, la meditazione, la musica, colorare o perfino stare nel letto a far nulla senza il telefono in mano, sia questo anche solo per 15 minuti – un tempo che, detto fra noi, ognuno può permettersi di sottrarre ai Reel di Instagram – in qualsiasi momento della giornata. Il tutto, poi, abbinato laddove possibile ad un percorso con uno psicologo, sarebbe estremamente utile. Tutti i comportamenti di cui abbiamo parlato in questo articolo, infatti, sono legati a dinamiche psicologiche spesso subconsce e, se la nostra mente non è educata ad un po’ di sana introspezione, diventa molto difficile prenderne consapevolezza e non renderli un’abitudine. A questo dobbiamo anche aggiungere che non sempre si tratta di reazioni ad un problema specifico (come la fine di una relazione, per intenderci): può capitare, ad esempio, di essere travolti da un malessere generale dovuto ad una divergenza tra chi stiamo diventando e chi sentiamo di essere davvero, anche se quest’ultima versione di noi ci è in parte sconosciuta.

Infine, bisogna ricordare che il tutto non è rivolto a renderci degli esseri umani perfetti, calmi, che prendono tutto con filosofia: è legittimo e normale “scatenarsi” un po’ appena ci separiamo da qualcuno e cercare delle distrazioni per qualche giorno. Al contrario, infatti, lo scopo è non quotidianizzare i nostri (inevitabili) momenti di spontanea debolezza e impulsività: è, insomma, renderci delle persone migliori per noi e chi ci sta intorno.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi