Rousseau e il rapporto Uomo-Natura

Claude Monet, I papaveri, olio su tela, 1873
L’illuminismo, è stato un movimento sociale, politico, culturale e filosofico basato sull’ideale della ragione come faro per l’orientamento umano nel mondo. In senso lato, il termine “illuminismo”, può essere utilizzato per descrivere qualsivoglia forma di pensiero di tipo razionale che voglia liberare la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione, facendo uso della razionalità scientifica. Tuttavia, Rousseau, vede il periodo illuministico, di cui lui stesso fa parte, come un periodo caratterizzato dal primato dell’intelletto su tutto ciò che concerne l’umano, sacrificandolo ad essere “pura ragione” e niente più; un momento in cui l’unica cosa che conta è la verità, indipendentemente dalle ripercussioni che essa comporta sullo stesso uomo. La prima peculiarità che si riscontra nel profilo del pensiero rousseauiano, è che non è mosso da esigenze teoretiche, dalla sete della verità per la verità, tanto meno dal gusto di costruire un sistema ben fornito di coerenza formale. A parer suo, la verità è definibile tale sono nel momento cui è utile agli uomini; nella conoscenza, non cerca altra conoscenza, bensì le regole per la vita. Per lui fare filosofia significava fare ordine in sé steso al fine di conquistare un maggiore equilibrio interiore. Tant’è che nella prefazione del suo primo Discorso diceva: «In questo discorso non si tratta affatto di quelle sottigliezze metafisiche che hanno invaso tutte le parti della letteratura, ma si tratta di una di quelle verità che riguardano la felicità del genere umano». Dunque, la verità non è quella che da coerenza al sistema, ma quella che fa sentire gli uomini felici: ecco che il sentimento umano cessa di essere asservito alla ragione, diventando per primo giudice del valore della ragione. Si noti la grande rivoluzione copernicana messa in atto dal pensatore francese, che capovolge la dialettica di pensiero largamente diffusa, rendendosi conto che il sentimento arricchisce l’uomo di aspetti sociali, altruistici, morali e molto altro. Si tratta dunque per Rousseau di ricostruire un concetto di cultura che dia sfogo alle genuine esigenze umane, e che non nasca dalle pervertite passioni di falsi rapporti sociali che caratterizzano il suo tempo.
Oltre all’ideale culturale dell’Illuminismo, si oppone anche al sistema politico che aleggia nella Francia settecentesca, basato su una profonda disuguaglianza tra i nobili delle corti e le persone comuni. Rousseau è fortemente critico nei confronti dell’assolutismo francese; tant’è che quando in un giornale viene pubblicato un bando accademico che domandava se il rinascimento delle scienze e delle arti avesse contribuito allo sviluppo morale dell’uomo, Rousseau risponde con un secco no. Infatti se lo sviluppo della cultura dell’umanesimo continua Rousseau, trova l’esito dello sviluppo nelle corti di Luigi, certamente il rinascimento non ha funzionato. Aveva intuito ben prima di Karl Marx che quella cultura non avrebbe mai modificato i rapporti sociali – sviluppo morale dell’uomo–, ma serviva solo a stabilizzare l’assolutismo di stato, con lo scopo di mantenere nella soggezione più totale i cittadini francesi in una condizione di schiavitù. Proprio su questa base si delinea la netta linea di cesura tra il nostro Rousseau e tutti gli altri intellettuali francesi a lui contemporanei. Nauseato e disgustato da ciò che vedeva intorno a lui, organizzerà il suo pensiero su degli ideali naturalistici di spiccato sapore romantico, in profonda antitesi rispetto al panorama culturale e politico che lo circondava; diventando un profondo ispiratori degli ideali che animeranno la costituzione degli Stati Uniti del 1776 e la rivoluzione francese del 1789. Per dare valore più concreto alla sua critica filosofica e politica dell’illuminismo, il filosofo costruisce un romanzo pedagogico ideale, tratto solo da elementi radicati nella sua mente, che obbediscono al solo criterio di un libero e felice sviluppo della natura umana.
L’Emilio, si baserà su un contrasto ben preciso, quello tra educazione del cittadino ed educazione della natura che sarà quella impartita dal precettore al suo allievo. Le due educazioni sono antitetiche: la prima mira a costruire un uomo pieno di competenze tecniche e di conoscenze, attraverso un insegnamento consolidato in cui il maestro è attivo e il fanciullo passivo; la seconda al contrario punta a costruire un uomo con la U maiuscola, un uomo non necessariamente pieno di competenze e conoscenze, ma che abbia ben chiara la conoscenza di sé e di come si può raggiungere la felicità in questa vita. Per formare Emilio a suo piacimento, Rousseau esclude infatti categoricamente l’educazione degli uomini, siccome la società per come lui la conosceva, si stava opponendo al fondamento inalienabile dell’uomo, ovvero alla sua natura conferita da dio. Ciò comporta l’isolamento di Emilio rispetto la società degli uomini stessa, dato che, come già detto, questa non può che snaturare la personalità, formando uomini ipocriti e doppi. Difatti il romanzo esordisce così: «Tutto è bene quando esce dalle mani dell’autore delle cose, tutto degenera fra le mani degli uomini; [..] tutte le istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi, soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero nulla al suo posto». L’educazione degli uomini insegna ad essere qualcosa di imposto dalla società, senza insegnare ad essere uomo: ad Emilio il precettore vorrà insegnare il mestiere di vivere; non ad essere soldato, magistrato o prete. Per fare ciò il fanciullo verrà affidato inizialmente all’educazione della natura, che non significa lasciarlo in balia di sé stesso in una sorta di vuoto educativo, ma piuttosto crescerlo lasciandolo “libero” di giocare, correre, arrampicarsi, vivendo tutte le sue giornate all’aria aperta. In modo oculato, il precettore prepara il terreno su cui l’allievo giocherà, senza che ello se ne renda conto, rendendolo funzionale a produrre esperienza educative e positive per il fanciullo. In questo senso l’allievo crederà di essere totalmente libero e di fare quello che vuole, ma in realtà è il precettore che lo indirizza come meglio crede – educazione indiretta – , conservando però la sua libertà decisionale. Questo atteggiamento sarà conservato per circa i primi 12/13 anni di vita del bambino, periodo in cui agli occhi di Rousseau si è privi di capacità di ragionare, di sentimento, di attitudine morale; pertanto qualsivoglia insegnamento si volesse impartire sarebbe presto travisato e male compreso. Si tratta pertanto non di guadagnare tempo, ma bensì di perderlo; infatti il periodo più pericoloso della vita umana è proprio questo, è il tempo in cui si generano gli errori e i vizi, senza che si abbia nessuno strumento per riconoscerli e distruggerli. « Se potete condurre il vostro allievo sano e robusto all’età di 12 anni senza che sappia distinguere la destra e la sinistra, sin dalle prime vere lezioni il suo cuore si aprirebbe alla ragione».
Paradossalmente, la migliore educazione che si possa impartire fino a qui, è proprio quella di non insegnare niente attivamente, infatti, se volesse imparare qualcosa, lo farà da solo, o al massimo il precettore potrà stuzzicare il suo interesse, ma senza imporvi niente. L’imposizione non farà altro che far detestare al fanciullo ciò di cui ne va. Il principio pedagogico adottato sostiene che non bisogna esigere niente dai bambini per obbedienza, ne segue che non possono imparare nulla di cui non sentono il vantaggio presente e attuale. Interessante e paradigmatico di questo periodo d’infanzia è l’apprendimento della lettura fornito dall’autore; Rousseau non la reputa una cosa fondamentale, ma sarà senz’altro utile quando il ragazzo, da i 13 anni in poi, inizierà ad avviarsi ai suoi studi più formali con il precettore. La lettura coerentemente con ciò detto non deve venire impartita dal precettore, ma il suo unico compito, senz’altro più complesso di insegnargliela in modo diretto, sarà di fargli sentire la necessità di impararla. In altri termini, il fanciullo, deve imparare a leggere perché lui lo vuole e lo sente utile, non perché viene costretto a farlo. Fino ad ora ha vissuto come un giovane selvaggio, non provvisto di grandi competenze conoscitive, ma sapendo benissimo ragionare su tutto quello che lo riguarda direttamente, agendo sempre in base al suo pensiero e non secondo quello di un altro, come saranno ormai abituati a quest’età i ragazzi di città.
Ora Emilio ha 13 anni, l’adolescenza è il momento nel quale il progresso delle forze supera quello dei bisogni; questa eccedenza la si può impiegare nell’avvenire, gettando nel futuro il superfluo dell’oggi: «Il robusto fanciullo farà delle provviste per l’uomo debole». Inizia così il tempo dei lavori, degli studi e delle istruzioni, ancora senza sacrificare il criterio dell’utile. I primi studi dipartiranno da conoscenze il cui gusto è naturale all’uomo, come la cosmografia, la geografia e l’orientamento; è interessante analizzare come il precettore imposta l’apprendimento del suo amato Emilio, per esempio nella lezione di orientamento. I due osservavano a lungo la foresta che si trovava dinanzi loro, Emilio innocentemente indispettito, domanda quale fosse l’utilità di tutto ciò. Il precettore, in modo squisitamente coerente con l’impostazione fin qui seguita, gli risponde che se questo lavoro non gli pare utile, non lo riprenderanno più. All’indomani il giovane viene invitato dal precettore a svolgere una passeggiata prima di colazione: i due si inoltrano nella foresta – quella che il giorno prima osservavano – sperdendosi. Il precettore in modo socratico spinge Emilio a cercare di ritrovare la strada di casa, attraverso l’osservazione del sole, e della posizione che questo aveva il giorno precedente mentre lo osservava da un’altra prospettiva. Emilio si orienta e trova la strada per tornare a casa, comprendendo così l’utilità dell’osservazione compiuta il giorno precedente e in generale dell’orientamento. Un altro assunto pedagogico fondamentale che emerge è quello di parlare più per mezzo delle azioni, dicendo solo quello che non si può fare. È anche il caso di rilevare che questo metodo di insegnamento che parte dal concreto e si avvale dell’attività stessa dell’allievo, è lo stesso ora proposto dalla migliore pedagogia contemporanea, rendendo Rousseau esponente di una fondamentale intuizione di lunga durata.
Emilio è alle soglie dei 15 anni, il suo precettore pertanto non può mantenerlo per sempre relegato nello stato di natura, poiché per quanto paradossale, l’obiettivo di Rousseau è educare fuori della società per la società stessa; inizia quindi il molto lento e graduale inserimento di Emilio nei rapporti con persone al di fuori del suo covo infantile. Il primo vero e proprio rapporto che maturerà sarà quello lavorativo. Il precettore vuole che Emilio impari un mestiere, che sarà quello del falegname, un mestiere manuale, pertanto vicino allo stato di natura. Il precettore farà passare l’intera giornata ad Emilio con il falegname: lo farà alzare alla sua stessa ora, lo farà lavorare con lui e anche mangiare alla sua stessa tavola insieme alla sua famiglia; implicitamente Emilio sta svolgendo un duplice apprendistato, uno come falegname e un altro come uomo, poiché lo scopo di questa esperienza, come dice lo stesso Rousseau, non è tanto quella di diventare falegname, ma quella di elevarsi al suo status, acquisire la sua nobiltà. Cogliamo qui che il filosofo romantico è tuttavia profondamente convinto dell’esistenza e del valore educativo dell’influenza sociale, quando questa rispetta la naturalità dell’uomo senza alienarla. Difatti nella società civile, dove si vive necessariamente a spese di altri, il lavoro diventa il prezzo del proprio mantenimento, è dunque un dovere indispensabile e fonte di nobiltà per l’uomo sociale. Forte e chiara si coglie anche la critica rousseauiana contro la borghesia illuminista che non lavora, e mangia sulle spalle degli altri. Non è infatti giusto che poiché un uomo adempia al suo dovere nei confronti dello stato civile, generazioni della stessa famiglia di lì in poi si dispensino dal lavorare, rendendosi inutili e addirittura di peso.
Il nostro Emilio in questi anni, sta iniziando a maturare le passioni connesse al naturale sviluppo umano, che sono i principali mezzi della sua conservazione. Il compito del precettore si fa complesso, ne va di ciò che il ragazzo sarà da uomo; deve custodirlo e proteggerlo dalle passioni nocive, per evitare che si snaturi e di conseguenza entri in contraddizione con sé stesso, perdendo per sempre la possibilità di conoscersi intimamente. È il momento che impari la storia, in modo da vedere come spettatore semplice il modo in cui gli uomini agiscono sul mondo, comprendendo in tal modo le loro passioni. È interessante come qui Rousseau scelga una strada opposta rispetto a quella fino ad ora seguita, istruendo il giovane con l’esperienza altrui piuttosto che con la propria; infatti se gli uomini lo ingannano, li andrà ad odiare, ma se li vede odiarsi a vicenda o ingannarsi, ne avrà pietà. Viene introdotto anche all’esercizio delle virtù sociali – comprendendo che non sempre il bene coincide con l’utile –, il fanciullo fino ad oggi ha imparato come vivere con sé stesso e a sapersi guadagnare il pane; per vivere nel mondo civile però bisogna saper contrattare con gli uomini e conoscere gli strumenti che fanno presa su di essi. Viene anche introdotto alla fede: prima di ora gli era stata omessa, poiché un bambino non ha i mezzi razionali per comprenderla – la ragione –. I misteri divini sono perfino incomprensibili agli uomini, un fanciullo non può prendere atto nemmeno della loro incomprensibilità: si trova nell’età dove tutto è mistero.
Ora Emilio ha tutti i mezzi per fare il suo ingresso in società, e lo fa accompagnato dal suo precettore in un viaggio a Parigi. Il ragazzo ha circa 18 anni. Rousseau aspetta tanto a farvi fare il suo ingresso per il semplice motivo che prima di tale momento, non avrebbe posseduti i mezzi morali, razionali e di ragione sufficienti per poter analizzare con superiorità ciò che accade in essa, senza rimanervici imbrigliato anche lui a sua volta. Infatti il principale obiettivo di quest’opera, è educare il fanciullo fuori dalla società fino al momento d’esser pronto ad affrontarla senza cascare nei suoi subdoli meccanismi; in altri termini proteggerlo da questa fino a quando non avrebbe potuto affrontarla a testa alta. A Parigi, Emilio, con l’aiuto del precettore coltiva il gusto, venendo esposto dapprima ad ambienti in cui è degenerato per troppa raffinatezza, al fine di poterlo dirigere verso le sue forme semplici e genuine, che un giorno vi potranno dare felicità e pienezza d’animo, come per esempio lo studio delle lingue dei poeti. «Il mio principale obbiettivo, insegnandoli a sentire e ad amare il bello in tutti i generi, è di fissarvi le sue affezioni e i suoi gusti, d’impedire che i suoi appetiti naturali lo alterino, e che egli cerchi un giorno nella sua ricchezza quei mezzi per essere felice che deve trovare più vicino a sé».
Possiamo leggere questo romanzo, l’Emilio, come un disperato tentativo di potersi estraniare – almeno nella mente – dalla società reale e tutte le sue contraddizioni, chiudendosi in un mondo ideale, fatto che rende Rousseau molto simile a Severino Boezio, il quale cercava nel suo metafisico dialogo con la filosofia, farmaco e rimedio al terribile dolore che scaturiva dal tradimento del suo stesso popolo.
In definitiva, l’Emilio vuol mettere alla berlina l’educazione e la società del settecento, attraverso la continua contrapposizione tra l’educazione naturale di cui è esempio Emilio, e l’educazione degli uomini che punta verso tutt’altra direzione rispetto all’educazione naturale, conducendo i giovani ad un conflitto e contrasto interiore tra ciò che naturalmente sono e ciò che sono indotti ad essere.
Come tutti i trattati di pedagogia, l’Emilio ha importanti ambizioni politiche: infatti, qual migliore modo di ricostruire una società dalle fondamento innalzandola a dei nuovi valori, se non quella di partire dall’educazione di coloro che, da lì a poco, saranno i nuovi abitanti del mondo. Questa intenzione politica intreccia in uno strettissimo circolo dialettico l’Emilio e il Contratto Sociale, divenendo il filo conduttore del pensiero rousseauiano. Infatti, mentre l’Emilio educa il fanciullo secondo natura, il Contratto Sociale cerca di preservare i due caratteri fondamentali politici dell’uomo secondo natura, ovvero che tutti gli uomini nascono liberi ed ugualmente dotati di ragione e coscienza, e che devono vivere tra loro in rapporti di fratellanza. Alla base di entrambi c’è l’uomo allo stato di natura, che è un costrutto ideale interpretativo dello stato con cui l’uomo viene al mondo, e come dice l’incipit dell’Emilio infatti, «tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose». Detto altrimenti le due opere cardine del Rousseau ambiscono ad una società “naturalmente educata”, in cui le caratteristiche con le quali gli uomini vengono al mondo si mantengano inalterate. L’Emilio costruisce un uomo libero che crede nell’eguaglianza, il Contratto Sociale crea le condizioni attraverso cui questo uomo costruito ad hoc possa perpetuarsi. Ma per conservare gli uomini liberi ed eguali non basta il Contratto Sociale, devono anche essere educati secondo la bontà originaria dettata dalla loro natura, ed ecco che viene in soccorso l’Emilio. Le due opere sono quindi due facce della stessa medaglia. l’una educa a libertà ed uguaglianza, l’altra le mantiene. Difatti se non si fonda un buon uomo prima, non si avrà un buon cittadino poi.
Bibliografia:
Jean-Jacques Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, ed. Bur, 2007;
Jean-Jacques Rousseau, Emilio, ed. Laterza, 2003.
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