Bufera mediatica e dimissioni: tensione nella rappresentanza studentesca a Trento

Agnese Tumicelli ha annunciato le sue dimissioni dalla carica di presidente del Consiglio Studentesco dell’Università di Trento. La decisione arriva in seguito a un’ondata di critichesuscitate dalla diffusione, sui social, di una sua foto in cui indossava una maglietta raffigurante una “Barbie Brigate Rosse”. L’immagine mostrava riferimenti agli anni di piombo: la sagoma di Aldo Moro prigioniero, una pistola, un passamontagna e una Renault 4 rossa, elementi riconducibili al sequestro e all’omicidio del leader democristiano.

Tumicelli ha respinto le accuse di apologia del terrorismo, chiarendo: «Le mie azioni anche se – ci tengo a ripetere – sono state strumentalizzate hanno urtato nel profondo la sensibilità di molte persone e sono profondamente sbagliate». Tuttavia, il ruolo istituzionale che ricopriva ha contribuito ad alimentare le polemiche sia all’interno dell’ambiente accademico che nel dibattito politico. Numerosi esponenti pubblici hanno interpretato la maglietta come una forma di banalizzazione del terrorismo, innescando una polemica che ha rapidamente assunto toni divisivi.

Nel comunicato ufficiale diffuso il 25 giugno, Tumicelli ha scritto: «La tempesta mediatica che mi ha colpita in questi giorni mi ha molto fatto riflettere sui miei comportamenti e il mio futuro. […] Penso che sia giunto il momento di rassegnare le mie dimissioni dalla posizione di Presidente del Consiglio Studentesco».

L’ex presidente ha riconosciuto il peso delle sue responsabilità, pur sottolineando la dimensione fortemente strumentale e personale degli attacchi subiti: «Quella che ho subito è una vera e propria gogna, mediatica ma soprattutto politica, che è impossibile sopportare», ha dichiarato, aggiungendo: «A 22 anni, mi sono vista catapultata nel giro di un paio di ore dentro un vortice di odio e di violenza. Mi è stato riferito da amici di molti commenti apparsi sui social, spesso offensivi e diffamatori e, in qualche caso, addirittura volti ad attribuirmi frasi che non ho mai pronunciato».

Il contesto in cui si è sviluppata la vicenda è quello di un’università già attraversata da una crescente polarizzazione, in cui l’uso di simboli e linguaggi provocatori ha sollevato, in passato, polemiche simili. Tuttavia, a fronte di altri episodi controversi, non si erano registrate dimissioni né prese di responsabilità formali, il che pone interrogativi legittimi sulla coerenza nei criteri di valutazione adottati dalle istituzioni e dai media.

La discrepanza nella gestione delle conseguenze pubbliche solleva dunque il tema del doppio standard e di quanto il peso politico, mediatico o personale dei protagonisti possa influenzare l’esito di situazioni analoghe. In questo caso, l’episodio — per quanto discutibile — non presenta elementi di reale apologia o incitamento alla violenza, e la reazione collettiva potrebbe apparire, per alcuni osservatori, sproporzionata rispetto alla gravità effettiva del gesto. Se da un lato il ruolo istituzionale può legittimare una gestione più severa dell’episodio, dall’altro resta aperta la questione sulla proporzionalità della pressione subita.

Si tratta peraltro del secondo episodio, nel giro di pochi mesi, in cui un’opinione politica viene espressa con modalità che alimentano la polarizzazione all’interno dell’università. In tale contesto, le dimissioni di Tumicelli segnano non solo la fine anticipata di un mandato elettivo, ma riaprono anche una riflessione più ampia sull’agibilità democratica negli organi rappresentativi e sul peso crescente delle pressioni esterne — politiche e mediatiche — nel determinare ciò che può ancora dirsi accettabile nel dibattito pubblico, soprattutto in ambito universitario.

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